Piazza delle 5 lune: la sfuggente verità sul caso Moro
Piazza delle Cinque Lune: qui fu ammazzato da ignoti il giornalista Mino Pecorella, direttore della rivista Osservatorio Politico, famosa per i suoi scoop e la pubblicazione di notizie riservate. Pecorella aveva promesso ai suoi lettori per il giorno successivo lo svelamento di un fascicolo in suo possesso, che avrebbe illuminato il caso Moro, dissolvendo la sua nebbia grazie al memoriale dello statista democristiano. Non potè mai il povero giornalista rivelare ciò che sapeva, dei suoi documenti non si trovò mai più traccia.
Il film Piazza delle Cinque Lune, unico film “approvato” dalla famiglia Moro (le altre riduzioni sono state tutte senza scampo stroncate dai familiari del presidente DC, contestando inoltre il fatto che i registi si siano sempre serviti di ex brigatisti come consulenti), narra la storia di Rosario Sarracini, piccolo procuratore di provincia: la vita sua e dei suoi collaboratori sarà sconvolta quando – mentre è ormai prossimo al pensionamento – un brigatista ignoto lo avvicina e gli consegna un microfilm con le riprese della strage di via Fani, rivelandogli di possedere il memoriale di Aldo Moro. Scatenerà così la curiosità dell’ex procuratore, la quale finirà per diventare morbosa, ossessiva, irrefrenabile e quasi irrazionale pulsione verso la Verità.
E’ proprio sul motivo della ricerca della Verità che si incunea tutto il film, simboleggiata dal memoriale introvabile. La Verità è il filo conduttore, la vera protagonista del film; ma il rapporto con lei è conflittuale: da una parte la si desidera ardentemente, con tutte le proprie forze, ci si tende verso di lei in uno spasmo, tentando disperatamente di raggiungerla, ma d’altra parte lei si cela a noi e si sottrae ai nostri sguardi; è il senso stesso che muove la vita umana.
La Verità è ciò che cerca il giudice Saracini. Ma la meta sembra lontanissima, anzitutto perché si presenta come una catena di dubbi e di interrogativi, nella quale non appena verrà sciolto un anello subito altri cento se ne troveranno collegati; in secondo luogo per il travaglio che il percorso comporta, per la sofferenza e il dolore che continuamente rallentano il passo del giudice e dei suoi collaboratori; in terzo luogo per la complessità inconcepibile del disegno che sta sotto il mistero da svelare, per lo shock inevitabile che ogni nuova scoperta porta.
Alla fine, non si potrà tuttavia che rimanere delusi: proprio mentre Sarracini sta per aprire la porta della Verità, dopo essere riuscito con molte peripezie a procurarsi la chiave, quella porta gli si richiuderà addosso. Perché questo è l’insegnamento del film: non è vero che il tempo è sufficiente a dissolvere la nebbia del mistero, a squarciare il velo del segreto.
In mezzo a tutto questo, il regista ripercorre tutte le ipotesi, tutte le sconvolgenti scoperte, le incredibili coincidenze e le tremende scoperte, facendo incarnare in Sarracini tutti i magistrati che si sono spesi per gettare luce sul caso. Ecco dispiegarsi allora davanti a noi la nebulosa del caso Moro.
Il risultato di tutto ciò? Poveri illusi: la Verità rimarrà chiusa dietro una porta che non potremo aprire, eterno supplizio di Tantalo. D’altra parte, non è forse vero che la giustizia è come una ragnatela, che cattura gli insetti piccoli, ma finisce rotta dagli individui più grossi?
Un film tremendo nelle sue conclusioni e nei suoi insegnamenti, condito da un’atmosfera di ansia e tensione, quella stessa provata da Sarracini. Colpi di scena a ripetizione, rivelazioni di realtà (o meglio, di ipotesi coerenti e verosimilissime) che vanno di pari passo con lo svolgersi cronologico della vicenda: un brivido lungo la schiena e un rivolo di sudore sulla fronte non vi abbandoneranno mai mentre guarderete questo film. Il quale sarebbe troppo semplice definire poliziesco, troppo riduttivo definire inchiesta.
La conclusione, pessimista, ci lascia intendere che troppi hanno interesse che la vicenda rimanga insabbiata, troppi lavorano per gettare altre ombre. Non ci resterà, quindi, che unirci al grido di Luca Moro, e rivolgendoci contro gli sconosciuti burattinai, urlare: «Maledetti voi, signori del Potere!».
Giovanni Pigozzo
Mino Pecorelli, non Pecorella.