La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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“Il primo Uomo” di Gianni Amelio: storia, letteratura e dolore

Scritto da – 5 Settembre 2012 – 16:34Un commento

Gianni Amelio, apprezzato regista calabrese, ha coronato con il premio della critica al Festival di Toronto 2011, la non facile sfida di portare sul grande schermo una personale trasposizione de “Il primo uomo” di Albert Camus, l’ultima e incompiuta opera letteraria dello scrittore Franco-Algerino, premio Nobel nel 1957 e scomparso in un incidente d’auto nel 1960. La figura di Camus, filosofo esistenzialista, non prettamente ascrivibile alle linee di pensiero tracciate da Jean-Paul Sartre, all’interno di questa corrente intellettuale, rimane ancora oggi controversa nel dibattito culturale francofono, soprattutto a causa della neutralità di posizione assunta dall’autore durante la guerra d’Algeria nella seconda metà degli anni 50’. Amelio riscrive e reinterpreta la complessa vicenda d’appartenenza etnica, personale e ideologica, che frappose Camus tra la causa indipendentista dell’Algeria araba e le forze istituzionali della Francia coloniale, cercando di restituire un percorso di comprensibilità a ciò che per lo stesso Camus poté apparire come inconcepibile e inesprimibile: l’impossibilità di una scelta netta tra due esclusive barricate, ormai accecate e travolte dal vortice indifferenziato della violenza, quale unica arma di reciproca difesa e opposizione.

Tra le due fazioni Camus, ma non solo lui nel panorama intellettuale francese del tempo, cercò di aprire una terza strada di confronto, ben più ampia dei singoli interessi, ovvero quella della riflessione umana, l’altra faccia di una stessa medaglia, che allora come ora, si limita ad esibire solo crudeltà e parimenti abbraccia qualsiasi uomo, da un ipotetico primo ad un indefinito ultimo, l’essere umano in sé. Pertanto, il discorso universale proclamato da Camus e con onestà, dignità e capacità, riproposto da Amelio, non poteva che seguire il doppio percorso autobiografico di risalire a ritroso verso le origini dell’individuo – Camus e della sua terra, come fosse un modello esemplare affinché chiunque possa affiancarsi allo stesso cammino, Amelio per primo.

Il regista infatti ha sin da subito palesato le coincidenze che accomunano la sua vita a quella di Camus (l’infanzia vissuta nella miseria del Sud , senza la figura paterna e all’ombra della nonna matriarca) ma ha al contempo sottolineato come la condivisione di determinati vissuti non si limiti esclusivamente a queste e soprattutto non possa limitarsi alle loro singole vite. Nel rappresentare quindi l’infanzia del personaggio di Jean Cormery, alter ego romanzato di Albert Camus, Amelio da un lato lascia confluire episodi recuperati dalla memoria della propria famiglia e dall’altro reinventa parole e immagini attraverso cui restituire nel modo più trasparente e illuminante possibile il pensiero politicamente scomodo di un intellettuale che tentava di rompere lo schema rigido delle opposizioni ideologiche armate per riportare il dialogo tra le persone, ben oltre i ruoli e le cause in cui esaurivano le proprie vite, come ingranaggi di un meccanismo autonomo, senza valore ciascuno per se stesso.

Come non pensare alla metaforicità  di una delle prime sequenze sull’infanzia di Jean (interpretato dal piccolo e intenso Nino Jouglet) nell’Algeria degli anni venti, lontana dagli attentati terroristici di trent’anni dopo, eppure già pervasa dall’insofferenza per la convivenza forzata tra le diverse etnie di conquistati e conquistatori, che pure vivono nella stessa miseria. Non è mostrato se sia stato proprio Jean, istigato dai compagni, a liberare i cani randagi messi in gabbia dall’uomo arabo, ma sarà Jean ad essere punito dall’uomo, fra tutti e per tutti gli altri ragazzini, rinchiuso a sua volta in quella stessa gabbia per ore, sotto gli occhi del figlio dell’accalappiacani, suo coetaneo, che non mostra compassione per Jean, bensì invidia per le scarpe da lui indossate. Scarpe che, per ben due volte, sua nonna severamente gli ribadirà, anche a suon di bastonate, valgono più dei suoi piccoli piedi!

Coerentemente con le riflessioni esistenziali del filosofo, che riconosceva e denunciava l’”Assurdità” della realtà senza ragione, quale dimensione in cui l’uomo struttura negativamente la propria esistenza (principi espressi nel saggio “Il mito di Sisifo”), Amelio costruisce una narrazione, esemplare e poetica, che dialoghi con gli spettatori senza ricattarli melodrammaticamente, bensì stimolando l’interpretazione del meccanismo spettacolare, per leggere l’attualità dietro la suggestione dei dolci movimenti di macchina in piano sequenza, l’esoticità degli ambienti, la luminosità della fotografia.

Nel romanzo “L’uomo in rivolta” in cui Camus  approda ad affermare che l’assurdità della vita non si combatte col suicidio ma con la “Rivolta”, nel senso della ricerca costante di un senso, pur sempre relativo e senza ragione oggettiva, si legge “… La rivolta cozza instancabilmente contro il male, dal quale non le rimane che prendere nuovo slancio … nel suo  sforzo maggiore l’uomo può soltanto proporsi di diminuire aritmeticamente il dolore del mondo” . Ecco lo scopo del discorso di Jean Cormery all’Università di Algeri nel 1957, nel pieno del clima stragista della guerra, da cui il film di Amelio prende le mosse. Chiamato ad esprimere la propria posizione, dinanzi all’aula gremita di attivisti pro e contro la rivendicazione armata algerina, Cormery pronuncia parole che suonano incomprensibili ad entrambe le fazioni, perché non allineate perfettamente né con l’una né con l’altra, piuttosto tese a condurre entrambe su di un piano dialogico condivisibile: “ Si accetta troppo facilmente che solo il sangue possa muovere la storia.  Compito di uno scrittore non è aiutare chi fa la storia, ma chi la subisce!”.

Parole  che risuonano inevitabilmente indecifrabili, inaccettabili, incompatibili in una babele di linguaggi  ciascuno irremovibile e indissociabile dai propri interessi e dalle proprie rappresaglie. Cormery appare ai suoi interlocutori nella stessa assurdità in cui questi appaiono ai suoi occhi, ma seppur travolto dall’orda della brutalità (emblematico lo striscione di protesta che gli si avventa contro dall’alto dei banchi universitari, quasi a volerlo travolgere nelle risse ormai scoppiate in aula) non desisterà dal credere al valore delle proprie parole.

In un’altra sequenza del film, Amelio mette nuovamente in scena un dialogo tra due interlocutori totalmente impermeabili l’uno all’altro, ostinati a non ascoltarsi, bensì solo a proclamare ognuno le proprie ragioni; si tratta dell’incontro in carcere tra Abdelkarim, vecchio compagno di scuola di Jean, e suo figlio, sommariamente condannato per aver partecipato agli attentati terroristici del FLN algerino. Il primo rivendica il dolore di un padre il secondo le ragioni politiche. Jean sa bene come l’odio anticoloniale arabo abbia radici profonde e si trasmetta di generazione in generazione, perché lo stesso Abdelkarim sin dall’infanzia l’ha sempre guardato con odio (il bambino germoglio dell’uomo che diventerà, nel bene e nel male) ma saprà bene riconoscere nell’animo lacerato di questo uomo quei più grandi ed universali sentimenti, che le ragioni di stato non dovrebbero mai calpestare trascendendo nei propri abusi.

La verità politica di Camus/Cormery è proprio nell’impossibilità di poter imporre una scelta netta, il riconoscimento del legame di necessità tra innocenti sacrificati, (tanto alla causa algerina attraverso il terrorismo, quanto alla conservazione dello status quo attraverso la pratica della tortura nelle carceri francesi) e le cause stesse; verità che trova la sua prima essenza proprio nella sua vicenda personale: non aver mai conosciuto il padre, morto giovanissimo combattendo durante la prima guerra mondiale. Abdelkarim piange suo figlio e Cormery rimpiange suo padre.

La sequenza di apertura del film di Amelio è collocata proprio in un cimitero, in cui Jean si reca alla ricerca della tomba del padre. Un cimitero sterminato di croci infinite destinato a raccogliere altre croci ed altri figli in cerca, Camus non vede la stretta necessità tra le cose e si ribella, proclamando la sua rivolta nella sua neutralità, rivendicando l’umanità nell’assurdità: “Io mi rivolto. Dunque noi siamo!”.

Le cause sacre non sono eterne. Eterna è piuttosto la povera carne sofferente dell’umanità” Germaine Tillon

 

 

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