La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità

Scritto da – 5 Ottobre 2023 – 17:07Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.
La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.
In un metaverso che vede archiviata la distinzione tra vita pubblica e privata: superando il celebre slogan coniato da Carol Hanisch “Il personale è politico”, adesso l’incursione nella sfera personale non è più fastidiosa ingerenza nella propria dimensione privata, ma precisa volontà di mostrarsi nella propria dimensione intimistica.
Social network come Facebook ad esempio (il più utilizzato) ormai hanno superato la distinzione tra profilo pubblico e privato facendo diventare oggetto della strategia di comunicazione politica , spesso affidata a specialisti del settore quali spin doctor o social media specialist, la vita privata del personaggio politico quale aspetto fondamentale del messaggio politico. E’ il going public sperimentato in primis dall’ex presidente degli U.S.A. Ronald Reagan e poi perfezionato negli anni fino ad arrivare alla sua massima espressione, dal “social media President” Barack Obama. Alla base di questo fenomeno sta il concetto di disintermediazione, ovvero la frantumazione egli organi di partito storicamente deputati alla comunicazione, raggiungendo direttamente l’elettore. Ed al going public si affianca il going polular: modificare il registro comunicativo in chiave popolare, in modo che il messaggio risulti comprensibile al maggior numero di utenti possibile. Dentro questo nuovo mezzo di comunicazione di massa, la politica ha aggiornato le sue “guide” retoriche e i suoi discorsi, sperimentando linguaggi e azioni che hanno dato vita, nel tempo, a fenomeni tra la spettacolarizzazione e la personalizzazione.
E’ evidente quindi l’avvicinamento tra il politico ed il suo elettore che non solo lo accompagna nella sua vita quotidiana, ma che può direttamente interagire con esso attraverso il mero like (fenomeno tipico degli slaktivist, coloro che si limitano pigramente al solo ”mi piace”) , alla condivisione (innescando la catena informativa tipica delle Echo Chambers ) o addirittura al commento e al messaggio diretto. Tutto questo genera una spinta propulsiva alla viralità del messaggio che trascende spesso il singolo social per venire rimbalzato attraverso i canali più disparati in modo cross mediale. I nettizens dunque, i cittadini che sono attivi e partecipi della realtà politica on line, che nell’epoca predigitale erano esclusi dalla cerchia mediale adesso trovano finalmente la possibilità di giocare un ruolo attivo. Si passa da una dimensione verticale che vedeva al vertice il politico e alla base il proprio pubblico ad una dimensione orizzontale.
Appare chiaro dunque come la strategia social sia un efficace self promotion, mediando come anzidetto tra vita privata e quella pubblica proiettando il personaggio politico (che è più facile da pubblicizzare rispetto ad un partito o ad un “concetto”: qui diviene un oggetto di merchandising) come vera a propria star del web, creando un celebrità mediatica. Si pensi ad esempio a scene come la vaccinazione o la donazione di sangue spesso riprese ai fini di spettacolarizzazione.
Una “persona normale” che si afferma come leader in cui riconoscersi .
Il ruolo dei social sarà quindi sempre più determinante ai fini dell’orientamento dell’opinione pubblica. Ed i vincenti sono stati e saranno coloro in grado di interpretare al meglio il vento di cambiamento, sfruttando al meglio gli strumenti disponibili.
E’ chiaro che l’agone della politica, ai fini dell’ottenimento del consenso, si è spostato maggiormente sul web, permettendo di arrivare alle fasce di popolazione meno acculturate, agli analfabeti funzionali, coloro che non leggono, non guardano programmi di approfondimento giornalistico, non si informano. Una diretta ben fatta, un tweet ben articolato, un video su you toube ben girato valgono piu’ di altrettanti comizi, all’interno di un sistema mediale ibrido che vede al compresenza di tv, radio, giornali e web con la presenza massiccia di quest’ultimo.
Il marketing che ne deriva è quello che porta ad una permanent campaigning , una campagna elettorale permanente, che ha trasformato la realtà politica in una rincorsa permanente allo slogan, al framing, al messaggio politico ad effetto, all’immagine strappa like.
La campagna politica tradizionale quella basata sugli old media per intenderci, era fondata su messaggi unidirezionale o one to many che la diffusione sul web ha trasformato in multidirezionale o many to many. Gli elettori diventano parte attiva della narrazione, attraverso la possibilità di interagire, contribuiscono a creare il messaggio. E l’interazione, alla sua estrema potenza crea politica: si pensi ad esempio al movimento 5 stelle che attraverso la piattaforma Rousseau ha messo il web al centro della propria esistenza politica.
Certo , chi vince sui social, non è detto che poi traduca questo consenso in voti, vincendo le elezioni, ma è indubbio che i social abbiano cambiato per sempre il terreno di gioco e le regole della competizione elettorale. Emerge, ad ogni modo, uno più corposo risultato elettorale per coloro che sono riusciti ad imporsi sul web, utilizzando gli strumenti digital in modo più adeguato sfruttandone le grandi potenzialità che dati certi e risultati misurabili offrono a chi si occupa di marketing politico.
Il social, per converso, offre al politico l’accesso a tutta una gamma di profili dei propri utenti/followers che attraverso avveduti strumenti di profilazione, permettono di calibrare un messaggio che si insidi nella mente dell’utente come un “ago ipodermico”. Non solo. L’attività di profilazione permette di raccogliere una mole enorme di dati utili ed accurati sul pubblico dei follower che i social mettono a disposizione quali interessi, geolocalizzazione, fasce di reddito o altri fattori.
Sono i c.d. Big Data , grandi quantità di dati raccolti da apposite società specializzate usati e poi rivenduti ai fini dell’utilizzo politico. E’ emblematico, a tal proposito, il caso di Cambridge analytica società specializzata nel raccogliere dai social network un’enorme quantità di dati sui loro utenti: quanti “Mi piace” mettono e su quali post, dove lasciano il maggior numero di commenti, il luogo da cui condividono i loro contenuti e così via. Queste informazioni sono poi elaborate da modelli e algoritmi per creare profili di ogni singolo utente, con un approccio denominato “psicometria”. Nella fattispecie gli utenti si registravano tramite una app creata da un ricercatore di Cambridge Aleksandr Kogan che permetteva la raccolta di questi dati arrivando quindi a memorizzare informazioni di vario tipo su 50 milioni di profili Facebook . Questi dati, contrariamente a quanto previsto dalla policy di Facebook, furono ceduti a terze parti (alla società Cambridge analytica appunto) a cui venne commissionata la gestione della raccolta dati per la campagna elettorale di Donald Trump per le elezioni presidenziali del 2016 (poi vinte appunto dal tycoon) attraverso Steve Bannon, manager della campagna elettorale e già vice presidente di Cambridge Analytica. Non sappiamo quanto l’azienda abbia collaborato né con quali strumenti, ma dalle indagini condotte finora (giudiziarie, parlamentari e giornalistiche) sappiamo che comunque l’attività online pro-Trump fu molto organizzata e su larga scala.
Questo ad ulteriore comprova dell’estrema ricchezza ed opportunità offerte alla politica dai social media.
Ove, come detto le notizie circolano a velocità incredibile in una sorta di “simultaneità despazializzata”.
E non sempre sono notizie vere. Un fenomeno dilagante sul web è infatti quello delle fake news, notizie false sulle quali alcuni politici hanno tessuto vere e proprie strategie politiche . La notizia falsa volutamente verosimile è creata accuratamente ed in modo da essere difficilmente verificabile, almeno nell’immediatezza. Questa viene poi fatta rimbalzare attraverso software chiamati bot , capaci di diffonderla in tempi molto
rapidi ed in modo capillare. Alla loro diffusione contribuiscono gli internauti mediante la condivisione attraverso le cybercascades, vere e proprie cascate informative spesso amplificate da profili di personaggi autorevoli che supportano l’autorevolezza stessa della news. Spesso chi condivide non si pone neanche il problema se ciò che contribuisce a diffondere sia vero o falso. E’ sufficiente che sia coerente con le proprie idee ed il proprio modo di vedere le cose. O altre volte ad amplificare la fake news è la semplice misinformation ovvero la condivisone in buona fede del contenuto falso.
Per arginare il fenomeno, social come Facebook hanno attivato programmi di fact checking necessari alla verifica della news i quali però hanno avuto poco successo. E’ raro inoltre che, segnalando una notizia come falsa il social decida di rimuoverla.
Tutto ciò contribuisce a creare una vera e propria fabbrica del consenso attorno ad un personaggio politico o un partito , fatta di tanti zelanti operai che più o meno consapevolmente contribuiscono a rendere popolare e celebre il politico di turno. Che non sempre è il migliore.

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