Fiat: dopo cento anni Fiom fuori dalla fabbrica
Provare a dare un’interpretazione dell’attuale rapporto tra Fiat e Fiom è un’operazione difficile se non dolorosa. L’unico dato di fatto certo, è che dopo cento anni di storia il Sindacato dei metalmeccanici guidato da Maurizio Landini è stato estromesso dalla fabbrica. A questo punto è utile sfogliare le pagine della memoria recente per tentare di comprendere gli avvenimenti che hanno portato a questa situazione. La relazione sindacale fra la Fiom e la Fiat non è stata dei più idilliaci negli anni recenti, in particolare dal momento in cui Sergio Marchionne è andato a ricoprire il ruolo di Amministratore delegato della Fabbrica Italiana Automobili Torino. Il piano messo in pratica (a questo punto si rende necessaria una precisazione: Marchionne non ha mai finora presentato un piano industriale, soprattutto grazie alla complicità del precedente Governo nelle figure dei Ministri del Lavoro e dello Sviluppo Economico ) dall’Ad prevede ormai chiaramente la trasformazione dei poli Italiani in sedi nominali e finanziari e la delocalizzazione della produzione all’estero ( negli Stati Uniti dove Fiat ha realizzato la famosa joint venture con Crysler ). Prove di questo sono la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, la ormai totale inesistente produzione di Mirafiori e il famoso stabilimento di Pomigliano dove si produce solo il nuovissimo modello di auto ultramoderna, ovvero la Panda.
Le ragioni dell’esclusione della Fiom sono legate al rifiuto espresso dal Sindacato di accettare i nuovi modelli di contratto imposti dalla Fiat che hanno originato il cosiddetto modello Marchionne. Tale modello oltre a un peggioramento della qualità del lavoro riduce pericolosamente l’esercizio della democrazia all’interno della fabbrica, ad esempio limitando il diritto di sciopero, ma soprattutto prevedendo l’esclusione dalla rappresentanza dei Sindacati non firmatari dell’accordo. Contro questa pericolosa deriva ottocentesca il sindacato dei metalmeccanici ha indetto lo scorso anno un referendum da sottoporre ai lavoratori dello stabilimento Mirafiori di Torino. I no al nuovo modello contrattuale che, in deroga al contratto nazionale metalmeccanici aveva come obiettivo la creazione di forme contrattuali aziendali e per stabilimenti, nonostante l’importante risultato non sono riusciti a bloccare l’operazione Marchionne. C’è purtroppo da aggiungere che l’atteggiamento delle altre sigle sindacali è stato di totale acquiescenza e non si è avuta la lungimiranza di comprendere che quel modello non avrebbe costituito una eccezione, bensì sarebbe diventato di lì a breve la nuova linea contrattuale della Fiat. Inoltre è ancora da sottolineare l’operazione di “terrorismo psicologico” messo in campo dall’azienda tendente a minacciare il ritiro degli investimenti in Italia e il trasferimento all’estero in caso di mancata ratifica da parte dei lavoratori del nuovo contratto. Per questo Fiat nel giugno scorso è stata condannata dal Tribunale di Torino per comportamento antisindacale.
Veniamo ora alla stringente attualità. Il nuovo polo di Pomigliano, sottoposto allo stesso referendum di Mirafiori, ha visto aprire le sue porte recentemente. Qui dovrebbero arrivare i famosi investimenti promessi e più volte annunciati da Marchionne. Per ora vediamo solo che l’unico modello auto in produzione in questo stabilimento è la nuova Panda. A Pomigliano si sta verificando oggi uno dei più gravi attacchi alla democrazia e alla libertà sindacale. Tra i nuovi assunti nello stabilimento non è presente nessun lavoratore con in tasca la tessera della Fiom, e questo per via di un disegno preciso che vuole la scomparsa del sindacato contrario alle politiche della azienda.
A tutt’oggi è importante ribadire e rammentare che il dott. Marchionne non è stato convocato dai nuovi Ministri Passera e Fornero per discutere del piano industriale e degli investimenti di Fiat. E questo rientra nella logica con cui si stanno conducendo le trattative per la riforma del mercato del lavoro. Il Sindacato viene considerato solo come un corpo intermedio da eliminare e con il quale non fare i conti. Il 9 marzo scorso la Fiom e i suoi lavoratori sono scesi in piazza per rivendicare il loro peso e il loro ruolo e per rammentare, ancora una volta, ad un paese defraudato della sua memoria e della sua identità, che solo se il lavoro torna ad essere al centro della costruzione di un nuovo modello di società e di sviluppo, a riscoprirsi come luogo di esercizio di democrazia e diritti e torna ad assumere il suo ruolo originario di variabile indipendente il paese potrà superare questa crisi.
Francescopaolo Palaia
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