FAR – l’indagine danzata di Wayne McGregor
“Se questa sua [dell’uomo] composizione ti pare di maraviglioso artifizio, pensa questa essere nulla rispetto all’anima che in tale architettura abita e, veramente, quale essa si sia, ella è cosa divina sicché lasciala abitare nella sua opera a suo beneplacito” – sosteneva Leonardo Da Vinci, che alla ricerca dell’anima scandagliò ben più di un corpo, e ne sezionò gli organi per scovarvi uno spirito o un’entità, una materia indefinita che desse ragione all’uomo della propria sofferta diversità.
L’esplorazione del corpo alla ricerca dell’anima, la ricerca di un legame fra materia e spirito, di una spiegazione alla complessità insita nella vita umana è da sempre al centro della riflessione di scienziati e filosofi, un interrogativo tanto più necessario e impellente quanto più avanza l‘Età luminosa della Ragione, in cui il corpo smette di essere un involucro vuoto, in cui Dio smette di essere una risposta sicura.
Nel suo Flesh and the Age of Reason ( in italiano L’uomo e l’età della ragione), Roy Porter traccia con una prosa viva e coincisa il percorso del pensiero europeo nel XVIII secolo, fra le sconvolgenti scoperte in campo medico e le domande sul meccanismo del pensiero e delle emozioni. Ma se un’opera come questa, pur nella sua brillante rielaborazione, rimane ancorata alla dimensione scritta, al pensiero, al ragionamento, dalle sue pagine prende le mosse una delle opere più geniali e precoci del coreografo londinese Wayne Mcgregor. A soli 22 anni, dopo aver fondato la Random Dance Company, Mcgregor modella per essa lo spettacolo FAR, basandosi proprio sul testo di Porter.
Considerato sostanzialmente un enfant prodige, Mcgregor è internazionalmente conosciuto per una tecnica fisicamente impegnativa e creazioni ardite che spaziano dalla danza alla musica, alla tecnologia, alle arti visive.Le sue coreografie riescono a far convivere, nell’intreccio dei corpi sottili ma necessariamente muscolosi dei ballerini, un ritmo di brevi gesti spezzati e un controcanto continuo e fluido, come incurante della loro rigida struttura anatomica.
FAR è una delle primissime creazioni e si nutre di questa ricerca incrociata. Con le musiche elettroniche di Ben Frost e le architetture luminose di Lucy Carter, lo spettacolo si inoltra in un’indagine che prende il corpo insieme a oggetto e mezzo di studio. Immagine danzata di un’autopsia spirituale, per l’immortalità della sua ricerca rimane un’opera sempre attuale e ancora oggi rappresentata ed esportata in tutto il mondo, Italia compresa, dove recentemente ha calcato il palco del teatro Fraschini di Pavia.
Così Mcgregor non cambia la domanda, tutto sommato non cambia nemmeno la problematica risposta. La sua ricerca sceglie una strada fisica, fisicissima. La tecnica è procedere per destrutturazione e ricomposizione. La danza non lascia scampo, non risparmia combinazione di corpi e di gesti, non elimina dall’orrizzonte del possibile nemmeno il gesto sgraziato, quello più comune.In un alternarsi implacabile di singoli e gruppi e coppie, tutto il danzabile, tutto il vivibile scorre davanti agli occhi dello spettatore, che non può che diventare osservatore, scienziato involontario, indagatore di una vera e propria enciclopedia che si dispiega davanti ai suoi occhi, sullo sfondo scabro dei vestiti ridotti al minimo e del gioco di ombre creato dalla scenografia. Lo spettatore che si trova a uscire da teatro – alla fine dei conti- senza una vera risposta, senza una vera vera certezza. Rimane, però, la sensazione di aver appena assistito al proprio smembramento, alla propria metodica decostruzione. Così che, se la dialettica fra corpo e anima resta un nodo insoluto, quello che la Wayne McGregor Company sa lasciare è una consapevolezza nuova, un nuovo sentire e sentirsi. Sentirsi nella complessità delle parti e del tutto, della continua interazione fra quei muscoli, quelle vene e l’emozione che nasce spontaneamente dal vedere ballare qualcuno. Sentirsi come un essere che semplicemente, a dispetto di tutta quanta l’erudizione, non può essere riassunto nelle
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