La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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ISLAM, un confine va tracciato. Ma dove?

Scritto da – 26 Novembre 2015 – 17:58Nessun commento

confine islamCome sempre capita, nell’era dell’informazione, grandi tragedie scatenano grandi dibattiti. Centinaia di migliaia di parole vengono scritte, dette, urlate, twittate, sussurrate. Troppo poco spesso, tuttavia, esse vengono soppesate e centellinate, riflesse e pensate, come l’intelletto e il rispetto richiederebbero. E così si crea quel brusio, il chiacchiericcio di fondo che crea sulle cose uno strato superficiale, una patina che impedisce di analizzarle a fondo. Penso risulti chiaro a chiunque legga che ci si riferisce ai tragici eventi di venerdì 13, a Parigi, e alla minaccia rappresentata nel Medio Oriente, come nel resto del mondo, dall’estremismo islamico dell’ISIS. È naturale che un tema così complesso sollevi domande, questioni, provochi reazioni differenti e porti ciascuno alle proprie conclusioni. È vergognoso che queste vicende vengano strumentalizzate da sedicenti giornalisti e politicanti, che i fatti, presenti e passati, vengano reinterpretati allo scopo di disegnare nella mente di una popolazione spaventata e disorientata l’immagine di un nemico. Ne abbiamo davvero bisogno? Abbiamo davvero bisogno di leggere su una delle maggiori testate nazionali “Bastardi Islamici”? Abbiamo davvero bisogno di sentire continuamente parlare di un “noi” e di un “loro”? Abbiamo davvero bisogno di temere il nostro vicino di casa, perché musulmano? Forse sì, forse per giustificare il nostro razzismo e la nostra intolleranza, abbiamo bisogno di incolpare qualcuno, di sentirci superiori, più buoni, più evoluti, in pericolo. I monumenti di tutto il mondo Occidentale si sono colorati dei colori della bandiera francese, in un bellissimo gesto di solidarietà e vicinanza in un Europa sempre più divisa. Mentre 150 persone in Nigeria venivano fatte saltare in aria mentre facevano la spesa e 41 libanesi morivano della stessa sorte tuttavia, il mondo “civilizzato” è rimasto ancora una volta chiuso in sé stesso, preoccupato solo dei suoi concittadini “civili”. È naturale, direbbe qualcuno, «lontano dagli occhi, lontano dal cuore». Tuttavia, la contradizione con i discorsi di integrazione e fratellanza fatti in questi giorni da una certa parte dell’opinione pubblica, risulta palese. Se c’è qualcosa di ancora meno edificante dei discorsi ipocriti ed eurocentrici, o di quelli ignoranti ed intolleranti, è che molti dei loro sostenitori, si sono nascosti dietro parole altrui per portarli avanti, troppo pigri per usarne di proprie. Ed è così che, almeno per quanto riguarda l’Italia, si è scatenata una guerra tra crociati, combattuta attraverso i nomi di due dei giornalisti più importanti del nostro secolo, Oriana Fallaci e Tiziano Terzani.

Indubbiamente, due personalità e professionalità estremamente diverse, ma per quanto ne possano dire i neo-riscoperti fan, essi avevano anche moltissime cose in comune. In primo luogo essi erano entrambi, profondamente, convinti dell’ingiustizia della guerra e della dittatura. Allo stesso modo come entrambi erano grandi esperti di politica estera e profondi conoscitori del mondo. Estrapolare le ultime dichiarazioni della Fallaci, come a farne il simbolo del suo credo, implica necessariamente una semplificazione che non può che portare al fraintendimento dell’idea della stessa. Parlare di Terzani come se fosse un santone visionario, incapace di compiere un’analisi razionale della società, lo è altrettanto. Seppure le ultime dichiarazioni della giornalista toscana, infatti, risultino pregne di intolleranza e parlino dell’impossibilità di integrazione tra la cultura occidentale e quella musulmana, di guerra santa, di “nemico”, difficilmente si può credere che lei sarebbe stata contenta di essere eletta a paladina di una politica populista e fine a se stessa. Era una giornalista, una scrittrice, ma prima di tutto era una donna, che aveva per anni vissuto a stretto contatto con la religione musulmana, alla quale non era mai riuscita a perdonare la modalità i cui trattava le donne. Da donna libera e atea non comprendeva e non accettava il bigottismo con cui veniva, e viene tuttora, interpretata la religione musulmana. Un bigottismo che, per quanto tendiamo a dimenticarcene, abbiamo sperimentato anche “noi”, nazioni cattoliche. Certo, possiamo dire di esserci liberati dalle sue forme più estreme, ma siamo sicuri di esserci davvero emancipati dall’indottrinamento della morale cattolica?

La verità che la Fallaci è colpevole di non avere evidenziato in quelle sue ultime parole così cariche di rancore dopo il l’11 settembre, è che non si tratta, e non si può trattare, di “quale religione” o di “quale civiltà”. Scrivere, come scrisse lei, e molti prima e dopo di lei, che la cultura araba sia fatta solo di odio verso l’occidente, sottomissione della donna e ripudio delle libertà, significa combattere la stessa guerra che oggi combatte l’ISIS. E non dall’altra parte, come credono coloro che si fanno forti del loro odio, ma al loro fianco. Significa combattere una crociata che, Dio, se davvero esiste, in qualsiasi forma, ce ne scampi. Se di questo dovesse trattarsi, sarebbe una guerra distruttiva. Come anche la Fallaci ripeteva spesso, «le dittature, siano esse verdi, gialle, rosse o viola, sono tutte uguali». E una società o un’ideologia basate su credi religiosi, non possono che essere una dittatura. Vogliamo forse paragonare gli scritti della Bibbia con il Corano? Vogliamo ingenuamente stupirci del fatto che delle parole scritte centinaia di anni fa, non siano moderne, non siano moderate, non siano democratiche? Il problema non è, come sempre, nelle parole, nelle religioni, nelle civiltà. Il problema è in chi legge quelle parole, chi crede in quelle religioni e da chi interpreta i valori di quella civiltà.

Tiziano Terzani era un uomo di pace dentro e fuori. Forse anche per questo è stato da molti definito ingenuo, per la sua visone “semplicistica” della vita (che in realtà semplicistica non era affatto, quanto piuttosto semplice). Parlare di comprensione, dialogo, tolleranza, pace, in momenti come questi o come l’11 settembre, è difficile, e si corre il rischio di essere additati come stolti, sognatori. Tuttavia, se c’è una grande lezione che le parole del giornalista toscano ci insegnano, è quella di non rassegnarci all’inevitabilità della guerra. Di fermarci e pensare a quale potrebbe essere un’altra soluzione e, se non dovesse venirci in mente, di tacere e continuare a riflettere, cercando di capire. Perché la guerra, mediatica o di armi che sia, non è mai la soluzione. Dobbiamo smetterla di ragionare come se l’unica interpretazione del mondo fosse quella della nostra civiltà (non ricorda tanto la propaganda dell’ISIS?) e metterci nei panni, non del terrorista, ma del padre di famiglia, della ragazza o del ragazzo musulmani, che con l’integralismo non hanno nulla a che vedere, ma ugualmente, si sentono addosso lo sguardo torvo del vicino di posto in metropolitana.

E alla fine, a furia di ricevere indifferenza e diffidenza, qualcuno si convincerà davvero del fatto che l’Occidente è un nemico da combattere. Si farà persuadere dal folle imam di turno della necessità di una guerra santa. Evitiamo che questo accada, che questi pazzi facciano più proseliti del dovuto. Questo noi possiamo e dobbiamo evitarlo, mettendoci nei panni dei centinaia di migliaia di credenti musulmani che interpretano la religione come dovrebbe essere; ovvero un fatto intimo, privato, un momento di arricchimento personale e culturale e non, come capita da entrambe le parti, una ragione per tracciare un pericoloso confine. Il confine va tracciato, e ben netto, ma non tra Occidente e Medio Oriente, tra Cattolicesimo e Islam, tra mondo “civilizzato” e “terzo mondo”. Il muro deve essere eretto per scindere i tolleranti dagli intolleranti, i savi dai violenti, i democratici dai tiranni, i liberali dagli schiavisti.

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