Le rivoluzioni arabe? Non mi interessa, sono occidentale
Dal dicembre 2010 nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente è esplosa l’ondata di quelle rivolte che hanno profondamente cambiato il volto del mondo arabo nell’ultimo anno; rivolte con facce molto diverse tra loro, a cui si è risposto in modo ben differente a seconda dei paesi colpiti. Basti pensare alla situazione Siriana, non ancora risolta, e quella più calma di altri paesi dove si è già insediato il nuovo governo.
Ma cosa sta dietro a queste rivoluzioni? Cosa ha portato i giovani a scendere in piazza? E come viviamo noi questi avvenimenti, come vediamo noi il mondo orientale della “Primavera Araba”? Queste sono alcune delle questioni che la professoressa Francesca Corrao (insegnante di Lingua e Cultura Araba all’Università LUISS Guido Carli) affronta nel suo libro “Le Rivoluzioni Arabe. La transizione mediterranea”(ed. Mondadori Università) e che ha illustrato mercoledì 17 ottobre, presso il Polo di Mediazione Linguistica di Sesto San Giovanni.
Partendo dalla storia della cultura araba sin dai tempi di al-Andalus la professoressa parla dei rapporti con l’Europa e il mondo occidentale, che hanno subito profondi cambiamenti: dalla convivenza e reciprocità di scambi alla quasi totale unilateralità di interesse. Infatti, soprattutto negli ultimi secoli, dove il mondo orientale riesce a prendere e a rielaborare fonti di ispirazione artistica e ideologica di stampo occidentale la nostra società ha preferito evitare di abbracciare elementi culturali considerati estranei (e, spesso, subalterni). Mentre i letterati rivoluzionari dei primi del ‘900 o grandi poeti come Mahmud Darwish parlano con nostalgia di quella realtà di convivenza e ricchezze che era l’Andalusia; mentre l’oriente sa cogliere spunti artistici aprendosi verso la nostra società, noi poniamo un muro: una forte indisposizione al dialogo culturale ed intellettuale che si riflette nella totale ignoranza nei confronti di una cultura (per altro estremamente ricca). Basti pensare a quanti sono i testi letterari tradotti dall’arabo; quanti di noi possono dire di conoscere anche solo un paio di autori arabi? Probabilmente in pochissimi, e saranno soprattutto coloro che hanno posto un’attenzione in più verso le culture orientali. Non viene data la possibilità di diffondere questi testi, non ci importa di prestare la voce a qualcuno di così lontano dai nostri schemi.
Nei paesi occidentali viene ignorata la necessità di conoscere il pensiero reale delle altre culture, di vedere i sentimenti che le animano, e forse fa comodo nascondere l’umanità di queste popolazioni. Perché in questo modo siamo uniti tra noi contro di loro. Troppo spesso ci sentiamo superiori a culture diverse dalla nostra, peccando di una vera e propria pigrizia intellettuale ed anche importanti critici letterari non sanno andare oltre il pregiudizio dell’islam e del narghilè. Cresce la distanza: noi siamo i buoni e loro i cattivi, hanno strutture antiquate, non conoscono democrazia, non sono al nostro livello di “civilizzazione”. Qui si ferma la riflessione di moltissime persone sul popolo arabo. Come aggiunge la professoressa Jolanda Guardi (arabista, docente presso l’Università degli Studi di Milano) nel suo intervento, noi filtriamo tutto attraverso un’ unica chiave di lettura: l’Islam. Così vengono tralasciate sfumature importanti dell’identità culturale araba, non si considera la complessità di questa società che non è solo violenza e fondamentalismi.
Questa ignoranza e disinformazione si riflette anche sulla diffusione delle informazioni riguardanti gli eventi che dal dicembre 2010 hanno cambiato volto al mondo islamico. Informazione frammentaria e superficiale che ha portato nei paesi occidentali a sottovalutare questa grave situazione: rivolte a due passi da casa nostra che vengono avvertite come echi lontani di un mondo che però appare distante anni luce dal nostro, o almeno così ci viene presentato. Basti pensare alla rivolta del 1977 in Egitto, passata quasi inosservata nonostante vi fosse un alto numero di vittime e prigionieri.
Non dobbiamo quindi stupirci se così tante persone affermano che la primavera araba é stato un fenomeno totalmente inaspettato: chi afferma questo non si é sicuramente preoccupato di guardare da vicino la situazione generale nei paesi arabi. Certamente i motivi principali dell’implosione come la crisi economica, il blocco dell’emigrazione in Europa, i conflitti interni e la pressione sociale si sono acuiti negli ultimi anni. Già dal 2004 però si hanno segnali di cambiamento in molti paesi: dalla ribellione nello Yemen, alla riforma del codice della famiglia (Muddawwana) attuata dal re del Marocco Muhammad IV insieme al Parlamento. Negli anni precedenti la crisi molti scrittori raccontano la precaria situazione sociale (come Al- Khamissi in “Taxi”, 2008). La ribellione era quindi qualcosa di quasi annunciato, non un fatto incredibile ed imprevisto.
Dobbiamo quindi chiederci davvero quanto sappiamo di questi paesi e mai fermarci alle sole notizie che passano i media nostrani: per capire bene queste situazioni dobbiamo avere spirito critico e approfondire le nostre conoscenze attraverso canali più vicini alle realtà che ci interessano.
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