La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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L’altruismo, per combattere la crisi

Scritto da – 16 Ottobre 2012 – 18:00Un commento

Quand’anche fosse vietato essere altruisti, io lo sarei comunque. E molti mi affiancherebbero. La mia domanda è: saremmo puri altruisti? E quanto sopravviveremmo?In tanti, da Cartesio ad Elster, hanno detto e direbbero che è impossibile che tale atteggiamento possa esprimersi, senza una motivazione egoistica di fondo. Non a caso è di Cartesio l’espressione “Essere altruisti paga” in riferimento alla stima, alla protezione e alla fiducia che un singolo altruista può accaparrarsi di fronte alla comunità, mentre è di Elster il concetto per il quale l’atteggiamento altruistico sia frutto di una razionalità volutamente imperfetta dell’uomo.

Partendo dalla definizione che a tale atteggiamento viene attribuita in sociobiologia,  “quell’atto che riduce il successo riproduttivo di chi lo esegue mentre aumenta il successo riproduttivo di altri” (Barash 1976,82) sorge spontaneo chiedersi anche solo come sia nato il primo altruista della storia. Sempre in sociobiologia, qualora ci sia il manifestarsi di comportamenti altruistici, a seguito di mutazioni, per cui alcuni animali si sacrificano per la comunità, e nello stesso contesto ci sono altri animali che non si sacrificano, il risultato sarà il seguente: estinzione degli animali che si sacrificano, permanenza per quelli che non lo fanno. Il vantaggio derivato dal sacrificio, per chi rimane, non è rilevante, perché “l’entità sulla quale avviene la selezione non è la popolazione, ma il singolo individuo” (Vittorio Hosle da “Etologia e comportamento umano”). Se però dovessimo pensare ad una mamma che si sacrifica per i propri figli, chi rimane avrà sicuramente con sè il gene di chi si è sacrificato poichè suo diretto discendente. Potremmo allora dire che la mamma è ricorsa al sacrificio solo perchè consapevole di lasciare comunque una traccia di sè? E quindi potremmo pensare che oltre al nucleo famigliare, tale gene non sia trasmissibile? A fronte di queste considerazioni, non saremmo mai altruisti puri.

Forse, quanto scritto finora, è vicino a quello che avviene fra gli animali. Per gli uomini, si delinea uno scenario diverso e risulterebbe davvero impossibile pensare che qualcuno possa essere altruista solo perchè, previa elaborazione di un attento calcolo, abbia individuato un risultato che gli faccia gola. Non dico che questo non  avvenga, altrimenti potrebbe essere quantomeno utopico e non interessato, l’agire e la sua conseguente ostentazione, di certi politici del nostro tempo nell’affrontare problematiche comuni (utilizzo non a caso questo aggettivo).

Vorrei però portare l’attenzione su un altro punto di vista. Un uomo, che agisca in modo altruistico, non è un uomo irrazionale. Chi è altruista, è costruttore di collaborazione, è colui che impianta in un microcosmo il seme della fiducia reciproca. E la collaborazione è la base per la nascita di grandiose opportunità “utili”, meglio, accessibili a tutti. Considerando piccoli contesti, è più probabile che la propensione ad agire a beneficio di altri, sia presente. Ma ciò potrebbe essere un’arma a doppio taglio: aperti fra sè, e introversi con gli altri. Collaborazione all’interno, chiusura verso l’esterno. Sopravvivenza del proprio sistema, indifferenza verso il sistema diverso. Sembrerebbe egoistico anche tutto ciò, ma soprattutto in antitesi rispetto alla globalizzazione che caratterizza il nostro secolo, ed è un enorme limite a sviluppo e crescita, in primis sociale oltre che economica e legalitaria.

Ne è un esempio il Sud del nostro paese, investito dal cosiddetto “familismo”, quel vincolo intenso di solidarietà fra i membri dello stesso nucleo familiare. Un fenomeno questo, che molto ha giovato allo Stato in ambito di politiche sociali e welfare in generale, e che ha trasformato la famiglia italiana (in particolare quella meridionale) nel primo, talvolta unico e più efficiente, ammortizzatore sociale. Detto ciò, è opportuno specificare che l’altruismo non  è un atteggiamento a cui ricorrere di fronte al disagio, piuttosto è prevenzione allo stesso attraverso il cooperare, ed è promozione di benessere diffuso. E’ ciò che motiva il relazionarsi e che di conseguenza, ci mette in “rete”. Quest’ultima, fatta di fiducia è la pasta del capitale sociale (Armida Salvati, “Alla ricerca dell’altruismo perduto”), quel concetto immateriale che unito a capitale fisico (economico)  e a quello umano (esperienze di vita, conoscenze della persona) può favorire lo sviluppo, ovviamente nullo se non preceduto da crescita di risorse.

Credo perciò che sia appropriato sostenere che l’altruismo faccia naturalmente parte del sociale, non dell’uomo in sè, ma dell’uomo in società. E’ in questo contesto che si utilizzano termini come “pubblico”, “collettivo”, “comune”. E proprio in riferimento a questo, Alessandro Pizzorno, fra i più importanti sociologi italiani del ‘900, afferma che l’individuo sia in grado di personalizzarsi, di appropriarsi di una identità che riconosca come propria, solo nel far parte attivamente di un tutto.Non un altruismo frutto di strategie, ma spontaneo risultato del momento in cui si entra in contatto con l’altro da sé. Non un atteggiamento dettato da interesse, ma la causa e contemporaneamente l’effetto del partecipare all’azione per altri, con gli altri, nell’implementazione della propria identità.

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