La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Articolo 18, totem e tabù

Scritto da – 10 Ottobre 2014 – 15:59Nessun commento

La Legge 300 del 20 maggio 1970, conosciuta come “Statuto dei Lavoratori”, è oggi al centro di un aspro dibattito, scaturito dalla proposta avanzata dal governo Renzi di riformare il mercato del lavoro con una nuova legislazione; il disegno di legge, detto “jobs act”, prevede tra le altre cose l’abolizione – non è ancora chiaro se parziale o totale – dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, cioè dell’articolo che stabilisce il reintegro nel proprio posto di lavoro, pubblico o privato, se il licenziamento non ha una giusta causa.

Le dichiarazioni rese dal Governo e amplificate dai media ruotano intorno al concetto che l’abolizione dell’articolo 18 permetterebbe alle imprese di assumere più lavoratori e di conseguenza creerebbero molti posti di lavoro; ma la realtà è che la sua abolizione permetterebbe alle grandi imprese e alle multinazionali – le uniche ancora produttive e  in grado di creare lavoro – di licenziare con molta più facilità, aumentando il precariato. Le piccole imprese a conduzione familiare, cui questo articolo spesso non si applica in base al comma 1 dello stesso articolo – che prevede l’applicazione del reintegro soltanto alle imprese con più di quindici dipendenti e alle imprese agricole con più di cinque dipendenti – hanno infatti bisogno, come misura urgente, di una diminuzione della pressione fiscale cui sono sottoposte.

Un altro degli argomenti addotti per il superamento dello Statuto dei Lavoratori è la sua vetustà, in quanto risale al 1970; ma si tratta di una legge ispirata ai dettami costituzionali e, soprattutto, frutto di decenni di lotte sindacali condotte in anni in cui i diritti degli operai e dei lavoratori erano minimi. L’articolo 18 non solo non impedisce le assunzioni, ma permette al lavoratore di essere reintegrato nel proprio posto di lavoro se licenziato senza una giusta causa; ma se il licenziamento è stato deciso per seri e comprovati motivi, ad esempio per assenteismo, il lavoratore non può essere reintegrato. La volontà di cancellare questa conquista democratica è finalizzata alla creazione di un mercato del lavoro di stampo adulatorio, in cui sono precluse contestazioni e dissenso per giuste motivazioni – un salario troppo basso, orari di lavoro troppo lunghi – mentre nell’ambito pubblico permetterebbe di tagliare numerosi posti di lavoro attualmente ricoperti, con gravi ripercussioni sul funzionamento della Pubblica Amministrazione, già profondamente in crisi.

L’abolizione dell’articolo 18 è stata proposta generalmente dalla destra, in linea con le analoghe derive liberiste adottate negli altri paesi europei e negli Stati Uniti; già nel 2002 il governo di centro – destra tentò di cancellarlo, ma uno sciopero indetto dalla Cgil (le altre sigle sindacali, Cisl e Uil, non aderirono) per la difesa dello Statuto dei Lavoratori vide la partecipazione di quasi tre milioni di dimostranti. L’efficacia di questa normativa è stata però ridotta dall’introduzione  del lavoro precario, avvenuta sempre nel 2002; la crisi del 2011 e le misure introdotte dal governo Monti hanno provocato un ulteriore ridimensionamento dei diritti dei lavoratori.

Le polemiche sullo Statuto dei Lavoratori hanno creato una spaccatura all’interno del Partito Democratico, superata grazie ad alcune aperture del governo che ha proposto un’abolizione parziale dell’art.18 (il reintegro sarebbe comunque garantito per i licenziamenti disciplinari e discriminatori) e un confronto diretto con i sindacati, ma ha provocato la rottura con le opposizioni, sia di centro – destra, che vorrebbero un’abolizione totale, sia di sinistra, che chiedono di non modificare la legge e di ridurre la tassazione alle imprese.

Definire l’articolo 18 un “totem” della sinistra è assolutamente fuorviante, perché si tratta di una legge che ha consentito, in questi quaranta anni, il reintegro di migliaia di lavoratori che hanno rischiato di perdere il proprio posto di lavoro per la loro appartenenza sindacale, oppure per aver sporto denuncia contro malfunzionamenti o contro molestie subite; più che un relitto del passato difeso da sindacalisti nostalgici, lo Statuto è l’unica legge che permette ai lavoratori di mantenere intatti i propri diritti e la propria dignità.

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