Lars von Trier, anticristo melanconico
“Dogma 95 è azione di salvataggio […] Per Dogma 95 il cinema non è individuale […] Dogma 95 si contrappone al film individuale presentando un corpo di regole indiscutibili conosciute come Il voto di castità […] Per Dogma 95 il cinema non è illusione…” . Cos’è allora questo “Dogma 95”? Per coloro che non avessero una cultura cinematografica approfondita, potrebbe risultare qualcosa di assolutamente sconosciuto e indefinito. In realtà, si tratta di un vero e proprio manifesto, o meglio un movimento cinematografico, ideato dal più importante regista danese contemporaneo, Lars von Trier. Nel 1995 appare così questo “irriverente” manifesto che ha come obiettivo quello di sradicare quel cinema pieno di effetti speciali, inutili orpelli, ed investimenti economici eccessivi. Occorre, invece, un cinema “pulito”, con l’utilizzo della camera a mano, senza oggetti di scena e particolari scenografie. Infine, c’è il rifiuto netto per i film di genere, aspetto che rende “Dogma 95” un collettivo quasi esclusivo e fuori da un modo esclusivamente commerciale di fare e intendere cinema.
Diversi sono i film realizzati seguendo questo particolare manifesto e si possono ricordare, ad esempio, “Festen” di Thomas Vinterberg e “Idioterne” dello stesso Lars von Trier, tutti e due usciti nel 1998.
A far discutere è, tuttavia, sempre lui, Lars von Trier, personalità affascinante ma complessa. I critici cinematografici si possono dividere in due gruppi, quelli che lo adorano e coloro che lo criticano a causa del suo cinema troppo pretenzioso o per alcune sue dichiarazioni ritenute scomode e fuori contesto. Non si possono, infatti, dimenticare le diverse critiche che hanno ricevuto i suoi ultimi film, “Antichrist” (2009) e “Melancholia” (2011).
Nel primo caso i giudizi negativi, o comunque carichi di perplessità, sono da attribuire ad alcune scene ritenute troppo cruente. Evidentemente, c’è chi si sofferma ancora su questioni che oggi, invece, dovrebbero proprio essere ritenute senza peso. Si tiene così conto di alcune scene “forti”, senza tenere in considerazione il contesto in cui il film stesso è inserito. “Antichrist” è opera chiaramente di grande impatto simbolico, non facile da assimilare, ma non per questo privo di grandi qualità. Ci troviamo davanti ad un film ricco di archetipi, di simboli e metafore. L’uomo e la donna, la Ragione e l’istinto, l’intelletto e la Natura spietata. Tutte queste figure si scontrano in modo violento, il tutto calato in una suggestiva atmosfera cupa. Le considerazioni qui potrebbero essere infinite, anche perché molti sarebbero gli spunti per scrivere vere e proprie tesi di laurea sulla figura femminile nelle opere del regista danese. Le donne soffrono nei suoi film e sono spesso delle vittime, basti pensare alle protagoniste di capolavori come “Breaking the Waves” (1996), qui in Italia “Le onde del destino”, e “Dancer in the Dark” (2000). Il regista maltratta i suoi personaggi femminili ma, allo stesso tempo, le valorizza rendendole eroine tragiche. Inoltre, parecchi i riconoscimenti alle attrici, in particolare Emily Watson, Björk e Charlotte Gainsbourg. Ci si interroga spesso sulla presunta misoginia del danese e sul suo godimento per i drammi che coinvolgono proprio le donne. Anche qui i motivi di riflessione sono tanti e difficilmente si arriverebbe ad una visione comune, anche perché la sua personalità non è delle più facili da delineare. Si possono non condividere i pensieri e alcune considerazioni del regista, ma ci troviamo davanti ad un vero artista del cinema contemporaneo e dividere pubblico e critica può anche essere considerato simbolo di grandezza. Eppure, non è facile giustificare determinate sue recenti esternazioni. Non è semplice, infatti, dimenticare le sue dichiarazioni all’ultimo Festival di Cannes. Lars von Trier si è lasciato andare a critiche, neanche troppo velate, nei confronti di Israele ed a frasi di elogio nei riguardi di Albert Speer, architetto di Adolf Hitler e Ministro per la produzione bellica. Non si sono fatte attendere però le dure reazioni da parte degli organizzatori e della stessa stampa. Il regista, tuttavia, ha continuato a scherzare sul termine “nazista” e ciò, alla fine, ha comportato la sua espulsione dal Festival; anche se il provvedimento non ha determinato l’esclusione di “Melancholia” dal concorso. Il regista ha cercato poi di scusarsi e successivamente ha dichiarato di non volere più rilasciare dichiarazioni. Perché lasciarsi andare a simili battute senza reali motivazioni? Perché mettere in mezzo il nazismo e l’architetto di Hitler? Perché esprimersi così in un contesto come quello del prestigioso Festival di Cannes? Non c’è una reale motivazione e forse si potrebbe chiudere il discorso evidenziando la “follia” dell’artista. Lars von Trier è uomo, da sempre, pieno di fobie ed ha combattuto anche con la depressione. Tutto ciò, assieme alle sue esuberanze, all’essere fuori dagli schemi o dai canoni tradizionali del cinema, lo rende facilmente racchiuso nel binomio genio-follia. Così non rimane altro che concentrarsi sulle sue opere ed è forse l’unica cosa giusta e sensata da fare. Ci si sofferma, e non è questo solo il suo caso, sulla personalità e le vicende personali dell’artista e ci si dimentica, purtroppo, delle sue opere.
Pure in “Melancholia”, il suo ultimo film, i motivi di riflessione non mancano. I personaggi femminili risultano sempre in primo piano, ovvero le sorelle Justine (Kirsten Dunst) e Claire (Charlotte Gainsbourg), due donne completamente agli antipodi come personalità. La prima si è appena sposata ma, durante il ricevimento, inizia ad isolarsi ed a provare forti turbamenti. Il risultato sarà, dopo una serie di azioni immotivate della donna, un rapporto sessuale con un suo nuovo collega di lavoro e, quindi, la decisione del marito di andarsene. L’unica persona che rimane accanto a Justine è la sorella, che la ospita nella villa con cui abita assieme al marito ed al figlioletto. Oltre al dramma di Justine, donna che perde il contatto con la realtà ed ha il forte presagio che qualcosa di terribile stia per avvenire, c’è anche la tragedia che coinvolge la Terra intera. Il pianeta Melancholia, infatti, minaccia gravemente la Terra e il rischio dell’impatto è elevato. Da qui in poi, il film è tutto un crescendo di tensione emotiva, fino ad arrivare ad un particolare sentimento di rassegnazione. L’impatto appare inevitabile e tutti i personaggi si preparano, ognuno con il proprio modo, al loro tragico destino.
Il film appare più convincente nella seconda parte, mentre la prima ricorda troppo l’atmosfera tragicomica del già citato “Festen”. In alcuni punti si possono notare sequenze volutamente slegate, che possono allontanare lo spettatore dal tema centrale, ossia la fine del mondo, l’apocalisse.
La storia del cinema è piena di titoli con simili tematiche, ma la maggior parte delle volte sono “americanate” e, dunque, con un lieto fine, presenza degli immancabili eroi ed abbondanza di effetti speciali. Qui però il regista si chiama Lars von Trier e la fine del mondo non poteva essere rappresentata in modo classico, prevedibile ed un po’ banale. Probabilmente gli spettatori, specialmente quelli più giovani abituati magari ai film di Michael Bay e Roland Emmerich, potrebbero provare fatica e disagio durante la visione di “Melancholia”. Il regista danese ci propone però una delle sue opere più ambiziose e godersi la sua ultima fatica equivale ad una vera esperienza visiva ed emotiva. Non possiamo che sentirci in empatia con i personaggi ed entrare con loro, alla fine, nella “grotta magica”, l’ultimo estremo rifugio…
Lars von Trier si è lasciato andare a dichiarazioni come minimo incaute ed ha anche rischiato di compromettere la distribuzione del film stesso. “Melancholia”, tuttavia, ha trovato la forza necessaria per resistere alle assurdità del suo creatore. Kirsten Dunst ha, ad esempio, vinto come migliore attrice proprio a Cannes. Tutto risolto anche con la distribuzione ed il film ha così trovato il suo spazio anche nelle sale italiane, nonostante le parole di fuoco di alcuni addetti ai lavori e l’aperta indignazione di Gian Luigi Rondi, celebre critico e presidente del Festival Internazionale del Film Di Roma.
Chissà quali saranno i progetti futuri dell’ideatore del Dogma, ma c’è chi pronostica un cambiamento nel suo modo di interagire con la stampa e, perciò, non sarebbe da escludere un duraturo silenzio, proprio come quello che continua anche oggi a caratterizzare la vita artistica di Terrence Malick, il regista geniale di “The Tree of Life”, che non concede interviste dalla metà degli anni ’70.
Il nemico principale di Lars von Trier non è rappresentato dall’insieme di quei critici a lui ostile o dai soliti benpensanti, bensì è proprio lui stesso, il suo essere un genio e uno sregolato allo stesso tempo. Il regista potrebbe anche aver deciso di sperimentare sulla sua pelle uno status paragonabile a quello dei protagonisti di “Idioterne”, che simulano di essere ritardati mentali, con l’obiettivo di ricercare la condizione di “idiota” presente, in realtà, in ognuno. Un grande pensatore come Erasmo da Rotterdam potrebbe al limite apprezzare l’esperimento, perché la vita, in fondo, è un proprio un gioco della Follia.
Andrea Vosilla
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