La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Newroz 2013: Curdi e Turchi ad un passo dalla risoluzione del conflitto

Scritto da – 27 Marzo 2013 – 15:35Un commento

Il 21 marzo 2013 ha segnato una data importante verso una risoluzione del conflitto armato tra il popolo curdo ed il governo di Ankara che negli ultimi trentanni ha causato più di 40.000 vittime tra civili, soldati ed esponenti del PKK, il partito dei lavoratori curdi che fa capo ad Abdullah “Apo” Ocalan.

Un tuffo nella storia

La nascita del popolo curdo è da imputare ad un’iscrizione assira dell’835 a.c quando per la prima volta vennero menzionati i Medi, già ai tempi impegnati nel conflitto con i Persiani. Sarà poi l’archeologia ad attestare il loro arrivo nell’altopiano iranico nel II millennio a.c., mentre secondo una più recente classificazione firmata dall’antropologo italiano Alberto Salza nel suo Atlante delle popolazioni, i curdi sono un’antica popolazione nomade dedita maggiormente all’allevamento bovino. Furono poi i trattati di pace successivi alla prima guerra mondiale a determinare la storia contemporanea del popolo curdo. Al trattato internazionale di Sevres, firmato il 10 agosto 1920, il quale prevedeva la creazione del Kurdistan, il 24 giugno 1923 Gran Bretagna, Francia Italia, Romania, Grecia e Giappone firmarono il trattato di Losanna che di fatto restituiva alla Turchia la sovranità in tutta l’Asia minore e di conseguenza mise fine al sogno della creazione dello stato indipendente del Kurgistan. A completare il quadro fu ancora una volta la Gran Bretagna che nel 1925, nel tentativo di proteggere i suoi interessi economici, incorporò la zona di Moussol all’Irak.

Bisogna quindi affermare che sono state discutibili scelte di politica internazionale a castigare la popolazione curda alla “diaspora” o meglio, osservando la cartina geopolitica mondiale, a condannare la stessa ad una divisione forzata che oggi si traduce in 5 minoranze etiniche sparse sul territorio di quattro Stati: Turchia, Iran, Irak e Siria.

La nascita del PKK

Il PKK, partito dei lavoratori curdi, nacque come evoluzione di un organizzazione di Ankara a stampo maoista dopo il golpe di stato militare del 1971. Saranno poi i fratelli Osman e Abdullah “Apo” Ocalan, stanchi delle continue privazioni ai danni del popolo curdo, a trasformarlo nel 1978 in un partito politico che nei suoi primi anni diede vita ad una vera e propria campagna contro le istituzioni turche. A segnare la svolta fu il colpo di Stato del 1980 con il quale l’esercito turco prese il potere ed al quale seguirono, oltre allo scioglimento di tutti gli organi democratici del Paese, una serie di divieti mirati all’epurazione della cultura curda. Nei quattro anni che seguirono, il PKK scelse la via delle armi e nel 1984, anno in cui il Paese tornò ad avere un governo almeno sulla carta democratico, nella regione dell’Anatolia meridionale ebbe inizio una stagione di violenze che ad oggi conta più 40.000 vittime tra civili e soldati.

Dal 2000 ad oggi

L’avvento del 2000 fu segnato da quello che oggi potremmo definire il peggior attacco terroristico di sempre: l’attentato alle torri gemelle. Gli sviluppi della vicenda portarono l’Unione Europea ad annettere l’ormai disciolto PKK alla lista delle organizzazioni terroristiche. Con il senno di poi, e senza dimenticare che il PKK ormai da quattro anni aveva abbandonato le armi, possiamo comprendere l’errore fatto dall’Europa che con questa decisione legittimò l’utilizzo dell’esercito da parte del governo di Ankara e che di fatto segnò la ripresa della lotta armata. Nel 2006, nel tentativo di indebolire le fila dei guerriglieri curdi, il governo turco approvò una legge antirazziale a sfondo fascista secondo la quale ogni minorenne sospettato di qualsiasi rapporto con il PKK può essere arrestato e processato secondo le normali procedure per il caso. Al contrario da quanto pronosticato molti di quelli che prima si limitavano a simpatizzare, decisero di abbracciare completamente la causa curda e si iscrissero al PKK.

Il lungo ed insinuoso cammino verso il riconoscimento dei diritti fondamentali per ogni curdo sunnita, oggi come allora, transita attraverso interessi economici e di politica nazionale ed internazionale.

Newroz 2013, un passo verso la risoluzione del conflitto

“Oggi è il tempo di deporre le armi ed intraprendere un cammino di pace che possa condurre il popolo curdo al riconoscimento dei propri diritti”. Da mesi si vociferava la possibilità che il capo del PKK Abdullah “Apo” Ocalan, dal 1999 in esilio nella prigione sull’isola di Imrali, stesse preparando un messaggio per il popolo curdo che puntuale è arrivato nel giorno più importante dell’anno secondo il calendario iranico: Newroz. Il 21 marzo a Dyiarbakir ad ascoltare queste parole lette prima in turco e poi in curdo da due esponenti del Bdp (Partito Pace e Democrazia), il partito legale filocurdo, c’erano più di due milioni di persone pronte ad esprimere la loro solidarietà alla trattativa di pace. La lettera scritta da Apo, che in lingua curda significa zio, è il risultato del difficile dialogo avviato a novembre tra il governo turco, per mano del capo del MIT (i servizi segreti turchi) Hakan Fidan, ed il leader del PKK.

Puntuale la risposta del primo ministro turco Recep Tayyin Erdogan il quale ha commentato: “ L’appello di Ocalan segna un passo importante verso una risoluzione pacifica del conflitto e se i guerriglieri curdi rinunceranno alle armi, la stessa misura verrà adottata dall’esercito”. Oltre alla rinuncia alla lotta armata, Ankara chiede il ritiro dei guerriglieri oltre i confini turchi ed in cambio assicura l’immunità per gli stessi.

Quello che le istituzioni non dicono

Sulla strada del dialogo troviamo ancora una volta interessi economici e risvolti di politica nazionale ed internazionale. In primo luogo bisogna ricordare che la necessità di Ankara di rinnovare l’approvvigionamento energetico ha da alcuni anni avvicinato la Turchia al Kurgistan iracheno e, cercando di allargare la veduta, si evince come questa possa essere stata un’apertura a tout court. Il secondo fattore da mettere sulla bilancia è la guerra che tutt’oggi interessa la vicina Siria. Nel corso dell’ultimo anno la situazione nel paese è peggiorato notevolmente ed oggi, ai crimini ed alle vittime di guerra, si contano oltre un milione di profughi. La crisi scaturita dal conflitto ha toccato anche i curdi siriani e la mossa di Erdogan potrebbe essere mirata a scongiurare un ingrossamento delle fila del PKK. Il terzo fattore, ma non per questo meno importante, sono le elezioni del 2014. Da anni il primo ministro sta tentando di rendere più presidenziale la Costituzione senza aver mai nascosto di volersi poi candidare come presidente, e la risoluzione della questione curda assicurerebbe un sicuro ritorno di immagine allo stesso.

Al di la della politica, cosa ne pensano le persone

Il 21 marzo ho avuto l’occasione di recarmi a Dyiarbakir ed ho approfittato della giornata per approfondire la questione parlando con i diretti interessati. La maggior parte delle persone con le quali ho avuto il piacere di conversare, uno su tutti il capo della polizia della città, hanno espresso più o meno lo stesso sentimento che qui cercherò di riassumere brevemente. “Il problema che da anni divide i turchi dai curdi è la questione del riconoscimento. Il governo di Ankara ha sempre cercato di epurare la nostra cultura ed un esempio su tutti è la scuola. Qui nel sud-est turco, a maggioranza curda, la nostra lingua non è mai stata riconosciuta e a scuola i nostri figli sono costretti a studiare in turco, lingua che imparano solo all’età di sei anni. Nonostante questo crediamo che la giornata di oggi possa davvero segnare un nuovo punto di partenza e ci auguriamo che le parole espresse non siano solo un trucco escogitato da Erdogan in vista delle elezioni”.

Più difficile invece è stato trovare dei turchi non di origine curda. In questo caso le opinioni sono contrastanti e qui cercherò di riassumerle. La prima corrente, quella più democratica, sostiene che “ il tempo delle armi deve finire e che troppe persone hanno pagato con la vita delle colpe a loro estranee”. La corrente più nazionalista al contrario, ha un’opinione molto dura al riguardo e a stento si esprime. “Tutto quello che sappiamo è che il PKK è un’organizzazione terroristica ed avviare un dialogo con loro significherebbe mettere a repentaglio la sicurezza nazionale”. Una terza corrente invece, sostiene: “crediamo che ogni uomo meriti di essere riconosciuto in quanto tale, senza differenza di religione, lingua o sesso. É anche vero però che gli atti di violenza non sono stati unilaterali e che spesso i primi a colpire siano stati gli affiliati del PKK. La giornata di oggi potrebbe essere l’inizio di un percorso di pace tra le parti, ma non dobbiamo dimenticare che una delle due è simboleggiata da un condannato a morte, “graziato” all’ergastolo nel 2002 in seguito all’abolizione della pena di morte in Turchia, che per anni ha fatto del braccio armato il suo credo”.

 

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