La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Maimuna Feroze Nana: l’arte in grado di rompere il silenzio violento celato dal Burqa

Scritto da – 12 Giugno 2013 – 14:322 commenti

Mattinata del 4 giugno 2009.  53° Festival Internazionale d’Arte di Venezia.  “Dietro la grata di cotone del burqa che indosso con altre 14 donne per partecipare alla performance artistica dell’artista pakistana Maimuna Feroze Nana, ho appena guardato anche il campanile di San Marco, lontano e sfocato. Davanti all’entrata dei Giardini della Biennale si fermano tutti per scattare delle foto e riprenderci con le telecamere, vedo anche passare delle persone che conosco ma è inutile provare a chiamarle: non mi sentirebbero. Non so nemmeno come sono riuscita a camminare fin qui senza inciampare.”  Sono le parole di una delle donne in collaborazione con l’artista pakistana per la performance “I diritti negati. Donne tra Oriente e Occidente”. Rappresentare in prima persona il dissenso nei confronti di verità tabù è una prova tangibile di sensazioni che non potranno mai essere dimenticate.  Maltrattamenti e  lapidazioni su donne inermi: è questo il messaggio, il segnale di una voce che dice “No” attraverso quindici corpi femminili.

La Performance è frutto di un percorso interiore, di riscoperta dell’essere già rappresentato con le sculture cucite realizzate negli anni precedenti.   Cuciture – emblema della violenza sulle donne orientali che non hanno la possibilità di ribellarsi e di slegarsi dalle catene imposte in culture dogmatiche. A tale proposito Miamuna alla Biennale utilizza un filo rosso per unire il gruppo di donne. Filo come vincolo per esprimere la continua negazione della libertà personale delle donne nei regimi talebani o altrove e il colore, rosso come il sangue versato durante le lapidazioni al quale fanno riferimento le pietre poste ai piedi delle donne. Il rosso che ritroviamo anche nei punti delle sculture di stoffa  è una costante dell’opera di Maimuna da intendersi come ferita,  ma anche come varco nel corpo che la cultura buddhista definisce punto di partenza, principio di comunicazione tra un individuo e l’altro.

Nodo centrale è il burqa. Metafora della condizione femminile. Ed è qui che il messaggio di Maimuna viene ad infrangersi come uno tsunami contro dettami finora invalicabili. La sua impresa parte da Venezia con l’auspicio di risvegliare la voce di tutte le donne che ormai hanno perso la speranza di avere anche solo una possibilità di riscatto. Una performance muta ma al contempo strepitante che lascia attoniti e che pur presentando una realtà lontana da quella che viviamo riporta comunque problematiche attuali riguardanti ogni singola donna segnata da soprusi incancellabili in qualsiasi parte del mondo. Rappresentazione che ha trasmesso a chi ha avuto la possibilità di vederla dal vivo variegati sentimenti che vanno dallo stupore all’amarezza per poi arrivare alla rassegnazione e allo sdegno totale. Più di ogni altra cosa,però,  è in grado di insidiarsi nell’animo di chi l’ha vissuta in prima persona,  come appunto spiega una delle 15 donne in burqa “ Quando finisce la performance, attendo ancora un minuto prima di sfilarmi la copertura, e poi prendo coraggio: via! Ecco tornare il campo visivo, il verde degli alberi, i colori, i sassi e il fango, e gli occhi di tutti. Sono tornata, ed è come vedere il mondo per la prima volta.”

Confrontarsi con culture lontanissime tra loro è sempre complicato e in certi versi insopportabile, soprattutto se l’indagine si sviluppa all’interno di noi stessi. Nonostante le difficoltà iniziali l’artista pakistana Maimuna Feroze Nana partendo dalla sua vita e dall’ indagine dell’ Io attraversa una storia dalle mille sfaccettature e incrocia una realtà impegnativa. In questo modo è riuscita ad azionare un meccanismo di auto-ricerca nel fruitore.  Il ventaglio di culture orientali si presenta come un velo che ricopre e nasconde donne-artista di grande talento.

È questo il caso di Maimuna che dopo aver trascorso trent’anni della sua vita a fare da mamma e moglie riporta alla luce il suo “essere artista” nascosto in lei da quando era bambina fino all’età di settantacinque anni. Nata a Hyderabad nel deserto del Sindh cresce in una famiglia di élite liberale con un grande interesse artistico e culturale tramandato di generazione in generazione. Sicuramente si tratta di un’ infanzia privilegiata, e nessuno può mettere in dubbio che tale condizione familiare ed economica non abbia influito a livello intellettuale su Maimuna a tal punto da renderle indispensabile la comunicazione tramite forme alternative.

Ma importante è stato di certo il suo percorso formativo:   frequenta un convento cattolico di suore francescane e successivamente studia in tre accademie d’arte rispettivamente la Sir. J. J. School of art a Bombay, la Birmingham School of Arts and Crafts in Inghilterra e infine l’Accademia di Brera in Italia dove si stabilisce con il marito iniziando una “nuova vita” nella cittadina di Gubbio. In questo nuovo ambiente, trascorrendo mesi interi in solitudine tra il freddo e la natura, intraprende una vera e propria forma di meditazione. Si dedica allo studio dei mistici locali e in particolar modo a quello di San Francesco, riscontrando molte correlazioni tra l’Umbria e la culla dei mistici, la provincia del Sindh.

Le sue sono tutte esperienze di formazione di alto livello servite indubbiamente da trampolino  all’artista che mostra interesse fin da piccola per la filosofia,  grazie anche alla vicinanza  dell’amico di famiglia il filosofo Krishnamuti. Insomma è il clima di elevato rilievo intellettuale, artistico e la vicinanza con i membri  della lotta per l’indipendenza dell’India a circondare l’adolescente  Maimuna, mentre è l’ambiente mistico e meditativo a fare da culla all’ormai adulta scultrice e scrittrice e usare entrambi i termini per definire l’eclettica Maimuna non è affatto una svista. È lei stessa a spiegare infatti  “la scrittura è inseparabile dalla mia arte. Del resto anche il cucito è una scrittura sulla pelle. Scrivo sulle mie donne o sulle mani”.

Ma quello che è stato citato fino ad ora non è che il quadro, il contesto della storia di un’artista di elevata profondità. Per poterci avvicinare maggiormente è necessario scavare in quella che è l’anima dell’artista. Perché è proprio da questa che parte l’Arte: dall’interiorità, dall’essenza, dall’inaccessibile e dallo sconosciuto. Maimuna Feroze Nana spiega durante un’intervista  l’idea che ha sviluppato di Arte partendo dal concetto di un continuum sottoposto a rinnovamenti . E da questa definizione possiamo facilmente comprendere il passaggio dalla produzione di sculture formate da oggetti e stoffe riciclate alla performance del 2009. Si partiva da una voce interiore che “richiedeva” un lavoro di taglio e cucito su pezzi di stoffa per realizzare figure femminili. Un’ operazione basata sul principio dell’anima imprigionata in un corpo che cerca di esprimersi ed uscire attraverso il taglio in modo tale da ricreare un collegamento con il mondo esterno.

Una scultura svincolata che l’artista stessa al principio faticava a considerare arte. Eppure ben presto le divenne tutto chiarissimo: i lavori che portava a termine uscivano dal suo ventre ed erano la rappresentazione schietta di tutta la bruttezza, la cattiveria e la violenza che aveva dentro. Adesso si trattava invece di superare tale metodo comunicativo. Aggiungere alla stoffa la forza della pelle umana. Non si dava più voce alla sofferenza umana tramite la metafora delle cuciture su materiali riutilizzati, bensì si passava all’attacco virulento e inconfondibile utilizzando corpi femminili in carne ed ossa.

L’idea della performance vera e propria le è stata suggerita dal quadro “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich nel quale l’uomo rivolge lo sguardo sul mare, luogo dell’eternità e di ciò che è sconosciuto.Parliamo di arte nell’arte, quadro nella realtà: questa l’innovazione di una donna che ha fatto tesoro di tutte le esperienze regalatele da una vita piena di opportunità e di varietà artistico – culturali.

È nella sua casa tra le vaste distese d’erba a Gubbio dove Maimuna ha l’intuizione che la porta alla Biennale di Venezia: una donna di spalle coperta interamente dal burqa che osserva il mare, un’immagine al tempo stesso simbolica e suggestiva. Questo sarà solamente l’inizio, si spera, di una carriera artistica di smisurato spessore per un’artista che ha cominciato da pochi anni a suscitare scalpore adottando mezzi di comunicazione artistici innovativi in favore di contingenze fin’ ora troppo spesso rintanate in cassetti difficili da riaprire.

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