La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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La Bossi-Fini? Migliorabile ma senza abolirla

Scritto da – 28 Novembre 2013 – 15:52Un commento

È passato più di un mese dal naufragio di Lampedusa, un evento che ha colpito l’opinione pubblica e ha innescato una serie di dibattiti sull’immigrazione in Italia e sull’accoglienza riservata dal nostro paese ai profughi. L’Unione Europea ha destinato all’Italia quasi 500 milioni di euro per gestire i flussi migratori e per la concessione dell’asilo, cui vanno aggiunti altri 136 milioni per la gestione dei confini, distribuiti tra il 2007 e il 2013, ma non ha fatto nulla in ambito legislativo per creare una normativa comune ai paesi membri, delegando la gestione dei flussi migratori ai singoli stati e derubricandola come problema nazionale. La pressione sempre maggiore che i flussi migratori stanno provocando sull’Italia, su Malta, sulla Spagna e sulla Grecia non è stata finora oggetto di una seria discussione a Bruxelles, ma finalmente sta emergendo una linea comunitaria dopo il dibattito del 25 ottobre, segnato dal naufragio di Lampedusa.

I migranti utilizzano varie rotte per raggiungere i paesi dell’Unione Europea bagnati dalle acque del Mediterraneo; nella parte orientale, le imbarcazioni salpano dall’Egitto e recentemente anche dalla Siria alla volta della Grecia e dell’Italia, approdando in Calabria oppure risalendo lungo l’Adriatico alla volta delle coste pugliesi, raramente giungendo fino ad Ancona, mentre l’isola di Cipro è la principale destinazione di molte rotte che partono dalla Turchia o dalla Siria.

Le rotte impiegate per raggiungere la Spagna sono due, la prima attraversa lo stretto di Gibilterra partendo dal Marocco e ha come approdo le coste dell’Andalusia, ma l’aumento dei controlli da parte spagnola negli avamposti iberici di Ceuta e Melilla ha portato all’apertura di una seconda rotta che, partendo dall’Algeria, termina nella costa della Murcia e di Valencia oppure nelle isole Baleari; esiste anche una terza rotta che parte dalle coste dell’Africa occidentale (Sahara spagnolo, Mauritania e Senegal) e arriva alle Canarie. La rotta del Mediterraneo centrale invece ha i suoi punti d’imbarco in Tunisia e in Libia e termina in Sicilia, a questa va aggiunta un’altra rotta, meno utilizzata, che parte dall’Algeria e approda in Sardegna; Malta, che fino a pochi anni fa concedeva un visto temporaneo ai migranti, ha chiuso le frontiere e le rotte che facevano capo all’isola vengono dirottate verso la Sicilia, con azioni congiunte della Marina italiana e di quella maltese per salvare le imbarcazioni dei migranti in difficoltà.

I paesi destinatari delle rotte hanno reagito in vari modi; l’Italia, ad esempio, ha ristretto la concessione di asilo e di cittadinanza ai migranti con la legge 30 luglio 2002 n.189, la cosiddetta “Legge Bossi – Fini”, che vincola l’acquisizione della cittadinanza italiana alla prestazione di un lavoro da parte del migrante, con l’obbligo di rinnovare il permesso di soggiorno periodicamente, cosa che rende sempre più difficile ottenere la cittadinanza. L’art. 5 bis, al comma 1, inoltre dispone che il datore di lavoro debba garantire la disponibilità di un alloggio “Che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica”, ma un’inchiesta di National Geographic Italia effettuata nell’aprile 2009, giusto un anno prima della rivolta degli immigrati, aveva mostrato le spaventose condizioni di vita dei lavoratori, che vivevano in capanni privi persino dei più elementari servizi igienici.

Un altro aspetto della legge, molto contestato, riguarda la cittadinanza dei figli dei migranti ed è incentrata sulla contrapposizione tra Ius soli (diritto di suolo) e Ius sanguinis (diritto di sangue), la prima concezione vincola l’acquisizione della cittadinanza italiana alla nascita sul territorio nazionale, mentre la seconda, oggi in vigore, riserva la cittadinanza esclusivamente a chi è figlio di genitori italiani; questa disposizione esclude così dalla cittadinanza, fino al compimento del diciottesimo anno d’età, persone nate nel nostro paese. La parte della legge che è stata maggiormente contestata dopo il naufragio di Lampedusa è il comma 1 dell’art.12, che commina “A chi procura l’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente la reclusione fino a tre anni”, oltre ad una multa che può arrivare fino a 15000 euro per persona; questo comma ha costretto molte persone a non poter prestare soccorso alle imbarcazioni in difficoltà o che stavano già affondando.

La legge Bossi – Fini è stata l’ultima, in ordine di tempo, emanata nel nostro paese in tema di immigrazione, dopo la legge Martelli del 1990 – promulgata in seguito all’aumento dei primi flussi migratori degli anni ’80 – e la legge Turco – Napolitano del 1998, di cui la Bossi – Fini sarebbe solo un’estensione, ma che di fatto ne ha inasprito molte disposizioni e l’ha modificata in gran parte, soprattutto riguardo alla concessione del diritto d’asilo e della cittadinanza.

Nel 2006 Amnesty International aveva già mostrato l’incompatibilità della Legge Bossi – Fini con il resto dell’ordinamento legislativo italiano, perché contrasta con la Convenzione delle Nazioni Unite dei Diritti dei Rifugiati, in quanto permette il respingimento dei richiedenti asilo verso i paesi d’origine, anche se in questi possono essere oggetto di persecuzione o di altre ritorsioni.

L’anno successivo, in seguito alle rimostranze da parte dei tribunali di alcune grandi città italiane, che avevano chiesto un parere riguardo alla detenzione prevista per gli immigrati clandestini che restano nel territorio nazionale dopo essere stati espulsi, la Corte Costituzionale ha ribadito la costituzionalità della legge.

La questione del respingimento dei clandestini rimane uno dei nodi più intricati della legislazione italiana, a partire dalla Legge Martelli che l’aveva introdotta, sancendo il termine perentorio di quindici giorni per abbandonare il territorio nazionale.

La legge Turco – Napolitano, del 1998, istituì i Centri di permanenza temporanea e di assistenza per trattenervi gli immigrati sottoposti a decreto d’espulsione quando si stavano ancora compiendo gli accertamenti sulla cittadinanza e sulla sua identità. Oggi i centri sono suddivisi in due categorie, i “centri di accoglienza richiedenti asilo” (Cara) e i “centri di accoglienza” (Cda); i primi sono distribuiti in tutta Italia, da Gradisca d’Isonzo, vicino Gorizia, a Cagliari, dove il centro svolge anche funzioni di primo soccorso. I più grandi di questi centri sono quelli di Castelnuovo di Porto, vicino Roma, con 650 posti, quello di Crotone (875 posti) e i centri pugliesi di Foggia e Bari, che insieme mettono a disposizione quasi 1600 posti. Il centro di accoglienza più grande è invece quello di Lampedusa, che conterebbe 381 posti ma che oggi sono ridotti a 250 dopo che alcuni immigrati l’hanno incendiato per protesta; altri 360 posti sono disponibili nel centro di Caltanissetta. Il commissario Ue Cecilia Malmstrom, responsabile degli Affari Interni dell’Unione, ha ammonito il governo italiano a rendere dignitose le condizioni nel centro di Lampedusa, senza tenere conto del fatto che gli operatori sanitari che vi lavorano giorno e notte sono allo stremo e hanno chiesto di trovare una soluzione alternativa, non essendo più in grado di fornire una copertura adeguata agli ospiti. La lentezza nell’identificare gli immigrati, inoltre, è causa di continue tensioni, com’è accaduto a fine ottobre, quando alcuni migranti hanno bloccato una strada e incendiato alcune vetture; fortunatamente, non si è trattato di una rivolta vera e propria, come quella accaduta nell’aprile 2010 a Rosarno, provocata da alcuni immigrati esasperati dall’ennesima provocazione.

In ogni caso, l’Unione Europea, per voce del Commissario, si è detta “pronta a procedere contro l’Italia”, se non rende migliori le condizioni di vita nel centro, annunciando nuove sanzioni economiche a carico del nostro paese.

Oggi gli immigrati in Italia sono più di quattro milioni e mezzo, con un incremento del 7,9 % registrato nel 2011 dall’Istat, mentre la natalità, con 78 mila bambini, è il 13, 9 % del totale dei nati in Italia, leggermente in calo rispetto a qualche anno fa, nel 2009 ad esempio era aumentata del 6,4 %; la distribuzione dei migranti stessi è disomogenea, l’86 % circa vive al nord contro appena il 13 % registrato al sud.

Le comunità maggiormente presenti sono quella romena con 968.576 unità (con l’entrata della Romania nell’Unione Europea e la facilitazione dei flussi gli immigrati romeni sono aumentati del 283 % tra il 2005 e il 2010, e sono raddoppiati tra il 2006 e il 2007) seguiti da albanesi (482.627), marocchini (452.424) e cinesi (209.934), ma vi sono anche folte comunità ucraine, filippine, moldave, indiane, polacche e tunisine; in tutto, gli immigrati costituiscono il 7,5 % della popolazione residente in Italia. Il numero maggiore di richieste d’asilo nel 2012 è stato registrato dalla Germania (75.000), seguita dalla Francia (60.000), dalla Svezia (44.000) e infine dal Belgio e dalla Gran Bretagna, entrambe con 28.000 richieste, mentre l’Italia ne ha ricevute 15.700.

Il problema dell’immigrazione è stato finora gestito dai singoli stati europei, ma il naufragio di Lampedusa ha mostrato che il problema riguarda l’intera Unione Europea; tra i progetti già messi in campo c’è l’operazione “Mare Nostrum”, che dovrebbe controllare i flussi migratori nel Canale di Sicilia allo scopo di impedire ulteriori naufragi, con l’impiego dei mezzi militari della Marina e dell’aeronautica. L’Unione Europea ha elaborato un piano di sorveglianza dei confini europei, detto “Eurosur”, che però non è ancora entrato in funzione, ma ha già attivato la missione “Frontex” sul controllo delle frontiere del Mediterraneo.

Le polemiche che si sono accese all’indomani dei fatti di Lampedusa sono state in larga parte strumentali, perché hanno quasi addossato la responsabilità del naufragio all’Italia o ad un presunto disinteresse da parte dell’Unione Europea, ma non hanno tenuto conto né del lavoro immane e drammatico svolto dai soldati e dagli operatori sanitari che lavorano nei centri di accoglienza, né del fatto che l’Italia è stata da sempre uno dei paesi più aperti all’immigrazione, molto più ad esempio di Malta o della Spagna, che nel 2005 aveva militarizzato il confine tra Ceuta e Melilla e qualche anno più tardi ha stretto un accordo con il Marocco sulla riammissione dei clandestini da parte del paese africano, anticipando il trattato stipulato tra l’Italia e la Libia nel 2009.

La legge Bossi – Fini dev’essere certamente aggiornata e in alcune parti deve essere del tutto modificata, ma abolirla senza aver prima preparato almeno una disposizione provvisoria esporrebbe il paese ad un pericoloso vuoto normativo nel momento peggiore, perché a causa dell’instabilità dei paesi nord africani, causata dalle Primavere Arabe e dalle guerre civili che in alcuni casi vi sono succedute, non c’è più nessuna autorità vigilante sulle coste da cui partono le imbarcazioni cariche di migranti, quindi i flussi migratori sono destinati ad aumentare sempre più.

L’atteggiamento migliore da tenere nei confronti degli immigrati dovrebbe essere apolitico, per evitare aperture e chiusure ingiustificate; gli stranieri, infatti, non dovrebbero essere né demonizzati, né giustificati di ogni cosa, ma andrebbero semplicemente accolti, registrati alle anagrafi e seguiti per impedire loro di essere emarginati, o di isolarsi volontariamente, dal resto della popolazione.

 

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