La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Messico: studenti dalla piazza alle fosse comuni

Scritto da – 16 Ottobre 2014 – 15:57Nessun commento

Una manifestazione di protesta per le vie della città contro i tagli che il governo ha introdotto nella riforma dell’istruzione che, a detta degli studenti, sarebbero discriminatori nei confronti degli istituti della loro città. Niente di più normale. Quante volte abbiamo assistito o anche partecipato a cortei diretti ad esprimere il dissenso per la continua diminuzione delle risorse destinate alla scuola. Cori, striscioni, canzoni e inni hanno da sempre periodicamente invaso le grandi metropoli per avere visibilità. La possibilità garantita al popolo di dissentire, opporsi, protestare è insita in qualsiasi democrazia, specie se la contestazione riguarda provvedimenti delle istituzioni che si reputano sbagliati e ingiusti, limitativi di diritti che invece dovrebbero essere garantiti. La libertà di espressione del pensiero priva di ritorsioni è uno dei principi cardine presenti in ogni Costituzione. Niente di più sbagliato.

Se sei uno studente di Iguala, nello stato di Guerrero, in Messico, rischi che i poliziotti sparino in mezzo alla folla ad altezza uomo mentre stai esprimendo la tua rabbia per l’ennesimo ridimensionamento di una scuola di formazione del corpo docente, o ti catturino e tu scompaia misteriosamente nelle campagne messicane. Questo è ciò che è successo il 26 settembre scorso in uno stato dilaniato dal conflitto tra i cartelli della droga, dove la quasi totalità del potere politico è corrotta, servente agli interessi dei pochi boss realmente potenti e dove le istituzioni ormai non fingono neanche più di avere tutto sotto controllo.

Le indagini coordinate dal procuratore generale di Iguala, Inaky Blanco Cabrera, stanno portando alla luce scenari apocalittici. Negli ultimi giorni è stato ritrovato il cadavere di un 19enne con il volto scuoiato; la caratteristica esecuzione in stile faida tra bande di narcotrafficanti ha portato a ritenere esistente e più che mai vitale una relazione intessuta a filo doppio tra la politica e la malavita, che da decenni irrora le casse pubbliche messicane di soldi provenienti dal traffico di marijuana e oppio, di cui il Messico è uno dei principali esportatori a livello internazionale.

L’accusa sarebbe infamante per qualsiasi stato moderno, e cioè che la polizia abbia chiesto l’ausilio dei malavitosi e cittadini armati per catturare e far sparire i dissidenti; i magistrati hanno già tratto in arresto 22 agenti e inviato un mandato di arresto per il sindaco Velasquez e il capo della municipale. Il primo cittadino ha sempre avuto rapporti personali e strettissimi con l’organizzazione denominata Guerreros Unidos, che come nelle migliori tradizione di guerra di mafia si è staccata da una costola del cartello dei Beltran Leyva per unirsi ai Los Pelones, diretti avversari dei primi. Ad aggravare ulteriormente lo scenario si è profilato il rinvenimento di sei fosse comuni a sud della città, dove sarebbero stati sepolti 34 corpi; aspettando il riscontro del DNA, il potere centrale altro non fa che manifestare imbarazzo. La linea difensiva principale delle istituzioni messicane, in casi come questo, è il silenzio, l’insabbiare tutto, non rispondere alle insistenti richieste dei familiari dei ragazzi sequestrati, comportarsi come se nulla fosse accaduto.

Questi avvenimenti ci dimostrano, ancora una volta, come la gestione del traffico di stupefacenti che frutta centinaia di milioni l’anno per le organizzazioni criminali non faccia altro che rendere il territorio su cui si innesta poverissimo e completamente privo del ben che minimo diritto fondamentale. Chi possiede il “vero” potere, la possibilità di imporre la propria volontà anche alle gerarchie più alte delle istituzioni, è chi possiede liquidità, che in momento di crisi nazionale e globale così intensa rappresenta l’unica fonte di legittimazione necessaria per avere il comando. Poco o nulla importa al capo che il singolo cittadino possa vedersi riconosciute libertà indispensabili, anzi se ci si oppone si viene fatti fuori senza possibilità di appello. E in questa logica perversa, addirittura, il potere pubblico che intende reprimere con la violenza le scomode manifestazioni di dissenso dei cittadini si rivolge  ai trafficanti, come se questi rappresentassero l’unica sicurezza all’interno di un paese così disastrato.

Se l’esempio della tragedia messicana può servire come macroscopica ed esasperante chiave di lettura di ciò che succede nel nostro paese, la conferma più che l’insegnamento che possiamo trarne è lampante. In un momento storico come questo, dove è l’economia e la necessità di denaro a far muovere gli ingranaggi della politica, dove sono le istituzioni che hanno bisogno di legittimazione perché viste come distanti e inconcludenti dai cittadini, la possibilità che le organizzazioni criminali si infiltrino nel tessuto istituzionale e si sostituiscano ad esso come unico gestore della giustizia sul territorio è elevatissima. Per scongiurare tale pericolo la risposta che deve arrivare dal governo dovrebbe essere forte e netta, una serie di provvedimenti per sradicare i capitali illeciti dai quali i malavitosi traggono potere. Solo così si potrebbe ristabilire l’ordine naturale delle cose, in un paese democratico. Ma come sempre avviene in casi del genere, l’opinione pubblica è ormai anestetizzata a questi problemi, stordita da una classe dirigente che punta a far distogliere l’attenzione da queste tematiche perché, se si affrontassero e reprimessero, ne uscirebbe di molto indebolita.

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