La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Lodo Mondadori, le balle di Libero

Scritto da – 12 Luglio 2011 – 09:31Nessun commento

Non sempre si è fortunati nella vita: a volte capita di imbattersi in eventi o persone che ci traumatizzano, rendendo meno salda la nostra fiducia nei confronti dell’umanità. Se pensate ad un’esagerazione, provate a vedere e soprattutto ad ascoltare il video con il quale tal De Manzoni, giornalista di Libero, commenta la sentenza emessa in data 09/07/2011 dalla corte d’appello di Milano in merito al risarcimento dovuto da Fininvest a Cir per il caso “Mondadori”: lo sgomento vi annienterà.
Questo giornalista della mutua inizia il monologo denunciando “l’enorme, abnorme, inaudita” cifra (cinquecentosessanta milioni di euro) con cui Fininvest dovrà risarcire la Cir: ora, sarebbe interessante che il De Manzoni, noto matematico ed insigne giurista, ci proponesse una cifra alternativa alla valutazione del Tribunale, così da permetterci di confrontare l’una e l’altra e comprendere quale insidiosa macchinazione rosso comunista si celi dietro il danaro che i giudici hanno imposto a Fininvest di pagare; ovviamente il De Manzoni, cui la storia ha ingenerosamente regalato un cognome che per tre quarti non merita, si limita a tacciare di abnormità quella cifra, senza spiegarci il perché. Probabilmente ignora quali siano le regole che la legge impone in sede di calcolo della responsabilità civile: se le conoscesse, saprebbe che il danno deve tener conto di una serie di parametri (danno emergente, lucro cessante, interessi legali, rivalutazioni ecc.) dai quali è certamente possibile che, visto il valore dello scippo (solo la quota di Fininvest in Mondadori è pari a circa trecento milioni di euro) e il tempo passato dal momento in cui è avvenuto (più o meno vent’anni fa), il risultato sia quella cifra enorme che tanto lo spaventa. Vedremo cosa dirà in proposito la Cassazione, ma siamo certi che qualunque cifra uscirà della Suprema Corte (nel caso in cui il verdetto dovesse essere confermato) per il Nostro sarà sempre “abnorme”, a prescindere.
Ma il peggio deve venire: si perché il Manzo, dopo essersi arreso al pallottoliere di fiducia, si spinge oltre e si avventura in un campo a lui ancor – se possibile – più ignoto, quello dei “presupposti giuridici” della sentenza.
Il ragionamento del Nostro è il seguente: la corte d’appello di Roma che nel 1991 sentenziò a favore di Fininvest e contro Cir era composta da tre toghe: di queste, solo Metta è stato corrotto con soldi di Fininvest per tramite degli avvocati del miglior Presidente del Consiglio degli ultimi seimila anni; gli altri due, non corrotti, hanno agito in piena e libera coscienza; quindi, conclude il Manzo, la corruzione di Metta (uno su tre) è risultata in un’ultima analisi ininfluente sulla decisione della Corte e quindi sulla “genuinità” della vittoria di Fininvest e del Cavaliere. Ergo, la fatidica domanda: “dov’è il danno subito da Cir? Francamente non si vede! Ed è su questa base che probabilmente la Cassazione dovrà riformare la sentenza!”.
Formidabile. Peccato che si tratti una stronzata colossale. E peccato soprattutto che nella sentenza del 09/07/2011, i giudici dedichino parecchie pagine a confutare proprio la sopra esposta tesi del De Mazoni, incidentalmente identica a quella di Fininvest. Basterebbe che il Nostro, prima di criticare una sentenza, leggesse la sentenza; prima di parlare di diritto, studiasse il diritto. Riportiamo alcuni passi della sentenza:
“La presenza di un componente dell’organo giurisdizionale privo del requisito di imparzialità, perché partecipe di un accordo corruttivo che lo delegittima in radice dalla funzione, infirma la validità dell’intero iter decisionale, per sua natura dialettico e sinergico. In sostanza in quel collegio non sedeva un giudice, quanto una parte.“.  Il che, senza nemmeno entrare nel merito della decisione del collegio, rende illegittima la sentenza perché viziata in uno dei presupposti fondamentali del diritto e dell’attività del giudizio: l’imparzialità della Corte, per l’evidente motivo che pure essendo uno soltanto il giudice corrotto, l’attività “sinergica e dialettica” con cui si arriva ad una sentenza, presuppone l’irrinunciabile libertà e imparzialità di giudizio di tutti i componenti della commissione.
Qualora il Manzo non sia particolarmente avveduto nelle questioni di principio (vedi giornalismo, matematica e diritto), per sua e nostra fortuna la sentenza non si limita a spiegare quanto sopra, ma entra specificamente nel ruolo preminente e prevaricante del corrotto Metta nei confronti degli altri due giudici componenti il collegio: il presidente Valente infatti, “si limitava a proclamare un approfondito studio sulla questione generale e teorica della validità dei patti di sindacato (…) questione interessante, ma non centrale per la decisione della Corte”; mentre la posizione del terzo giudice, Paolini “appare poi alquanto defilata e non particolarmente partecipativa”. Conclude la sentenza evidenziando “la dinamica decisionale di un collegio che ha visto la presenza decisiva del giudice relatore corrotto, il quale ha in concreto condizionato le determinazioni degli altri due componenti”.
Più chiaro di così forse è impossibile, con un po’ di sforzo potrebbe arrivarci perfino il Manzo. Che non ha letto la sentenza che critica eppure la critica, che non conosce nulla di diritto penale e civile eppure parla dei presupposti giuridici della sentenza come se li conoscesse e che soprattutto si crede un giornalista pur facendo un altro mestiere. Ma noi gli vogliamo bene lo stesso, perché almeno ci fa tanto ridere.

Fabio Ferrari


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