La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Le chiavi della Palestina

Scritto da – 23 Luglio 2014 – 13:37Un commento

Gaza, estate 2014, a un primo impatto potrebbe sembrare che si stia ripetendo ciò che avviene regolarmente ogni 12-24 mesi (gennaio 2009 operazione Piombo Fuso, novembre 2012 operazione Colonna di nuvole, ora operazione denominata “Margine di Protezione”), ossia la dimostrazione ennesima di una sproporzione di forze militari tra le Forze di Difesa Israeliane (IDF) e la milizia di Hamas; si ripete l’equiparazione mediatica tra il lancio di razzi e le centinaia di raid israeliani, dando risalto in modo altresì equo alla notizia “sirene su Tel Aviv”, protetta dallo scudo missilistico Iron Dome (paragonabile ai famosi missili Patriot USA), come se tutto fosse ovvio, normale. Si ripetono gli eventi, le situazioni, i bombardamenti e le centinaia di vittime civili a Gaza, ma non si ripete una sola cosa: la Storia. Considerando che la Storia non è magistra vitae, si potrebbe dire che non insegna mai agli Israeliani a non fare ciò che hanno subito, il più grande massacro etnico religioso conosciuto dalla storia. I palestinesi, vivono in una situazione di segregazione razziale sparsa per tutto il Medio Oriente; da Gaza alla West Bank, da Damasco a Beirut, vi sono sterminati campi profughi palestinesi, i quali vivono in condizioni disumane, conservando ancora le vecchie chiavi delle proprie case asfaltate dai bulldozer israeliani.

La Storia non si ripete perché bisogna considerare urgentemente un altro fattore; il cambiamento del contesto regionale, quello interno nella politica israeliana e nella sgangherata leadership palestinese. Visto che in questo breve scritto si rischia facilmente di trarre in confusione il lettore, si propende per un’impostazione maggiormente schematica.

Il contesto: dall’inizio del 2011 sono cambiati i molteplici rapporti di forza che vedevano la regione in un equilibro segnato da troppe crepe, le cui nostre sagge autorità hanno deciso di ignorare volutamente, celandosi dietro ad una vergogna paradossalmente impeccabile. I rapporti di forza sono cambiati, gli Stati Uniti hanno visto il loro equilibro e le loro certezze progressivamente sgretolarsi (Fratelli Musulmani si, Fratelli Musulmani no, per poi appoggiare Al-Sisi in Egitto), mentre il vuoto di potere è divenuto terreno di scontro tra nuove potenze regionali, ossia le Petromonarchie del Golfo, l’Iran e la Turchia (principali poste in gioco: Siria e Iraq). In questi due stati (soprattutto in Iraq, uno stato inesistente), è in atto un rafforzamento e un consolidamento delle fazioni islamiche, tra cui lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS), i cui sogni di ristabilire un califfato islamico sono sostenuti dall’Arabia Saudita e dal Qatar con ingenti somme di denaro; la circolazione di armi in aumento tutti i giorni nella regione non può che preoccupare Israele, così come il premier Benjamin Netanyahu, forte della formazione del nuovo governo in Israele, il 18 marzo 2013, non ha gradito l’abile mossa del nuovo presidente iraniano Hassan Rohani di negoziare con gli Stati Uniti sul nucleare. La mossa tattica del premier israeliano è, tra le altre, quella di inasprire i ritrovati dialoghi con l’Iran con un intervento a Gaza, da sempre nemico numero uno dello stato ebraico; la bellicosità di Hamas ne è semplicemente, per molti versi, la volvola di sfogo. I vicini di Israele sono in subbuglio, chi in guerra civile (Siria), chi in una perenne incertezza politica (Libano), ma anche chi (Egitto) ha gravi conflitti sociali; quest’ultimo attore è sempre stato determinante per gli equilibri nella striscia di Gaza, solamente che anch’esso, attualmente, favorisce Israele.

Egitto: le vicende egiziane meriterebbero un’accurata analisi, tuttavia, in questa sede è opportuno soffermarsi sui rapporti Egitto-Israele-Gaza. Mubarak sino alla sua destituzione è stato un solido alleato degli Stati Uniti e di Israele, combatteva il “terrorismo” come volevano i due clienti e chiudeva il valico di Rafah per strozzare, ancor di più, la vita della popolazione a Gaza; con la caduta del raìs e l’avvento dei Fratelli Musulmani, Hamas ha ricevuto immediatamente sostegno dalla nuova leadership egiziana con i relativi timori di Israele. Una volta destituito (esattamente un anno fa) l’ex presidente Mohammed Morsi, con l’ascesa dei militari al potere e la recente elezione di Al-Sisi, si è riaccesa la lotta ai partiti politici di ispirazione islamista, sia moderati che radicali; il risultato è stato che Gaza è nuovamente isolata dal mondo anche dalla parte egiziana e, considerando la mano libera di Israele, non fa che radicalizzare i giovani palestinesi, pronti ad arruolarsi nelle milizie di Hamas. La proposta di tregua recente proprio avviata dai servizi segreti egiziani è stata una farsa, che, negli effetti, avrebbe significato una resa per Hamas; farsa come lo sono stati gli accordi di Oslo del 1993, in quanto i bulldozer continuano la loro opera demolitoria e le colonie Israeliane aumentano.

Accordo Hamas-Al Fatah; forse uno degli avvenimenti che più hanno suscitato disappunto in Israele è stato sicuramente l’accordo tra le due principali fazioni palestinesi che, dopo ben sette anni di divisioni e un breve conflitto nel giugno 2007, prevede elezioni nella striscia di Gaza e nella West-Bank entro il 2014, di difficile attuazione. Israele ha rimproverato Abu Mazen (leader di Al-Fatah e presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese), «di aver stretto il patto con i terroristi» e di aver quindi lasciato la strada del dialogo con lo stato ebraico. Numerosi think thank affermano che per dare stabilità politica a ciò che rimane dei territori controllati dall’ANP e Hamas, siano pronti milioni di dollari qatarini, la cui traduzione in armi o infrastrutture è di difficile comprensione. Israele quindi ha colto l’occasione della morte di tre giovani innocenti israeliani e del diciassettenne palestinese, per dare un colpo di grazia ad Hamas dal punto di vista militare (semmai ce ne fosse bisogno), per far incrinare i ritrovati lievi rapporti Iran-USA e per dividere le fazioni palestinesi, già tali al loro interno, non da ultime le divisioni all’interno di Hamas e l’emergere di incontrollabili gruppi radicali salafiti, ricordando Vittorio Arrigoni.

Da un Medio Oriente sconvolto da guerre regionali, guerre civili e conflitti tribali dalla Libia all’Afghanistan, Israele ne trae sicuramente vantaggio dato che i suoi vicini sono in conflitto tra loro; in tal modo non ha problemi (non ha mai avuti, in verità), a bombardare Gaza e ad espandere le colonie alla prima sciocchezza compiuta da cellule salafite incontrollate da Hamas e men che meno da Al-Fatah; aggiungasi inoltre le varie blaterazioni del Segretario di Stato americano John Kerry per avviare la famosa “road map”, per conto di Israele, naturalmente.

Come detto all’inizio, la storia non è magistra vitae, tuttavia ciò che tinge di vergogna decenni di massacri in Medio Oriente è la non comprensione voluta delle responsabilità politiche degli stessi; la Storia può ben ricordare che i confini tra le entità statali in Medio Oriente sono state disegnate dalle cancellerie occidentali all’indomani della Prima Guerra Mondiale; Balfour si auspicava “la creazione di un focolare nazionale ebraico in Palestina”, senza tutela per le popolazioni autoctone, mentre l’accordo di Sykes-Picot del 1916 non è che la causa della fragilità degli stati medio orientali. Le responsabilità sono di chi gestisce il territorio e, di conseguenza, in modo diretto allora e in modo indiretto o neocolonialista oggi, esse ricadono sulla cecità o indifferenza per la sorte altrui delle politiche estere occidentali.

Dopo aver cercato di spiegare alcune concause che delineano la situazione attuale, chi scrive deve ancora rispondere alla domanda inziale; le chiavi della Palestina non le ha nessuno, esse sono state semplicemente dimenticate, mentre gli attori regionali ne scassano la porta per altre finalità politiche, senza curarsi dei danni “collaterali”. Fuor di metafora, la popolazione palestinese è stata oggetto di soprusi sin dalla spartizione del Medio Oriente nel 1916-1917 e, in verità, nessuno ha mai agito in modo deciso per la risoluzione del conflitto.

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