Paolo Rossi e il Mistero Buffo di Fo
Non è usuale scrivere la recensione di uno spettacolo pochi giorni dopo la fine della sua messa in scena, ma questo, di spettacolo, se lo merita davvero. A salire su un palco montabile in quindici minuti e smontabile in cinque “giusto il tempo di scappare prima che arrivi la polizia, quando chiuderanno i teatri e torneremo per strada”, ci sono Paolo Rossi, la sua spalla con chitarra elettrica Emanuele Dall’Aquila e il manichino Goran con le vesti stracciate e le manette ai polsi. Il perché di questa presenza, viene spiegato con il racconto di una storia di un gruppo di extracomunitari nascosti in un camion e fermati ad un posto di blocco dei Carabinieri a Lampedusa. Scendono e scappano tutti, ma Goran rimane e non racconta nulla al Maresciallo che lo interroga. I manichini saranno i prossimi attori del futuro, visto che ingaggiarli non costa nulla e raggiunto un certo numero “li dipingeremo tutti di nero, li caricheremo su un gommone, noi saremo vestiti da scafisti balcanici, che è l’abito che indossiamo di solito e partiremo da Peschiera per raggiungere una città del nord a caso, Salò! E vedremo l’effetto che fa, ai salottini, lo sbarco di un gruppo di manichini neri trasportato da degli scafisti balcanici!”. Questo è uno dei pezzi che introduce la piece vera e propria. Ovviamente raccontarlo così non è la stessa cosa che vederlo dal vivo.
La struttura del Mistero Buffo, per chi non lo sapesse, è composta da dei monologhi che raccontano alcuni episodi di argomento biblico, prendendo ispirazione anche da dei brani dei vangeli apocrifi. Il grammelot, ovvero il linguaggio utilizzato per raccontarci questa storia, è un misto tra dialetto triestino, inglese basico e padano antico. Ecco che la versione pop diventa anche un po’ rock, perché l’inglese basico sono titoli di note canzone dei Beatles che si mischiano alle preghiere, alle imprecazioni dei personaggi che si susseguono uno dopo l’altro. Il primo atto si chiude con la preghiera del comico, recitata anche da Fabio Fazio in “Chetempochefa”. Dario Fo ha sempre sostenuto di aver scritto i suoi testi non solo per far divertire e basta, ma ha sempre cercato di mettere dentro in quello che scriveva una crepa che mandasse in crisi le certezze, che suscitasse indignazione, che aprisse un po’ le teste.
Tutto questo avviene al momento dell’ultima scena, la crocifissione di Goran celebrata con il rito anarchico accompagnata da “Personal Jesus” remixata da Marylin Manson e la confessione dell’attore, di essere responsabile delle stragi avvenute in Italia durante gli anni ’70 così come dell’arrivo della mafia in Lombardia. In realtà è un paradosso, un comico che si assume la responsabilità per via della sua negligenza, comodità, egoismo, mancanza di fiducia negli altri che si scusa con la classe dirigente perché non si meritava una merda come lui e dichiara di essere stato protetto dal segreto di stato. Goran è un povero cristo, che cerca di attraversare il mare per trovare un posto migliore dove vivere, è uno degli ultimi e secondo regola Gesù sarà sempre tra questi. Forse non c’è possibilità che un altro salvatore arrivi in Italia a compiere miracoli, anche perché bisogna vedere se Maroni lo fa passare.
Fortunato chi è riuscito e chi riuscirà a vedere questo spettacolo, che vede un Paolo Rossi in stato di grazia in grado di raccogliere l’eredità del suo maestro interpretando il teatro come luogo di resistenza civile, sperando che Bondi non se ne accorga, regalando risate, emozioni e riflessioni. Il suo Mistero buffo coniuga leggerezza di spirito e profondità di carattere fotografando l’Italia di oggi, ma anche quella di ieri e visto l’andazzo avremo sempre bisogno di ridere delle nostre disgrazie, restituendoci la dignità come oppressi, dileggiando i potenti che da sempre temono la satira più di ogni altra cosa.
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