Il furto della Gioconda e l’italiano Peruggia :storia di un imbianchino e di un capolavoro
Era il 21 agosto 1911 quando la Gioconda venne portata via dalla sua storica sede a Parigi. Quella mattina, verso le 7.30, un uomo qualsiasi, un imbianchino di Dumenza (provincia di Varese), trasferitosi in Francia per cercare maggiore fortuna, entrò al Louvre senza essere notato-era stato addetto alle pulizie di quadri e cornici-nonostante fosse lunedì mattina, giorno di chiusura per la manutenzione settimanale delle sale. Arrivò rapidamente davanti al dipinto e, senza pensarci più di una volta, con abilità lo sfilò, lo nascose sotto il cappotto, ben aderente al proprio corpo, buttò la cornice nel sottoscala e cercò l’uscita.
Nessuno si era accorto della mancanza del quadro, ma Vincenzo Peruggia, questo il suo nome, fu colto da una strana inquietudine che gli fece sbagliare più volte strada e tram. Alla fine prese un taxi. Quando ci si rese conto dell’accaduto era troppo tardi: il ladro si era già dileguato con il bottino. Solo alle 17.30 fu avvertito il procuratore generale della scomparsa e venne avviata l’inchiesta, anche perché, fino a quel momento, si era creduto che la Gioconda fosse stata tolta dalla sua ubicazione per essere fotografata. Una leggerezza che costò cara alla polizia.
Fra i sospettati figurarono subito l’imperatore tedesco Guglielmo II, in aspri rapporti con i francesi in vista della guerra ’15-18 e Guillaume Apollinaire, convinto futurista che predicava la distruzione dell’arte “classica” in favore di qualcosa di nuovo. Fu talmente forte il clangore mediatico (e non solo) a seguito del furto che vennero persino interrogate delle indovine: la “Signora Elsa”, oltre a predire la scomparsa imminente dell’artista Lantheime, disse che la catastrofe era ormai compiuta e la Gioconda distrutta, mentre la maga De Siva, meno apocalitticamente, parlò solo di un luogo nel museo in cui era stata nascosta la tela.
E mentre la città di Parigi soccombeva sotto questo “delitto”, Peruggia appendeva il dipinto nella propria cucina, aspettando tempi migliori. Due anni dopo, però, decise di scrivere, sotto le pseudonimo di Leonar-di V., ad Alfredo Geri, antiquario di Borgo Ognissanti (Firenze), invitandolo ad acquistare la tela per 500.000 lire: “Sono un italiano, bazzico per motivi di lavoro un po’ in tutte le gallerie e mi va crescendo dentro una grande amarezza nel vedere quanti gloriosi capolavori d’arte realizzati in Italia, specie nell’epoca napoleonica, continuano ad abbellire le collezioni straniere. Ho deciso di restituirne almeno qualcuno alla mia patria. Se vuole aiutarmi non ha che da scrivere al mio indirizzo di Parigi” (29 novembre 1913).
Purtroppo l’affare si concluse in maniera negativa: l’11 dicembre Peruggia si diede appuntamento con Geri e Giovanni Poggi, l’allora direttore degli Uffizi, per lo scambio, ma questi lo tradirono e portarono opera e ladro in Prefettura; l’imbianchino scontò un anno e 15 giorni di prigione, mentre l’albergo in cui aveva soggiornato prima dell’incontro con l’antiquario cambiò nome in La Gioconda. Per i francesi, la giustizia aveva trionfato.
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