La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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L’Italia del fascio-catto-comunismo – Nostalgica e senza una bussola

Scritto da – 20 Aprile 2011 – 00:472 commenti

In parlamento c’è chi rimpiange il partito del duce e chi si spinge oltre, come l’onorevole (?) Scilipoti, che copia per il suo “Manifesto” politico dei responsabili alcuni spezzoni del testo scritto nel 1925 da Giovanni Gentile e gli altri intellettuali fascisti. La vicenda ha naturalmente scatenato un polverone: inutile, a parer nostro, visto che gli spezzoni copiati non sono per niente fascistissimi: “Responsabilità Nazionale è il movimento recente ed antico dello spirito italiano, internamente connesso alla storia della Nazione Italiana”; “Responsabilità è politica morale. Una politica che sappia coinvolgere l’individuo a un’idea in cui esso possa trovare la sua ragione di vita, la sua libertà, il suo futuro e ogni suo diritto”; “Responsabilità è concezione austera della vita, non incline al compromesso, ma duro sforzo per esprimere i propri convincimenti facendo sì che alle parole seguano le azioni”. E quindi? Il polverone ci pare inutile, anche perché da Scilipoti e il Movimento di Responsabilità nazionale nessuno si aspettava alcun vento di originalità, novità, freschezza. Scilipoti è quello, i “responsabili” (“disponibili” ci pare più adeguato) sono quelli. Si tratta di un ridicolo “copia e incolla”. Amen.

Apologia di questo, apologia di quello. La verità è che l’Italia è ancora ostinatamente immersa nel fascio-catto-comunismo: culturalmente, politicamente, socialmente. Una nazione che vive, anzi, sopravvive, grazie al cordone ombelicale che la lega alle ideologie novecentesche non può avere un futuro. Il fascio-catto-comunismo domina la scena culturale e politica. I regimi politici passano. I somari restano, trionfanti. Qualcuno prova ancora nostalgia della Democrazia Cristiana, altri sventolano bandiere rosse da museo. Già, il comunismo, il Pci. La vicenda ci consente di porci domande a cui nessuno vuole rispondere. Ci sono cose che proprio non capiamo, come l’esistenza/resistenza del Pci e dei suoi militanti, sempre pronti a posizionarsi a favore di telecamera ogni qual volta si riempie una piazza. Lì, in prima fila, perché la piazza è roba loro, sempre e comunque (secondo loro). In quella piazza passa un mendicante, chiede degli spiccioli. Il comunista dice che non li ha, probabilmente deve comprarci “L’Unità”.

Esiste l’apologia di fascismo. Perfetto. Andiamo per paradossi: pensate se in Inghilterra, in Francia o addirittura nell’ex colonia italica, la Libia, venisse fondato un nuovo Partito fascista, oppure, che sò io, Rifondazione fascista. All’inizio, i fondatori di tale partito si difenderebbero sostenendo che sì, si chiama “fascista”, ma di fascista non ha nulla, si richiama invece ai valori originari e mai attuati del fascismo. Lo diranno alla Gentile, che “il Fascismo è un movimento recente ed antico dello spirito francese/inglese, intimamente connesso alla storia della Nazione francese/inglese, ma non privo di significato e interesse per tutte le altre”, che “Codesta Patria è pure riconsacrazione delle tradizioni e degli istituti che sono la costanza della civiltà, nel flusso e nella perennità delle tradizioni”. La scusa non reggerebbe. Giusta l’apologia di fascismo, in Italia provocò comunque la morte e la guerra. Provate adesso a pensare se in Italia venisse fondato il Partito Comunista, oppure, che so’, Rifondazione Comunista.

Ripetiamo, ci sono cose che non capiamo. Non ci piace discutere del “possibile”, del “probabile”, del “teoricamente”. Il socialismo reale è quel modello al quale ancora si richiamano vari Stati asiatici (Cina, Vietnam, Corea del Nord) e la Repubblica di Cuba. Le sue caratteristiche istituzionali e politiche sono simili a quelle dello Stato autoritario: partito unico, concentrazione e personalizzazione del potere, negazione dei diritti civili e politici. Senza dimenticare che il principio della separazione dei poteri viene apertamente rifiutato in nome dell’opposto principio dell’unità del potere statale. Non esistono morti più morti di altri, né stragi più ripugnanti di altre, né popoli più virtuosi di altri. Il “cittadino del mondo” non può, non deve chiudere un occhio. E quando ci si riempie la bocca citando John F. Kennedy, sarebbe utile ricordarsi del discorso tenuto a Rudolph Wilde Platz, di fronte al Rathaus Schöneberg il 26 giugno 1963 a Berlino Ovest.

Vi chiederete, se il ragionamento vi stimola, il perché l’Italia, intesa come società civile, resta un paese fascio-catto-comunista. Ci chiediamo, prima di tutto, se l’Italia è un paese, una Nazione, un sentire comune. Per dirla alla Mazzini, riteniamo che “se l’animo della Patria non palpita in quel santuario della vostra vita che ha nome coscienza, quella forma rimane simile a cadavere senza moto ed alito di creazione, e voi siete turba senza nome, non nazione, gente, non popolo”.

Riteniamo che, per quanto riguarda l’Italia “istituzione”, buona parte della responsabilità di tale incertezza politica-istituzionale, compresa l’incapacità dei governi, sia attribuibile alla nostra Costituzione: bellissima ma perfettibile, opera di grandi statisti ma pur sempre figlia dell’italianità. Riteniamo giusta la considerazione di Indro Montanelli, che affermava: “Questa Costituzione porta male i suoi anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti, che del resto furono anche denunciati da uomini come Calamandrei e Mario Paggi. I difetti furono soprattutto due. Il primo fu la ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti. Ogni partito portò i suoi candidati: dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% ai socialisti di Nenni e il 19% ai comunisti. Quindi, in quel momento, i socialisti facevano premio sui comunisti. I 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme perché era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere sulle stesse cose. I lavori furono perciò devoluti ad una commissione: la Commissione dei 75, perché tanti erano i membri incaricati per le loro specifiche competenze a redigere il testo costituzionale. Ma anche 75 erano troppi, e allora anch’essi si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme, non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito :” Noi stiamo montando pezzo per pezzo una macchina, magari ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi”. La Costituzione fu quindi lasciata in questo modo perché nessuno rinunciava al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. Questo fu l’inizio della discordia. Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania sarebbe divenuta libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della repubblica di Weimar (cos’era la repubblica di Weimar? Era l’impotenza del potere esecutivo. La Germania era nel caos, nei disordini, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili e quindi dei governi efficaci. Ed ecco perché Hitler vinse). I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: “cos’era il Fascismo? Il Fascismo era il premio dato ad un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli etc. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, negando la possibilità ai governi di avere una stabilità etc”. Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo a Weimar. Questo fu il risultato. Ed ecco instabilità politica, governi di breve durata, onnipotenza dei partiti. Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania. Per i nostri costituenti non ce n’era bisogno, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze (che erano per forza di cose maggioranze di coalizioni). Tutte le volte che si diceva: ma qui bisogna restituire un po’ di autorità al potere esecutivo e bisogna mettere i governi in condizione di governare, ti rispondevano: “Fascista, fascista!”. Con questo ricatto noi abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare.”

Intendiamoci, pensiamo che l’attuale classe dirigente non sia in alcun modo legittimata a cambiare neanche solo una virgola di quel che è scritto nella Carta fondamentale, per mancanza assoluta di etica, senso del pudore, capacità, preparazione, originalità, amor di patria. Tutti guardano, con nostalgia, al passato. Nessuno che guarda al futuro.

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2 commenti »

  • Primia ha detto:

    Caro Dott. Mazzeo
    ho letto con attenzione il suo articolo e mi permetto di dissentire su un punto.
    Non può paragonare l’ideologia fascista con quella comunista, o meglio, il Marxismo con il fascismo degli intellettuali fascisti.
    l’ideologia fascista nasce in stato d’essere, nasce come azione(lo stesso Montanelli disse che Mussolini essenzialmente si ispirava a Sorel e Nietzsche, violenza e superomismo), quella degli intellettuali è solo una giustificazione teorica che danno all’azione delle squadracce fasciste, un vuoto.
    è ben diversa l’ideologia comunista che nel cosiddetto socialismo reale entra in stato d’essere, ma questa è solo una forma, non ha niente a che vedere con quello che intendono realizzare altri comunisti, e magari con quello che il suo teorico pensava; è un universo che ha mille sfaccettature, che non ha niente a che vedere con quel castello di aria che era l’ideologia degli intellettuali fascisti.
    mi scusi per il linguaggio così povero che ho a disposizione, spero abbia capito cosa volevo dirle.

  • S.M. ha detto:

    Caro Primia, le tue sono ottime considerazioni. Sul fatto che l’ideologia fascista si basasse sul nulla non vi è dubbio alcuno, anche perché la sua essenza nient’altro era che il ricorso costante al vecchio stereotipo dellla romanità, al mito dell’azione e della forza. Fra l’altro, il ricorso a Nietzsche ma anche ad Hegel è profondamente falsato dalla strumentalizzazione delle filosofie di questi. Come scrisse Albert Camus, comunista pentito: “Nietzsche aveva creduto al coraggio congiunto all’intelligenza, ed è questo appunto che chiamava forza. In suo nome, si è volto il coraggio contro l’intelligenza; e questa virtù che fu veramente sua si è così mutata nel suo contrario: la violenza degli occhi accecati”.
    Quanto a Marx, la penso come lo stesso Camus che scriveva: ” Il marxismo-leninismo ha realmente assunto in sé la volontà di Nietzsche, mediante l’ignoranza di alcune virtù nietzschiane”. Secondo me, anche a livello teorico si può parlare di un uguale matrice. Senza contare che il “messianesimo rivoluzionario” russo è scaturito proprio dall’ideologia tedesca.
    L’unica differenza, per quanto mi riguarda, è che il socialismo nichilista era mosso dall’ambizione universale, mentre le “rivoluzioni” fasciste del Novecento hanno pensato esplicitamente all’impero mondiale, rinunciando al carattere universale. Cambia la visione dello Stato, razionale o irrazionale, ma comunque terrorista. Ma questa è metafisica, non è roba per noi! Limitiamoci a guardare il processo storico, e quindi il reale. S.M.

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