La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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È la stampa, Cavaliere! Il difficile rapporto tra Berlusconi e i giornalisti, da Montanelli a Mentana

Scritto da – 28 Dicembre 2011 – 17:23Un commento

11 gennaio 1994: Indro Montanelli lascia Il Giornale. Il quotidiano che il grande giornalista aveva fondato vent’anni prima, facendone un punto di riferimento per i moderati e la destra democratica, quello che tutti chiamavano “Il Giornale di Montanelli”, quel giorno perse il suo direttore. Le ragioni dell’addio vanno ricercate nei rapporti incrinatisi da qualche tempo con l’editore del quotidiano di via Negri: Silvio Berlusconi. L’atteggiamento di colui che per quindici anni si era rivelato – per ammissione dello stesso Montanelli – un editore esemplare nonché un grande amico, era mutato. Il motivo è presto detto: il Cavaliere stava preparando la “discesa in campo” e non poteva permettersi che all’ostilità dei rivali fisiologici si unisse il fuoco amico del “suo” giornale. Montanelli, infatti, non condivideva l’ingresso in politica di Berlusconi e non fece nulla per nasconderlo. La rottura era inevitabile. Benché sia stato Montanelli ad abbandonare l’incarico, lo strappo finale arrivò da Berlusconi, il quale, scavalcando il direttore, incontrò i redattori del Giornale (di cui formalmente non era più l’editore, avendolo ceduto al fratello in ossequio alla legge Mammì, che vietava di possedere contemporaneamente televisioni e giornali). Durante la riunione, Berlusconi assicurò piena lealtà al direttore, ma non nascose alla redazione di auspicare un sostegno più convinto alle sue posizioni, in cambio di maggiori investimenti nel giornale.

La misura era colma. Montanelli lascia, sfiancato anche da una serie di pressioni, tra cui i ripetuti “suggerimenti” del direttore del Tg4 Emilio Fede che, commentando alcune prese di posizione montanelliane non affini alla linea di Berlusconi, così si esprimeva: “C’è un limite anche alla libertà. Se fossi io l’editore, solleverei dall’incarico chi non sta con me, perché questo rientrerebbe nei miei diritti”. E ancora: “Se una persona sceglie una linea editoriale diversa non da Silvio Berlusconi, che non è più l’editore del Giornale, ma comunque dalla linea editoriale che gli attuali editori danno al Giornale, forse per coerenza potrebbe anche rassegnare le dimissioni”.

Che si apprezzasse o meno lo stile e il pensiero di Montanelli, nessuno, nemmeno il più accanito dei suoi detrattori, poteva accusare il giornalista di Fucecchio di essere uomo da piegarsi facilmente al volere di chicchessia, magari in cambio di investimenti importanti nel suo giornale.

Passi “turarsi il naso” e votare democristiano per contrastare l’avanzata comunista, ma di trattenere la penna per non scontentare il padrone, non se ne parla. Le dichiarazioni rilasciate in televisione dopo le dimissioni dal Giornale sono chiarissime: “O diventavo il megafono di qualcuno, o me ne andavo”. “Potevo chiedere i miliardi se restavo qui a fare l’imbonitore di Berlusconi, mi avrebbe riempito di soldi. Ma poi che me ne faccio?”. Interpellato dalla trasmissione “Milano, Italia” a proposito di libertà di stampa, a chi temeva che il conflitto di interessi di Berlusconi – in procinto di diventare per la prima volta presidente del Consiglio – avrebbe dato il via a una serie di epurazioni, Montanelli, veggente solo in parte, rispondeva: “Non ci sarà nessuna epurazione. Quello che bisognerà temere di Berlusconi non sono le punizioni, sono i premi”.

Negli anni successivi, non mancheranno le occasioni per tornare a parlare dello scontro tra il giornalista e Berlusconi. Una di queste è la puntata della trasmissione di Michele Santoro “Il raggio verde”andata in onda il 24 marzo del 2001. Pochi giorni prima, c’era stato un duro confronto tra Santoro e il Cavaliere, che aveva telefonato in diretta durante una puntata dedicata ai suoi rapporti poco chiari con Mangano e Dell’Utri, scontrandosi con il conduttore.

Il 24 marzo, la trasmissione si apre con un’intervista rilasciata da Montanelli a Telemontecarlo a proposito di quella telefonata e dell’annuncio di Gianfranco Fini, ai tempi alleato di Berlusconi, su imminenti epurazioni in Rai. Il giudizio di Montanelli è molto duro: “Questa non è la destra, questo è il manganello”, commenta, rievocando le nubi del ventennio fascista.

Vittorio Feltri, che nel ’94 aveva sostituito Montanelli alla guida del Giornale, dallo studio del “Raggio verde” critica “l’ambiguità” dell’illustre collega: “Indro dipinge due figure di Berlusconi. Prima lo definiva il miglior editore possibile, adesso una specie di dittatore. A quale Montanelli dobbiamo credere? Come si fa ad avere un’opinione così diversa della stessa persona?”. La risposta arriva dal diretto interessato, che telefona in trasmissione: “Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti. Come capo politico, è quello che ho conosciuto in quei brutti giorni in cui, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, lui radunò la redazione del Giornale per dirle ‘Qui si cambia tutto’, all’insaputa del direttore. Se questo a Feltri sembra un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. Io lo trovo di una volgarità e prepotenza… e una segnalazione di certe tendenze che animano il berlusconismo politico che mi mettono un certo sgomento”.

In quei giorni, Montanelli, che pochi mesi dopo morirà, rilascia un’intervista che diverrà molto famosa (quella in cui definisce il Cavaliere “il più grande piazzista del mondo”), affermando di augurare al paese la vittoria di Berlusconi alle vicine elezioni: “Berlusconi è una di quelle malattie che si curano col vaccino. Per guarire ci vuole una bella iniezione di vaccino di Berlusconi. Bisogna vederlo al potere”. E Berlusconi effettivamente andrà al potere; il vaccino, invece, non sortirà i risultati sperati.

Montanelli non concede quella famosa intervista a un qualsiasi redattore, bensì al collega che, insieme a lui, è ritenuto da molti il miglior giornalista italiano: Enzo Biagi. Proprio Biagi, l’anno successivo, finirà nel mirino di Berlusconi. E sarà in buona compagnia: “L’uso che Biagi… Come si chiama quell’altro? Santoro… Ma l’altro? Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga”.

Sono le parole del celeberrimo “editto bulgaro”, pronunciate da Berlusconi il 18 aprile del 2002 durante una conferenza stampa a Sofia, dove si trovava in visita ufficiale. La “colpa” di Biagi risale al 10 aprile dell’anno precedente, quando, durante la campagna elettorale, intervistò Roberto Benigni, che non risparmiò battute taglienti al futuro premier. La risposta di Biagi arriva nella puntata de “Il fatto” trasmessa la sera stessa dell’”editto”: “Il presidente del Consiglio non trova di meglio che segnalare tre biechi individui, Biagi, Luttazzi, Santoro. Quale sarebbe il reato? Il presidente Berlusconi lascerebbe intendere che dovremmo togliere il disturbo. Signor presidente Berlusconi, dia disposizione di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho per me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri. Sono ancora convinto che in questa repubblica ci sia spazio per la libertà di stampa e ci sia perfino, in quest’azienda, chi vorrà far sentire tutte le opinioni, perché questo, signor presidente, è il principio della democrazia, sta scritto, dia un’occhiata, nella Costituzione. È la prima volta che il presidente del Consiglio decide il palinsesto e chiede che due giornalisti entrino nella categoria dei disoccupati”. Così accadrà: “Il fatto” concluderà la sua lunga storia il 31 maggio del 2002, mentre la collaborazione di Santoro (autore, come noto, di trasmissioni non gradite al premier) con la Rai verrà sospesa dal settembre dello stesso anno. Il mandato di Berlusconi non cade quindi nel vuoto, grazie ai dirigenti Rai, esecutori materiali, che privano l’azienda di due fuoriclasse molto diversi tra loro, ma comunque garanzia di buoni – o addirittura ottimi, nel caso di Santoro – ascolti. Biagi tornerà in onda nel 2007 su Raitre, mentre sarà un giudice a riportare nella tv pubblica Santoro, il giornalista più temuto da Berlusconi (da alcune intercettazioni telefoniche del 2010 tra l’ex premier, dirigenti Rai e il commissario dell’Agcom, si evince con chiarezza l’ostilità del primo nei confronti del conduttore, di cui cercherà di far chiudere la trasmissione).

Non sono facili nemmeno i rapporti tra Berlusconi e un giornalista ben meno “fazioso” di Santoro: Enrico Mentana, “papà” del Tg5, per tanti anni alla corte di Mediaset. Nel suo libro “Passionaccia”, Mentana, attraverso il racconto di un’esperienza personale risalente al 2008, fornisce un esempio da manuale del conflitto di interesse berlusconiano. Scenario: cena in un ristorante milanese con Confalonieri, Pier Silvio, i direttori giornalistici del Biscione e altri pezzi grossi, dopo le elezioni vinte dal “titolare”. Mentana definisce quella serata come “malinconicamente istruttiva” e, in una mail indirizzata a Confalonieri, quella stessa notte scrive: “Mi sono sentito davvero fuori posto. C’era tutta la prima linea dell’informazione, ma non ho sentito parlare di giornalismo neanche per un minuto. Sembrava un giorno del ringraziamento elettorale. Tutti attorno a me avevano votato allo stesso modo, e ognuno sapeva che anche gli altri lo avevano fatto. Era scontato, così come il fatto di complimentarsi a vicenda per il contributo dato a questo buon fine”. Il malessere di Mentana non durerà troppo a lungo: nel febbraio del 2009, le dimissioni da direttore editoriale da lui rassegnate (poiché la rete decise di non mutare il palinsesto a seguito della morte di Eluana Englaro), vennero accolte senza battere ciglio e, anzi, gli venne tolta anche la conduzione di Matrix (la direzione del Tg5 era stata affidata tempo addietro al più accomodante Carlo Rossella). La posizione di Mentana era già precaria: una settimana prima della rottura, il giornalista invitò in trasmissione Antonio Di Pietro, sebbene gli fosse stato detto che non era il caso di ospitare il politico antiberlusconiano per eccellenza.

Avere la schiena dritta, ancora una volta, non pagava. Ma è anche grazie a questa vicenda che oggi i telespettatori possono beneficiare di un telegiornale di qualità. Cercare Mentana, citofonare interno La7.

 

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