La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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1969 : Dalla contestazione sociale alle conquiste sindacali

Scritto da – 24 Agosto 2010 – 12:442 commenti

Millenovecentosessantanove. Il congresso della FIM registra l’affermazione della componente di sinistra. Nel documento conclusivo si dichiara che «l’obiettivo strategico è la modificazione del sistema capitalistico mediante l’avanzata del potere della classe operaia e l’acquisizione di una sua cultura alternativa e antagonistica rispetto ai valori della borghesia». Tre parole d’ordine dunque: potere, classe, cultura. Il potere che sfrutta ma che ha la forza di liberare; la classe come una grande fabbrica dove s’intrecciano generosamente esperienze di vita; la cultura che analizza il passato e programma il futuro, il vissuto e la prospettiva del cambiamento. Tutto ciò si incastona armoniosamente nel mosaico delle contestazioni studentesche degli stessi anni, risentendo della questione ideale e politica sullo scontro tra sfruttati e sfruttatori. La contestazione divide e poi unisce. Gli studenti ora sono operai e gli operai ora sono studenti, non senza momenti di tensione e difficoltà.

Su due  piani corrono le contestazioni e gli scioperi: le pensioni e i salari. Nella notte tra il 26 e il 27 febbraio 1968 CGIL, CISL e UIL raggiungono un’intesa di massima con il Governo Moro, ma sono gli operai a bocciare la proposta: una vera e propria protesta generale sale dalle fabbriche e per il 7 marzo dello stesso anno è proclamato dalla CGIL lo sciopero generale. Quest’ultimo seguito da altri due scioperi che anticipano il cosiddetto “sessantanove operaio”, il quale a sua volta aprirà la porta al famigerato “autunno caldo”. Nel maggio del 1969 al congresso della UILM prevale la componente di sinistra e da questo momento la UILM (i metalmeccanici della UIL) sarà accanto alla FIM e alla FIOM in tutte le lotte, abbandonando completamente la linea moderata che contraddistingue da sempre questa organizzazione. L’unità dei lavoratori vuole spingere l’Italia in avanti: sviluppo del Mezzogiorno, rifiuto della scuola di classe selettiva, per il diritto alla casa ecc… ma la lotta deve ancora accendersi. Agli inizi dell’autunno la FIAT sospende 35.000 lavoratori a seguito di uno sciopero alla Mirafiori. FIM-FIOM-UILM rispondono immediatamente attraverso la partecipazione cosciente e passionale di migliaia di metallurgici che partono per raggiungere Torino e dare manforte allo «scontro di classe».

Ma non è solo questione di contratto, non è solo salario e pensioni. È anche cultura. Il lavoro prende ora coscienza attraverso la cultura e si auto-organizza. Migliaia di lavoratori, dai metalmeccanici ai chimici, partecipano attivamente ai negoziati contrattuali; gli studenti aspettano e osservano; è in questo periodo che nasce la democrazia di fabbrica: i delegati e i Consigli. È da qui che parte una delle più grandi organizzazioni sindacali dell’Occidente capitalista. Il 19 novembre CGIL, CISL, UIL indicono uno sciopero generale per le riforme e soprattutto per la casa. La partecipazione in ogni angolo dell’Italia è pressoché totale. Il treno del cambiamento è in corsa e l’Italia si accende.

Anni di battaglie che hanno portato a conquiste non solo di lavoro ma anche di civiltà: 40 ore, parità normative operai-impiegati, contrattazione articolata, aumenti salariali uguali per tutti, nuovi strumenti di potere sull’ambiente, nuova organizzazione del lavoro.

Oggi, a quasi quarant’anni da quei giorni, quella storia non è finita. Si ritorna a parlare di salario anche se non si è mai smesso perché tutto è passato in sordina nella televisione, sui giornali, alle radio. Il salario diventa nuovamente attuale, da “prima pagina”, in questa fase di gravissima crisi economica: è la prima preoccupazione per gli Italiani e tutti ne parlano. Finalmente hanno scoperto che in Italia abbiamo i salari più bassi d’Europa. Il guaio è che continuano a domandarsi il perché. Forse perché nessuno più tende l’orecchio all’operaio. O forse perché sta estinguendosi inesorabilmente la cultura della “classe”, dell’appartenenza, del “mal comune”, per far posto alla guerra tra poveri e alla concorrenza tra colleghi. Si sta perdendo quella cultura che non tanti anni fa nasceva dagli atenei, dove si modellavano le nuove coscienze e nuovi pensieri, non solo lavoratori sfruttabili e flessibili. Probabilmente gli operai sono stanchi di lottare e attendono il risvegliarsi di quella coscienza attiva che un tempo partiva anche dalle Università e invadeva strade e piazze con la sua positiva irruenza, con l’anima giovane del cambiamento.

Adamo Mastrangelo


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