La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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La riforma del Senato, una proposta che fa discutere

Scritto da – 1 Agosto 2014 – 10:55Un commento

In questi giorni in Parlamento si sta discutendo la riforma del Senato avanzata dal Partito Democratico, una proposta che sta incontrando la netta opposizione del partito Sinistra, Ecologia e Libertà (Sel) e del Movimento 5 Stelle, che hanno presentato unitamente più di 6000 emendamenti. Il Partito Democratico ha giudicato la riforma del Senato assolutamente necessaria e ha tentato di blindare la votazione finale fissandola per la prima settimana di agosto, accusando le opposizioni di ostruzionismo e di agire contro gli interessi del paese. La trasformazione del Senato è stata pensata come una manovra per favorire il risparmio economico e si articola in alcuni punti; innanzitutto, i senatori sarebbero 150, poco meno della metà dei membri attuali, comprenderebbero i presidenti delle regioni, i sindaci dei capoluoghi oltre a dei membri onorari, che però non ricoprirebbero più la carica a vita. A questo nuovo Senato andrebbe la competenza sull’attività legislativa regionale e sui rapporti tra la Ue e le regioni; parteciperebbe all’elezione delle Istituzioni di garanzia, dal Presidente della Repubblica ai giudici del Consiglio Superiore della Magistratura e della Consulta, ma non potrebbe più votare la fiducia al governo. I senatori, infine, non percepirebbero più uno stipendio per questa carica, ma avrebbero soltanto gli emolumenti per l’incarico ricoperto in ambito provinciale o regionale più una diaria per lo spostamento a Roma. Il nodo cruciale è che queste riforme rischiano di far passare una visione erronea della politica, quella che il costo per mantenere le istituzioni dello Stato sia una spesa di cui è possibile fare a meno, se non addirittura inutile; inoltre, in tutta la storia italiana non solo il Senato non è mai stato abolito, ma non è mai stata presa in considerazione l’ipotesi di sopprimere una delle due Camere.

Non si deve poi dimenticare che l’altra riforma voluta dal Partito Democratico, l’abolizione delle province, ha causato la riduzione di numerosi servizi per i cittadini, soprattutto nei settori scolastico, ambientale, nelle infrastrutture e nei trasporti; la riforma, approvata a giugno, doveva poi essere seguita dal decreto (previsto per il 7 luglio) che avrebbe dovuto attribuire ai comuni e alle Regioni le specifiche competenze che erano delle province. Il decreto non è ancora stato approntato, così è stato deciso che le province decadute continueranno a svolgere tutte le loro funzioni, ma a causa dei tagli sono state private di quattrocentoquaranta milioni di euro, che hanno causato la drastica riduzione dei servizi.

La riforma del Senato avrebbe l’effetto controproducente di ridurre il potere del Parlamento ed eliminerebbe di fatto un organo di garanzia della nostra democrazia. La giustificazione addotta dai difensori della riforma è che in nessun paese del mondo esiste il bicameralismo perfetto, ma questo progetto rischia di trasformare il Parlamento italiano in monocamerale, simile a quello diffuso in alcuni paesi dell’Europa Orientale, come l’Albania e l’Ucraina, paesi giunti da pochi decenni alla democrazia; infatti, negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa esiste un bicameralismo imperfetto, perché le Camere, pur avendo compiti diversi, legiferano in maniera unitaria, evitando così la “tirannide della maggioranza” descritta da Alexis De Toqueville, lo storico francese che aveva studiato la Costituzione degli Stati Uniti d’America nel suo saggio del 1835 “La democrazia in America”.

Queste riforme – che si vorrebbero approvate in tempi brevi e con un’unanimità generale da parte dei parlamentari – richiederebbero invece un lavoro serio e paziente da parte dei costituzionalisti, per evitare problemi di natura giuridica che andrebbero a detrimento dei cittadini.

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