La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Un crimine [scomodo] contro l’umanità: Sabra e Chatila trent’anni dopo

Scritto da – 20 Settembre 2012 – 18:44Un commento

Estate 1982. Israele invade il Libano per la seconda volta in quattro anni, con l’insaziabile pretesto di “portare la pace” e sconfiggere le bande (disperate) di terroristi palestinesi. Non a caso l’operazione militare fu chiamata “Pace in Galilea“, secondo una scia mediatica senza fine – vedasi l’interminabile “Enduring Freedom in Afghanistan” ancora in atto, ovviamente. Gli israeliani, in Agosto assediavano Beirut, avendo come alleati i miliziani falangisti-cristiani guidati da Bashir Gemayel; per evitare un bagno di sangue, fu raggiunto un accordo per l’invio di una forza di soldati statunitensi, francesi e italiani che avrebbe dovuto evacuare i circa 14000 combattenti dell’OLP presenti a Beirut Ovest. All’inizio di settembre non c’era più traccia di “terroristi” in città – è abbastanza comico che vengano evacuati dagli Stati Uniti i “terroristi”, mentre il 23 Agosto gli israeliani riuscirono a instaurare un governo fantoccio nel paese dei cedri, guidato da Bashir Gemayel, loro alleato.

Non abbastanza sazio di tale “equanime” risultato, l’allora ministro della difesa israeliano Ariel Sharon, questo sconosciuto, affermò che vi erano ancora 2000 terroristi all’interno di Beirut ovest e invitò Gemayel a “darne la caccia”. Quest’ultimo rifiutò di venire a patti con gli israeliani, per i migliori rapporti che venivano instaurandosi con la Siria. Il 10 settembre la situazione precipitò, con la partenza degli ultimi soldati della forza multinazionale, mentre già i soldati israeliani avevano iniziato a circondare i campi profughi palestinesi, violando de facto il patto.
Ciò che agì come “la goccia che fa traboccare il vaso” fu la morte di Bashir Gemayel vittima di un attentato; Sharon, non ebbe remore nell’affermare che erano stati sicuramente i “terroristi” palestinesi a uccidere Gemayel – solo successivamente si seppe che l’attentato fu organizzato dai servizi segreti siriani. Dei combattenti palestinesi però, non ve ne era più traccia, e tali dichiarazioni, promanate dallo sconosciuto Sharon, suscitarono ciò che forse si è dimenticato troppo presto, ciò di cui non se ne vuole, né può parlare, ciò che si ricollega a due pesi e due misure, azioni di cui noi occidentali, includendo i nostri cari alleati israeliani – direttamente o indirettamente responsabili, non ci possiamo più macchiare, in nome di una civiltà “migliore e maggiore”: ciò che rimarrà per sempre scomodo, fastidioso.

Al tramonto di una classica bollente giornata di settembre in Medio Oriente, i miliziani falangisti, cristiani, alleati di Israele, mentre l’esercito dello stesso “soggiornava” al calar del sole presso le abitazioni e strade che circondavano i campi profughi, compirono un orgia di stupri, assassini e torture di bambini, donne, uomini e nondimeno anziani, la cui entità non è ancora stata chiarita a ben trent’anni di distanza. Lo scempio durò due giorni, e si stima che siano morti circa 1700 civili, mentre di altri 2000 circa se ne sono perse le tracce; questo è ciò che ebbe davanti ai suoi occhi Robert Fisk:
“Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore. Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti […] erano servizievoli quelle mosche, costituivano il nostro unico legame fisico con le vittime che ci erano intorno, ricordandoci che c’è vita anche nella morte. Qualcuno ne trae profitto. Le mosche sono imparziali. Per loro non aveva nessuna importanza che quei corpi fossero stati vittime di uno sterminio di massa […] il fetore di Chatila ci faceva vomitare. Lo sentivamo attraverso i fazzoletti più spessi. Dopo qualche minuto, anche noi iniziammo a puzzare di morto.

L’esercito israeliano, lasciò che i suoi alleati si divertissero a maciullare un popolo già martoriato da decenni di emigrazione, guerra e miseria. Non paghi, qualora non fosse stato abbastanza eloquente l’accondiscendenza israeliana, gli stessi soldati aiutarono i propri amici falangisti a occultare i cadaveri e a trasportare i prigionieri, di cui se ne sono perse le tracce.
Chiunque sollevi obiezioni riguardo la politica israeliana (e la nostra) viene tacciato di essere un antisemita, un guerrafondaio e amico dei “terroristi”, solamente perché ha il basso pensiero di porsi il dubbio, la domanda e la voglia di ricercare, capire e conoscere, ciò che viene ignorato dalle “fonti” di informazione più “autorevoli”. Ad oggi, ma sì, ricordiamolo che proprio il 16 settembre 2012 il Santo Padre è a Beirut in Libano senza spendere nemmeno una parola al riguardo, sono veramente poche, le fonti giornalistiche che possano insidiare la nostra regolare e benemerita coscienza; solamente Robert Fisk, sul quotidiano britannico “The Independent” dedica un articolo degno a tali orrori, mentre in Italia mi è parso di notare solamente nella sezione “News Mondo” dell’Ansa qualche riga concernente il crimine contro l’umanità perpetrato a Sabra e Chatila di trent’anni fa, della stesso peso ( ma evidentemente non è considerato tale) di Srebrenica. Quest’ultimo fu un crimine dato su un piatto d’argento per le nostre politiche, al contrario di Sabra e Chatila, che è e rimane fastidioso, scomodo.

Adriano Dirri


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