La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Musica monodose: l’esempio di “Miniatures”

Scritto da – 11 Luglio 2012 – 18:23Un commento

All’epoca di questo articolo, ci trovavamo nell’anno di grazia 2012. Viaggiavamo ancora su automobili e pneumatici in gomma, esistevano ancora le cravatte, i rossetti, e le patatine fritte, ma la tecnologia aveva raggiunto traguardi sbalorditivi, cambiando tra l’altro l’utilizzo e la fruizione della cultura. Tra le varie diramazioni, la prima a ad essere stravolta fu la musica, la forma artistica più soggetta al cambiamento di formato: dall’invenzione dello spartito alla rivoluzione della registrazione, dal grammofono al passaggio da analogico a digitale, il flusso musicale ha cambiato forme e concezione in base al contenuto che l’ospitava. Per questo dalle prime lastre fonografiche in gommalacca siamo passati al lato A & B del 45 giri, fino al long playing, con il credo del “concept album” o “album-rock”: la possibilità cioè di riunire un’intera sequenza di brani sotto un’unica tematica, in modo da poter sviluppare poetiche più complesse e articolate. Se il compact disc assecondò e anzi consolidò questa dimensione (ampliando la lunghezza del formato a oltre 75 minuti), l’avvento del formato mp3, con il file sharing di singole canzoni, è stato il sasso di Golia che ha inaugurato la storia discografica attuale.

In questo muoversi su piccola scala molti hanno visto un segno degenere rispetto alle ambiziose sinfonie rock del passato, ma anche rispetto al classico album che seguiva lo standard occidentale, una decina di brani e/o una lunghezza dai 40 ai 70 minuti. C’è del vero nel denunciare la fine di un apprezzabile metodo creativo, ma questo non vieta di considerarne un altro. Scavalcando a ritroso decenni di abitudinario ascolto da gregge (inteso come pascolo di canzoni raccolte assieme), possiamo scoprire come illustri predecessori avessero previsto e invocato una fruizione diversa, avanguardistica.

Stavolta l’anno è il 1980, siamo in Inghilterra, a pochi metri dal cratere del punk d’Albione che scosse l’intera enciclopedia del rock. Morgan Fisher, scienziato folle e ben vestito dell’avant-pop inglese, ne aveva viste di tutti i colori: da ragazzo era stato una bubble-gum star con “Everlasting Love”, poi diventuto tastierista per due bandiere glam come Mott The Hoople e Queen, fino a benedire in veste di produttore quel post-77 di anarchia e distruzione di olimpi, costruendo a suon di lamiere riciclate delle straordinarie palafitte new wave. E per radunare troppi talenti e troppa bellezza pensò ad un criterio sublime: chiese ai migliori cinquanta artisti che conosceva di creare una traccia di un minuto circa di lunghezza, in cui condensare essenza, pensiero, azione. Nacque così una delle opere più bizzarre e affascinanti della storia della musica, “Miniatures”: cinquanta brani di cinquanta artisti in cinquanta minuti. All’epoca molti avrebbero pensato in un suicidio caotico, oppure in piccoli bozzetti senza forma, quasi degli sketches. In realtà la famelica ansia di esprimere molto in poco spazio portò a risultati sorprendenti, perché scardinò il concetto di popular song, i refrain, il bridge, gli assoli, il canto intonato. Alcuni tra i più significativi compositori del tempo parteciparono (citando alcuni nomi, Robert Wyatt, Residents, Steve Miller, Robert Fripp, membri di Xtc, Pretenders e Damned, fino a Michael Nyman), divertendosi a mettersi in gioco, ponendo in primo piano non più la struttura, cioè la canzone, bensì l’atto primordiale dell’ascolto. Vennero così fuori cover diaboliche degli Slade cantate da bambini (o L’inno alla gioia fischiettato in stile grass roots da Pete Seeger), riassunti sonori di intere carriere o di intere sinfonie wagneriane, il campionamento in loop di Frank Sinatra (nell’esilarante Rangers in the night), esperimenti con sintetizzatori mentre qualcuno canta sotto la doccia, persino un brano che inserito a metà della raccolta funge da intervallo (annunciato dalla reception di una compagnia aerea), e un elegia sulla campagna toscana (i grilli registrati di notte in Toscany in Blue).

Una splendida equipe composita, che abbatte le pregiudiziali anche sulle categorie professionali (troviamo nel calderone direttori d’orchestra, tastieristi psichedelici, stand-up comedians, artisti visivi), in una dimostrazione vivente di come l’invenzione artistica non è determinata dalle consuetudini tecniche, traendo linfa proprio dalle nuove scommesse percettive.

Se la musica monodose sia un regresso qualitativo non possiamo ancora dirlo, a questo ci penseranno i posteri del 2032. Intanto possiamo smettere di guardare al passato con nostalgia: la micro-creatività era già stata prevista, mancava solo una logica produttiva adeguata. Il presente è qui tra i nostri auricolari, all’insegna del “piccolo è magico”: una cinquantina di svitati capolavori in miniatura saranno la nostra archeologia tascabile.

 

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