L’evoluzione della crisi in Europa e negli Stati Uniti
Il presidente statunitense Obama, in occasione del discorso sullo stato dell’Unione, ha annunciato la sua decisione di aumentare il salario minimo per i nuovi contratti dei lavoratori federali, che verrà portato a 10 dollari e 10 centesimi dagli attuali 7,25 dollari percepiti. La decisione di Obama ha suscitato dure reazioni da parte dei Repubblicani, che giudicano tale iniziativa inutile e dannosa in quanto spingerebbe i datori di lavoro a ridurre i posti di lavoro, ma secondo alcuni sondaggi condotti dai principali quotidiani statunitensi la maggioranza della popolazione americana è favorevole all’innalzamento del salario minimo. Per aggirare l’opposizione dei repubblicani, Obama ha dichiarato che emanerà un decreto attuativo, così la sua proposta non sarà oggetto di dibattiti parlamentari, ma allo stesso tempo il presidente ha invitato il Congresso a ratificare una legge analoga per i contratti già stipulati dai dipendenti federali; Obama aveva già tentato in passato di innalzare il salario minimo per i dipendenti federali, ma non era riuscito nel suo intento a causa della strenua opposizione dei conservatori.
Negli stessi giorni in cui Obama ha tenuto il suo discorso alla nazione, in Italia l’opinione pubblica ha seguito un’altra vicenda legata al mondo del lavoro, la decisione dell’Electrolux di dimezzare gli stipendi ai suoi dipendenti italiani per non delocalizzare in Polonia o in Ungheria. Il colosso svedese degli elettrodomestici ha infatti prospettato un piano che prevede la chiusura dello stabilimento più grande tra i quattro operativi nel nostro paese, oltre ad un taglio dello stipendio dei dipendenti intorno al 40 %, che scenderebbe così da 1400 a 800 euro al mese, al blocco degli scatti di anzianità, il dimezzamento dei permessi sindacali, un orario abbassato a sei ore con riduzione delle pause e festività non pagate. L’Electrolux ha annunciato questo piano per compensare il decremento delle vendite, crollate del 30 % lo scorso anno, ma anche per portare il livello dei costi di produzione negli stabilimenti italiani a quelli dell’Europa orientale, 7 euro l’ora contro i 24 in Italia. L’azienda svedese ha inoltre confermato l’intenzione di chiudere lo stabilimento più grande a meno che non intervengano Stato e regione a coprire il deficit; lo scorso ottobre, inoltre, era stato annunciato un piano di licenziamenti, che in Italia hanno interessato 460 dipendenti su 3900.
Bankitalia ha inoltre diffuso il bollettino sullo stato economico del nostro paese, in cui è emerso che il 10 % delle famiglie più ricche possiede metà della ricchezza nazionale, per la precisione, il 46,6 % della ricchezza netta familiare totale, con un aumento di un punto percentuale rispetto al 2010. In base alla distribuzione dei redditi, è apparso che un quarto delle famiglie italiane percepisce quasi 25.000 euro l’anno, circa 2 mila euro il mese, mentre il 16 % delle famiglie ha un reddito inferiore ai 15.000 euro, meno di 640 euro al mese, ed è quindi sotto la soglia della povertà; le altre fasce della popolazione percepiscono entrate superiori ai 25.000 euro l’anno, e il 10 % delle famiglie italiane contano su guadagni superiori ai 55.000 euro annui.
Il risultato è che l’impoverimento delle famiglie italiane è aumentato di due punti, passando dal 14 all’attuale 16 %; è emerso anche che le generazioni più penalizzate sono quelle giovanili, il cui reddito è calato di ben 12 punti per la fascia 35 – 44 anni e di 15 punti per la fascia 19 – 35 anni. La contrazione dei redditi per le famiglie più giovani ha provocato un leggero calo degli indebitamenti legati ai mutui per la casa, scesi dal 28 % al 26 %, ma è aumentata la vulnerabilità finanziaria, cioè l’incapacità di fare fronte a spese impreviste, che riguarda quasi il 3 % delle famiglie italiane. Le condizioni lavorative, secondo questa relazione, sono peggiorate per le classi indipendenti e si sono mantenute stabili per i dipendenti pubblici e per i lavoratori in condizione non professionale. La condizione degli anziani e dei pensionati sembrerebbe invece migliorata di ben 6 punti percentuali, tanto che il reddito familiare oggi si aggira sui 26.672 euro per gli anziani oltre i 64 anni d’età contro i 22.908 percepiti dai giovani tra i 18 e i 35 anni (nel 2010 la situazione era invece di parità con un leggero incremento per la fascia giovane).
Questa indagine, occorre dirlo, è stata condotta tra il 2010 e il 2012, nel momento peggiore della crisi economica, inoltre è stata effettuata su un campione di 8000 famiglie, all’incirca 22 000 individui, ma è indicativa dello stato economico della società italiana, segnata da un progressivo aumento della povertà e dalla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, aumentata di 5 punti in venti anni.
Il 28 gennaio Christine Lagarde, il direttore del Fondo Monetario Internazionale, ha rilasciato un’intervista in cui ha ricordato che oggi in Europa i disoccupati sono 20 milioni e un quarto dei giovani europei sotto i 25 anni non ha lavoro, percentuale che sale ad un terzo per paesi come Italia e Portogallo e addirittura della metà in Grecia e in Spagna. L’unico modo che avrebbe l’Unione Europea per superare la crisi, secondo il direttore, consisterebbe però sempre e solo nella riduzione del debito, per la cui compressione dovrebbero agire “famiglie, aziende e governi”; gli altri punti indicati da Christine Lagarde sono la riforma del mercato del lavoro e della produzione e il completamento dell’Unione bancaria per evitare possibili contagi tra i vari stati e indurre gli investitori internazionali.
Il contesto nel quale paesi come il nostro dovrebbero ridurre il debito è però di bassa crescita, tanto che anche i paesi emergenti, i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), ora stanno entrando in crisi. La scorsa settimana, nelle transazioni di borsa, monete come il rublo russo, la lira turca e il rand sudafricano hanno registrato un calo vertiginoso; le aspettative di ripresa in Europa e negli Stati Uniti hanno infatti spinto gli investitori internazionali a spostare i loro capitali nei titoli di stato dei paesi europei e degli Usa, sottraendoli ai mercati dei paesi emergenti. La crisi dei Brics ha però già contagiato la Grecia e si sono temute ripercussioni anche nell’economia italiana, fortunatamente smentite.
L’aspetto più evidente della situazione economica mondiale è che, mentre gli Stati Uniti stanno investendo grandi risorse economiche nel mercato interno, in Europa si continuano a difendere politiche di rigore per il risanamento del debito, in un’ottica liberista, che sta ingessando l’economia con la continua richiesta di tagli alla spesa pubblica e che non permette una vera ripresa economica.
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