Panoramica di una crisi globale
Parlare di crisi oggi è un po’ come riaprire l’armadio alla fine dell’inverno e ritrovare vestiti estivi ai quali si aveva giurato la fine qualche mese prima. Monotonia e luoghi comuni. Parlare di crisi oggi significa ricollegare la parola ad un fattore prettamente economico quando ad asciugarsi le ferite ci sono persone in carne ed ossa, non numeri o tabelle. In questo strano sistema socio-economico immerso in un cambiamento storico del quale riusciremo a percepire le dimensioni solo nel momento in cui sarà terminato, grave pecca di un popolo disabituato a pensare, l’opinione pubblica, i mass media ed i governi ciecamente, e probabilmente erroneamente, si ostinano a rincorrere numeri, accordi e intese. L’Europa negli ultimi quattro anni ha cominciato a perdere pezzi che la Germania si ostina a rattoppare.
Il punto di svolta, l’anno zero, il big bang del collasso finanziario si chiama subprime crisis, America anno 2008. La prima a cedere fu la “Tigre Celtica”, il paese di Bono Box e James Joyce, il paese più povero della CEE che nel decennio 1990-2000 trovò un modello economico ottimale che la catapultò tra i paesi più ricchi al mondo. Oggi aprendo le pagine dei giornali irlandesi sembra di essere tornati a venti anni fa. La disoccupazione impervia in ogni campo in un Paese di 4.5 milioni dei quali 75 mila emigreranno in cerca di lavoro, la città più gettonata Liverpool.
Situazione diversa quella del Portogallo sommerso da un sistema mafioso e di favoritismi che nel 2008 hanno portato la BNP ad un passo dal fallimento. La mala gestione dei delegati, in gergo tecnico truffa, è stata comprata dal Governo per evitare l’innescarsi di un effetto domino che avrebbe portato il paese alla stregua della svendita. Ufficialmente, come dimostrano le successive dichiarazioni nelle quali non si è mai sostenuta la necessità di aiuti economici, l’acquisto fu l’ultimo tentativo attuato per evitare lo scoppio di una bomba internazionale che avrebbe catapultato il Paese in una guerra tra poveri.
A rubare la scena alla bellezza Atlantica ci ha però pensato un’altra bellezza antica capace di rinnovare il suo fascino solo esteriormente, la Grecia. A capo del collasso greco bisogna appuntare l’immobilismo sociale ed economico, la mancanza di lungimiranza delle politiche interne ed estere, ed ancora una volta dobbiamo riportare di un sistema di clientelismo e di favoritismi che poco si confà alla patria di Aristotele e Platone. Nei cittadini greci degli ultimi decenni non possiamo neanche più riscontrare un barlume di quell’orgoglio e di onore capace di far ardere il cuore di Achille e scuotere le membra di Aiace. Salari minimi diminuiti, pensioni cancellate, disoccupazione a livelli stellari, un debito con la Troika e con la cancelliera tedesca Angela Merkel che immobilizzerà l’industria per i prossimi vent’anni sono solo alcune delle zone d’ombra.
Molto meno scalpore ha destato la regina del Baltico.
Romania, un Paese passato dalla dominazione sovietica ad una tacita dittatura ad opera di Nicolae Ceausescu deceduta per una insurrezione popolare nel 1989 che portò prima Ion Iliescu e poi Triaian Basescu a capo del governo. La situazione rumena ha raggiunto i minimi storici successivamente al taglio degli stipendi pubblici del 25% ed all’aumento dell’imposta sul valore aggiunto nel tentativo di raggiungere il decurtamento del deficit annuale dal 4.35% all’1.9% imposto dalla Troika. La ciliegina sulla torta sono i 350 euro di uno stipendio medio che di fatto sono la fotografia di un sistema in panne.
In questo clima da inferno dantesco nel quale il grottesco si è ritagliato la sua parte, lo stivale più bello del Mondo sembra aver ritrovato il suo naturale splendore. Diciassette anni di un governo di centrodestra comandato da Silvio Berlusconi sembrano ormai lontani decenni. Mario Monti, il professore prestato a questo esperimento politico, si destreggia tra tavoli di mediazione e colazioni di lavoro con una leggiadria degna della sua reputazione. Poco importa se ad affiancarlo ci sono alcuni tra i responsabili dei crack delle cinque maggiori banche italiane perché la freddezza e la sicurezza con la quale cammina al fianco della donna di ferro tedesca riescono ad incutere rispetto e credibilità al nostro Paese. L’Italia, nonostante il recente declassamento a BBB+ nel rating mondiale, è il faro e mentore di una improbabile rinascita economica alla ricerca di nuovi stimoli, prima vittima la monotonia di una retribuzione fissa: una Ferrari senza freni.
Come ho scritto all’inizio di questo articolo, ad asciugarsi le ferite non sono tabelle ma bensì persone, vittime innocenti di un fallimento premeditato. Cerchiamo quindi di riportare i numeri ad un livello umano osservando i cambiamenti in seno alla società. Le vicende legate alla Fiat e al suo quantomeno ingrato dirigente delegato Sergio Marchionne, quelle relative al popolo NO TAV e a tutti coloro che per mesi da Aosta a Palermo hanno occupato le proprie aziende, talvolta lavorando gratis pur di salvare la produzione ma soprattutto la dignità, hanno aperto una voragine nel mondo dei sindacati e sul loro operato nonché sull’effettivo potere del governo italiano di fronte ai suoi “ambasciatori” nel Mondo. CGIL, CISL e UIL sono ormai lontani dal “popolo operaio” costretto a trasportare il peso di un’evasione fiscale in continuo aumento adornata dalle “gite fuori porta” nel centro di Milano e di Cortina.
Quello a cui stiamo assistendo oggi è la fine di un’epoca alla ricerca di un degno successore. Quello a cui la società del 2000 è sottoposta è un vero e proprio stupro di massa nel quale non si riescono più a trovare linee guida, ideologie, idoli e dove anche l’amore ha lasciato spazio ad un’incertezza spasmodicamente frutto di una paura inconsapevole. Il successo di Monti è il frutto del bisogno di un’entità seria e retta a capo di una nazione flagellata da introiti mafiosi, paradisi fiscali, scandali di ogni tipo che ha visto crollare la casa dello studente all’Aquila, la Domus dei Gladiatori e recentemente la Venere in Conchiglia a Pompei. Un Paese che ha visto cadere le proprietà pubbliche uccise a colpi di condoni, privatizzazioni, svendite e quanto di altro possiamo annoverare tra le nostre “eccellenze”.
A lasciare l’amaro in bocca è che siamo tutti vittime dello stesso sistema contro il quale non abbiamo più la forza di opporci ed imputare la colpa alla crisi economica non è altro che un atto di mera vigliaccheria ripetutamente usato per nasconderci dietro alle nostre responsabilità.
Se è vero che questa crisi è l’effetto serra dell’economia, una conseguenza storica frutto di mal interpretazione di un sistema politico-sociale ed economico in continuo rinnovo e di conseguenza estraneo alle teorie finora stilate, erroneo nei numeri e nelle previsioni, la logica e lo sviluppo umano accorrono in nostro aiuto indicandoci la strada da intraprendere.
Andare al di la della sola dimensione quantitativa ed economica per una rinascita delle persone, promosso dalle persone, per le persone. Solo così sarà possibile tornare ad annoverare tra le nostre facoltà la possibilità di scegliere e di porci come punto cardine della società nella quale viviamo.
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