Divided we stand: l’indipendenza del Sud Sudan
Immutabili, fissi, innaturali. I confini coloniali dentro i quali è imbrigliato il continente africano sembravano essere destinati a rimanere tali. La dichiarazione del Cairo del 1964 prodotta dalla Organizzazione per l’Unità Africana (in seguito Unione Africana) e le risoluzioni Onu dello stesso periodo delegittimarono, infatti, le alterazioni dei confini per scongiurare l’esplodere di conflitti per la loro ridefinizione. Ma il 9 Luglio 2011 ha visto la nascita di un nuovo paese, il 54esimo stato africano, il Sud Sudan.
La nascita del Sud Sudan è straordinaria non solo in sé, ma anche per la modalità con la quale è avvenuta. La decisione è stata presa in seguito ad un referendum, stabilito con l’accordo di pace del 2005 che ha formalmente messo fine a più di 30 anni di guerra civile. Il referendum si è svolto tra il 9 e 15 gennaio 2011. L‘Onu ha stimato che circa 800 mila persone si sono spostate dal Nord al Sud Sudan per registrarsi e poi votare, invertendo il cammino intrapreso almeno 10 anni prima per scappare dalla guerra. Uomini, donne, bambini nati e cresciuti nel Nord hanno fatto ritorno alle terre di origine percorrendo migliaia di kilometri, per la maggior parte a piedi. Le scuole sono state utilizzate come centri di transito. Alcuni hanno portato ai seggi le foto dei loro cari, morti durante la guerra civile, altri i loro figli in braccio: segno che il referendum serve per vendicare chi ha perso la vita durante il conflitto in passato e per dare una speranza a chi vivrà in Sud Sudan in futuro. Per permettere alla popolazione in gran parte analfabeta di esprimere coscientemente la propria preferenza la scheda elettorale e la campagna sono state caratterizzate da due simboli: una sola mano alzata per l’indipendenza, due mani che si stringono per l’unità. La vittoria del sì ha assunto le sembianze di un plebiscito, raggiungendo la quota del 98.83%.
L’indipendenza è avvenuta il 9 luglio 2011. Di fronte a migliaia di Sud Sudanesi, Salva Kiir ha firmato la nuova costituzione diventando il primo presidente del Sud Sudan. Il divorzio dal Nord segna il riscatto del paese dopo la guerra civile iniziata nel 1965 e finita formalmente nel 2005. La guerra ha visto la contrapposizione tra popolazioni arabe migranti e cristiane stanziali. Nella regione del Darfur l’azione repressiva del governo è stata diretta in particolar modo contro le popolazioni non arabe e sulla scena internazionale è iniziata ad avvalorarsi l’ipotesi che un genocidio fosse in atto. Secondo il presidente al-Bashir si è trattato di ‘guerra civile tribale’, mentre secondo la Corte Penale Internazionale sono stati commessi ‘Crimini di guerra e contro l’umanità’ e per questo essa ha spiccato un mandato di arresto contro il presidente sudanese nel 2009. Al-Bashir è tuttavia libero, dal momento che la corte può perseguire soltanto i cittadini degli stati membri. Il Sudan non è tra questi. “I nostri martiri non sono morti invano. Abbiamo aspettato per più di 56 anni per questo giorno” ha dichiarato il presidente Kirr nella giornata di celebrazione dell’indipendenza di fronte a una folla di persone che riempivano la “Piazza della Libertà” a Juba, la capitale.
L’entusiasmo della popolazione Sud Sudanese, tuttavia, non offusca i problemi che il neonato paese deve affrontare. Prima di tutto, la costruzione dello stato, sia in termini di personale, che di infrastrutture, al momento molto limitate. L’85% della popolazione risulta essere analfabeta, secondo l’Onu, e la mortalità materna, che è un indicatore della presenza di servizi medici, è la più alta del mondo: 2054 per ogni 100 000 nascite. In tutto il paese ci sono solo 50 km di strade.
Oltre alla carenza di infrastrutture, un altro problema riguarda la gestione delle risorse naturali, per la quale il Nord e il Sud non hanno ancora raggiunto un accordo. Quasi tutto il petrolio si trova nel Sud, ma gli oleodotti sono di proprietà del Nord. Secondo l’Economist, il Nord intende chiedere 32 dollari al barile per il loro uso, cioé un terzo del valore totale, che è considerato un prezzo esorbitante. Infine, lo stato Sud Sudanese deve intraprendere il difficile compito di costruire una nazione, un senso di comunità che vada oltre il solo risentimento verso il Nord.
L’indipendenza non ha segnato totalmente la fine della violenza. In due regioni, infatti, essa è esacerbata a livelli che hanno attirato l’attenzione della comunità internazionale. Una di queste è la regione di Abyie, ricca di petrolio, in cui il confine tra i due stati è oggetto di disputa. Il 21 Maggio 2011 l’esercito del Nord ha occupato la zona, costringendo 100 000 membri del gruppo etnico Ngok Dinka a lasciare le proprie case. Alla fine di Luglio 2011 l’Onu è intervenuta con 1200 caschi blu, ma la questione non è ancora stata risolta.
Un’esplosione di violenza è avvenuta anche nella regione del Sud Kordofan. L’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani ha pubblicato in Agosto 2011 un rapporto sulle atrocità praticate contro la popolazione, soprattutto contro il gruppo etnico Nuba e membri del movimento armato per l’indipendenza, ancora in atto perché la regione è stata esclusa dal referendum. Il Nord e il Sud si accusano a vicenda di alimentare il conflitto: Il Sud sostiene che il Nord abbia iniziato una nuova campagna di pulizia etnica, come avvenuto in Darfur; mentre il Nord accusa il Sud di supportare la ribellione per aggravare la posizione del presidente Al-Bashir, già condannato dalla Corte Penale Internazionale.
La violenza, tuttavia, è rimasta localizzata in queste due zone e non ha raggiunto la portata che ci si sarebbe potuti aspettare. Il Nord Sudan è stato il primo paese a riconoscere il neonato Sud Sudan, al momento dell’indipendenza. Poco dopo, il 14 luglio 2011 il Sud Sudan è diventato il 193esimo membro delle Nazioni Unite. Il 29 luglio 2011 è entrato a far parte dell’Unione Africana. La nascita del Sud Sudan offre la possibilità di riflettere sulla natura dei confini africani, in un’ottica che tenga conto delle necessità e delle esigenze di chi tra questi confini ci vive. La secessione, inoltre, accende un riflettore su uno di quei popoli gramscianamente definiti come senza storia, quei popoli occupanti una posizione apparentemente subalterna nelle vicende dell’umanità. Sotto gli occhi della comunità internazionale il popolo Sud Sudanese ha intrapreso il cammino dell’indipendenza, ma la strada è lunga e non priva di ostacoli.
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