La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Un nuovo Rinascimento? È possibile. Ma solo se…

Scritto da – 29 Aprile 2013 – 17:072 commenti

Che scadimento estetico! Che degenere! Si abbracciano, ridono, godono: Bersani con Alfano, Berlusconi con Crocetta. È stato scritto, altrove: “C’è una questione estetica da aprire nei partiti. Le persone normali hanno freni inibitori che impediscono di sghignazzare così persino alle riunioni di condominio”. È anche un problema di facce, di fisiognomica, estetica in senso basso, ampio: vedere per credere, alle voci Renzi, Letta-junior. Nemmeno il “nuovo” sfugge a questa legge. Puoi descrivere le peggiori infamie, ma non in un modo che gli dia verità (per dirla con Céline). Bene. Questo è il momento del populismo, si dice. Si dice… Chi? Con quale autorità? Tornerò più avanti, magari, su un punto fondamentale che si situa nell’ambito della metafisica, e cioè: chi è certo di possedere certezze è certamente un idiota. Dunque, mi dico: è il momento opportuno per tentare di esprimere un concetto definitivo, ultimativo, sufficientemente esauriente, finale. Concorrere anch’io per un titolo, finalmente. La qualifica di “il più cretino dei cretini”. Mai nessuna ambizione (basta con l’ambizione), solo questo desiderio, auspicio. Un sogno, persino. Ma ossequioso, io resto. Niente confidenza, o presunzione. Nel migliore dei casi ignoranza. Ottusità.

Il buon senso mi impone di non chiamare “cultura” ciò che oggi l’Italia definisce cultura; di non chiamare “politica”, “democrazia”, “morale”, “etica” ciò che l’italiano chiama in questo modo. Ritengo che parole come “onestà” e “moralità” siano scomparse, per via dell’usura e dell’inflazione verbale, per abuso di retorica, talvolta di demagogia. Belle parole inutili che restituiscono costantemente squallide immagini di un sistema in caduta libera. Non possiedono più il significato che gli era proprio, sono dei significanti. Incredibilmente, comincio a credere alla storia dei significanti! (vedi alle voci Saussure, Lacan, Bene). Come dei testi a fronte, dove la traduzione in altra lingua non rende mai completamente giustizia alla versione originale, come sassi in bocca a pazienti anestetizzati, questi odiosi termini arrivano a quel che resta del mio cervello con la stessa delicatezza di un trapano con punta in ferro da dieci. Labirintite del linguaggio; anzi – problema assai più esteso – labirintite intellettuale.

Albert Camus era convinto: uno scrittore dovrebbe sempre stare dalla parte di quelli che subiscono la Storia, non di coloro che la fanno. Accenno di un discorso tenuto in seguito al conferimento del premio Nobel. Del resto, il meglio della specie umana resta sempre ai margini. La storia più bella è marginale, è l’altra faccia della luna. Intendendo per “bella” una qualifica estetica, cioè decente in senso proprio letterario o metafisico. «Per la verità, ho vissuto intensamente, ma senza mai potermi integrare all’esistenza. La mia marginalità non è fortuita, ma essenziale», ecco Emil Cioran. Allora faccio un tentativo. Depongo, per una volta, l’ambizione di spiegarmi e spiegare (“mostrare, non spiegare”, ancora Cioran). Approdo, così… al Nirvana. Mi attraversa un caleidoscopio caotico di concetti delittuosi e demenziali. Li fotografo: il motore di cambiamento della struttura politica è il panorama (ceto) intellettuale, a sua volta alimentato dalla struttura sociale, il cui motore vitale è l’individuo. È una furberia meschina, quindi, pensare di sbarazzarsi da tale peso, dalla responsabilità piena di un disastro di cui l’intera popolazione è non complice, bensì artefice. Gridare allo scandalo della politica per autocompiacersi, in gran segreto, di essere migliori dei propri governanti. Accoltellarsi di proposito votando gli individui più bassi, volgari, incapaci, anti-estetici (perché no? anche, e non è un dettaglio)… al solo fine, vanitoso, di girare per le strade a testa alta dispensando commenti, arguzie, chiacchiere, su ciò che è, dovrebbe essere e su ciò che mai sarà; avere così, finalmente, un ruolo nel mondo delle Idee. Parlare! Agitarsi! Gonfiare il petto!

Mostro, ora, da cronista sbronzo più che lucido di un tempo che non mi appartiene, tutto questo. Io che subisco la Storia ma anche i miei simili. Scrive Bertrand Russell a proposito di Lord Byron: «Il ribelle aristocratico, una figura all’epoca esemplificata da Byron, è ben diverso dal capo di una rivolta popolare. Gli affamati non hanno bisogno di un’elaborata filosofia che incoraggi o giustifichi il malcontento, anzi, lo considerano un semplice trastullo dei ricchi sfaccendati. Vogliono ciò che gli altri hanno già, non chissà quale bene intangibile o metafisico». Vogliono quello che gli spetta di diritto, oggi come allora. «I valori rimangono primigeni: il bene è avere di che sfamarsi, il resto sono chiacchiere», continua Russell. È qui il punto focale del mio intervento, manchevole o mancato che sia. Non sono affatto aristocratico di tasca, lo sono però nel senso nietzschiano del termine: si alimenta in me la filosofia aristocratica della ribellione. Potrei essere un materialista da cima a fondo, avrei tutte le carte in regola: le tasche vuote, i conti in rosso… Un socialista realista dalla testa ai piedi; un cretino, insomma, ma non ancora totale (tale, io desidero essere).  Un altro condannato dalla Storia. Da figlio del popolo – quale io sono – parlare al popolo. A questo popolo, nello specifico. Fratelli di sgobba. E quale riscontro, quale risposta potrei mai ottenere da questa folla così ingenua eppure così colta, efficace, produttiva, dinamica, informata, laboriosa, amorevole, altruista, dignitosa, collusa, omertosa? Partirei, per l’appunto, dall’intangibile… Nuoterei nel verso sbagliato. Tentano di assemblare pezzi di Stato senza aver letto le istruzioni. Perché? Posto che la fiamma ardente della rivolta divampa sempre grazie all’azione di pochi eletti – è un dato, ne prendo solo atto – la Storia insegna che i grandi sconvolgimenti social-politici – al di là del bene e del male – non nascono e divampano se non dalla scintilla di un élite intellettuale; una minoranza, in ogni caso, che solo dopo trae a sé tutto il resto come un fiume che, passando, porta via tutto.

E dobbiamo stare al gioco, ammetterlo, non prenderci troppo sul serio. Sarebbe bello sputarsi in faccia, ogni tanto. Senza contare che, per dirla tutta, non siamo nemmeno agli albori della democrazia, se mai essa esisterà, un giorno («La democrazia è la peggior forma di governo possibile, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora», Churchill). Basta confrontarla col progetto originale, quella dei suoi maggiori teorici: Locke, Stuart Mill, Tocqueville, Kelsen… Ma, appunto, l’uomo è sempre uguale a se stesso, e così i testi di Weber, Schmitt, Hobbes, Machiavelli, Pareto, Michels, Mosca («Cento che agiscano sempre di concerto e d’intesa gli uni con gli altri trionferanno sempre su mille presi uno a uno che non avranno alcun accordo fra loro») e Nietzsche, per citarne solo alcuni, ci restituiscono, onestamente, la vera natura della liberal-democrazia così come l’ha veduta il mondo – attribuendole legittimamente la colpa della straordinaria decadenza, soprattutto morale, della società moderna.

Infine – a proposito di decadenza – frugando tra le sconce pudenda del ceto intellettuale nostrano, il salotto buono (a nulla) e il suo grande pubblico consumatore, consumato, consunto… si avrà finalmente la completa percezione d’insieme, la “ratio” ultima del disastro. «La cultura… Ah! Ahinoi… “cultura” nel suo etimo – l’ha rilevato anche Jacques Derrida –  equivale a “colo”, deriva dal verbo “colo”: colonizzare. Cioè, cultura è tutto quanto è colonizzazione. Per non parlare poi della depravazione culturale che è l’informazione…», sottolineava Bene. Le nostre librerie sono piene di libri di penosi autori che per decenza è meglio non nominare. Il bello è che vanno letteralmente a ruba, questi mattoni vuoti; sono dappertutto, specialmente sui treni, sulle cosce di persone che appena l’attimo prima si azzuffavano come bestie per salirci, sul treno. Cultura è sapere in quali (pochissimi) libri andare a cercare. I “classici”, soluzione a molte cose, non sollecitano corse agli acquisti per definizione. Questa merda detta cultura è strutturalismo, finocchieria, patetico infermierismo, un crimine contro la miseria esistente: una cultura criminale. Persino Bukowski donò un prezioso consiglio agli italiani attraverso un suo personaggio letterario: «“All right, Mr. Chinaski. What word do you have for the Italian people?” – “Don’t shout so much. And read Céline”».

In virtù di questo, potremmo mai sostenere, con serenità intellettuale, che i cretini sono tutti uguali? Ma che siamo in un film di Nanni Moretti? Sì, bravo, bravo…Te lo meriti Nanni Moretti! La vera arte non è consolatoria, non sale sul palco di Bersani. No, caro democratico scandalizzato, non sono apocalittico, non vedo nero! Anzi, mi chiedi: cosa vuoi fare da grande? Ti rispondo: il bambino. Scaccolarmi. Nietzsche scrive: «Maturità dell’uomo: significa aver ritrovato la serietà che da fanciulli si metteva nei giuochi». L’italiano scherza (lo scherzo – diverso dal gioco – è adulto, non può durare troppo…), scherza come il sicario del Pd, come Crocetta, e gli altri tutti. Non è un caso il successo del comico; il comico gioca, è serio nel suo intento, nella metamorfosi in “homo politicus”. Conosce il materiale umano a disposizione, ne discerne l’incapacità antropologico-genetica: relega ai margini delle scelte politico-mediatiche circa centosessanta esemplari. È un agire doveroso, dettato dalle condizioni, dalle circostanze. Non è il massimo, il sogno del volo, ma è comprensibile, il massimo dello sforzo possibile.

Quando la popolazione italiana diverrà bambina, sarà un bel segnale di vita, un trionfo, il nuovo Rinascimento, la grande rinascita. Ma verrà prima l’estinzione della specie… È una certezza. Da cretino.

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