Ventitrè Maggio, l’anniversario della strage
Caro Giovanni, manca poco al 23 maggio, sai? Anche quest’anno, pigramente, tra l’indifferenza di tutti, sta arrivando questa data e l’ho segnata sul calendario come fosse il giorno del mio compleanno. Però è una ricorrenza molto meno felice e non la celebreremo andando a bere al bar o ritrovandoci al parco in un giornata assolata, con palla e freesbee. No, ricorderò questo giorno, come tutti gli anni, in via Benedetto Marcello, nel giardino che porta il tuo nome e quello del tuo amico Paolo. È un parco allegro, tante altalene per i bambini, dove si radunano i ragazzi prima di iniziare le lezioni al liceo scientifico proprio lì di fronte.
Come ogni anno ci sarà il Sindaco, qualche rappresentante delle istituzioni (sempre di meno ogni anno che passa), i presidenti di alcune associazioni che prenderanno a turno la parola, forse un paio di attori e scrittori che come te hanno deciso di dedicare la loro vita ad un ideale più alto che il raggiungimento dei propri interessi personali: il servizio della nazione in cui vivono. Qualcuno potrebbe chiamarla “missione”, ma so per certo che tu odieresti questo termine. Non ti sei mai sentito un eroe, e ti stupivi quando i giornalisti ti chiedevano “Ma chi glielo fa fare, dottore?”.
Sono passati 22 anni da quando sei andato via. Anzi non te ne sei andato via, ti hanno strappato alla vita, al tuo lavoro. Non te ne saresti mai andato in quel momento, quando sembrava che ogni tassello del mosaico che incredibilmente eri riuscito a ricostruire, che eri riuscito a vedere dove gli altri percepivano solo caos, stesse tornando al suo posto, componendo con gli altri pezzi un disegno al contempo inquietante e pericoloso.
Giovanni, io sono nata proprio quell’anno, il 1992. Materialmente non ho fatto in tempo a conoscerti ma non sai quanto avrei voluto poterlo fare. Ora sei osannato da tutti, preso a modello di onestà e dedizione al mestiere, una fedeltà alla patria tale da rimetterci la pelle pur di riuscire a far luce su quello che chiamavano l’Anti-Stato. Non è ironico? Quanti di quelli che adesso ti esaltano ti sono stati effettivamente vicini nell’ultimo periodo, quando venivi attaccato senza sosta, accusato di fare tutto quello che facevi solo per visibilità, per tornaconto personale? Alcuni affermarono persino che il tritolo all’Addaura te l’eri messo da solo, per farti pubblicità. Si sa, vero? Un buon pubblico ministero è un pubblico ministero morto, se lo avessero voluto uccidere lo avrebbero ucciso da un bel pezzo. E tu… Tu avresti risposto con un sorriso, a celare il profondo dispiacere per non essere spalleggiato nella tua lotta contro i Titani. “La calunnia si spegne da sola”, queste le tue parole. E per la gioia di quella feccia, il fatidico giorno è arrivato. 23 maggio 1992. Capaci. In Italia non c’è nessuno che non sappia a cosa sono associate questa data e questo luogo. Chi non lo sa, non merita di essere italiano.
Durante una vacanza in Sicilia con degli amici, da Palermo siamo andati a Trapani; in macchina il clima di festa e spensieratezza era evidente, cantavamo e scherzavamo finalmente liberi dallo stress universitario. Ma appena imboccata l’A29, in lontananza nascosta dietro una curva, abbiamo visto una targa sconfinata. Subito il sorriso ci si è spento sulle labbra. Subito, istintivamente, ci siamo ritrovati tutti a pensarti. Abbiamo letto il tuo nome e quello di Francesca, quello di Rocco, quello di Antonio e di Vito. Non è stata solo tristezza, probabilmente quel sentimento non è ancora stato catalogato. È senza nome perché unico. È infinita amarezza, rabbia, rispetto e ammirazione… basterebbe a riempire il cuore di chiunque di un’esplosione assordante, a generare una spinta ad agire, a fare qualsiasi cosa pur di non lasciare inascoltata la voce che ci grida dentro, il senso di vuoto che senti in quegli istanti. Vorrei tanto che il monumento di Capaci, le strade che ti sono state intitolate, i giardini, i parchi, le piazze, le scuole e l’aeroporto (lo stesso in cui sei atterrato quel maledetto giorno di maggio, altra incongruenza del paese che amavi, della terra che non sa difendere le sue istituzioni ma è pronta a intitolargli qualsiasi cosa) non fossero solo dei santini in tua memoria, messi li per placare un senso di colpa collettivo, come se per rimediare bastasse innalzare fantocci in tuo onore.
La domanda è: Lui ha perso la sua vita per servire la patria, ed io? Cosa faccio io? Sono un vigliacco, allora, perché non sono disposto a questo sacrificio estremo? Nessuno di noi è disposto a immolarsi per la causa, specie se in nome della guerra a una criminalità che fa sempre meno paura, perché più finanziatrice che assassina. Ma non credo fosse questa la tua richiesta, la tua volontà. Non volevi certo creare un popolo di martiri, bensì un popolo di uomini fieri del loro paese e disposti ad impegnarsi nel quotidiano per la difesa della legalità. Unico vero bene comune.
Non so come andrà a finire Giovanni, non so quanti raccoglieranno il tuo appello. La sola speranza si trova nelle tue stesse parole: “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine”. Grazie Giovanni, di esserci stato, di esserci e di illuminarci la strada verso questo difficile futuro.
Chiara Cataldo
[…] Caro Giovanni, manca poco al 23 maggio, sai? Anche quest’anno, pigramente, tra l’indifferenza di tutti, sta arrivando questa data e l’ho segnata sul calendario come fosse il giorno del mio compleanno. Però è una ricorrenza molto meno felice e non la celebreremo andando a bere al bar o ritrovandoci al parco in un giornata assolata, con palla e freesbee. No, ricorderò questo giorno, come tutti gli anni, in via Benedetto Marcello, nel giardino che porta il tuo nome e quello del tuo amico Paolo. […] Leggi l'articolo completo su Orizzonte Universitario […]
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