La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Neofemminismo, l’ultima frontiera dell’attivismo

Scritto da – 1 Agosto 2011 – 18:21Nessun commento

Vivere in Italia nel 2011 significa esser costretti a schierarsi, a prendere una posizione. I dibattiti politici e le questioni socio-morali sono giunti a un parossismo che ha riportato in auge la politicizzazione del privato, in un continuo, dialettico interrogatorio tra le gesta e i valori dei nostri rappresentanti politici e la nostra reale situazione, le nostre più intime inclinazioni. La sfrontatezza nell’abuso del poter politico a cui assistiamo si è esteso a campi e destinazioni impreviste, come nel caso del cosiddetto Rubygate, vero kolossal in materia di scandali legati alla connivenza illegale tra baratti di natura sessuale e promozioni nel cursus honorum politico. Si è quindi levata con convinzione senza precedenti la voce di un movimento femminile che è sceso in piazza, che ha chiesto nuova dignità per il corpo e l’intelletto, dichiarandosi apolitico ma antiberlusconiano, aperto con apparente lungimiranza a chiunque ma allo stesso tempo venato di un femminismo d’antan, solo più smaliziato e depurato da anacronistiche tracce marxiste. Se questa mobilitazione, partita dai social network e finita nei talk show più nazionalpopolari dell’etere era probabilmente necessaria per porre un freno al cieco “così fan tutti/e”, inculcato dalle pasionarie filogovernative, bisogna parimenti analizzare con obiettività questo nuovo fenomeno sociale.

Negare l’accusa (puntualmente giunta dagli scranni della maggioranza) di esser un fermento “strumentale” significherebbe dichiarare candidamente l’ipocrita ingenuità di un evento creatosi da solo, sull’onda della difesa della moralità di un genere. Molto più realistico ammetterlo come ultimo frutto della teoria “il fine giustifica i mezzi” e del “basta che funzioni”. Per la legittima necessità di scuotere un governo non più credibile e tantomeno rivelatosi sempre più tarlato da scorrettezze giuridiche ed etiche, un’opposizione eterogenea ha tentato di cavalcare una corrente che se ben guidata andrebbe a coprire più della metà dell’intera popolazione; dall’altra parte un movimento di crescente influenza ha cercato nelle recenti vicende di Arcore quel perfetto “Babau” contro cui opporsi per darsi un’identità trans-generazionale.

Questa “rete rosa” rischia però di diventare uno spettro sessista, con cui esaltare un genere e favorire l’ennesima divisione all’interno di una gioventù lavoratrice e studentesca che già fatica ad emergere contro una gerontocrazia imperante, ribadita e alimentata proprio dalle sale dei bottoni delle istituzioni statali. Difendere un’identità come quella femminile nelle sue qualità e nei suoi diritti non può portare a valorizzarla in quanto tale: una differenza di genere è una presa di coscienza, non un valore aggiunto alla nascita.

Il neofemminismo così diventa la nuova frontiera dell’attivismo, e tuttavia viene da chiedersi se l’adesione da parte di migliaia di donne è consapevole, se vi è un progetto, e come si deciderà di integrare e neutralizzare la massa di donne ancora disposte a vendersi per raggiungere obiettivi professionali e gli uomini ben accetti a comprare questo desiderio per sete e sfoggio di dominio personale. Questa vulcanica solidarietà, caratteristica proverbiale del gentil sesso, dovrebbe finalmente esser usata a dovere e non a piacere: perché l’incognita potrebbe rivelarsi il passaggio da un presunto neofemminismo a un facile e imprevisto neoqualunquismo.

Ma qui veniamo al punto dell’attuale evoluzione culturale: orientare le masse femminili, più numerose e più versatili di quelle maschili, verso desiderati obiettivi. Nel campo del marketing l’universo di Venere risulta il più attratto e ricettivo alle strategie commerciali, nel settore dell’immagine l’esaltazione del corpo femminile vince ancora su ogni altro soggetto (attirando masse eterogenee, a differenza di quelle a soggetto maschile, che non hanno riscontro sul pubblico dello stesso sesso), infine politicamente le quote rosa si sono trasformate in un crogiolo di carriere politiche ambigue e le manifestazioni popolari nella loro rispettiva controparte “di piazza”.

Non sembra esserci niente di strano in tale tendenza socio-culturale: si sono esauriti al giorno d’oggi molti dei filoni commerciali di genere maschile (spesso molto onerosi, legati a mezzi di trasporto, come moto o barca, o alla compravendita di immobili, e quindi non adatti all’attuale periodo di crisi e quindi al “mercato di piccolo taglio”), come le cause umanitarie: l’ecologismo è stato liquidato con raccolte differenziate di rifiuti e vegetarianismo, le lotte antirazziste e pacifiste sono divenute quasi obsolete, la tutela dell’immigrazione divide tutt’ora il paese in troppe posizioni contrastanti, l’eutanasia ormai viene praticata anche in clandestinità, e l’universo gay si muove con disinvoltura nel resto d’Europa per trovare rifugio e riconoscimento ai proprio diritti negati. Il punto più sicuro, la motivazione per mobilitare anche chi sarebbe altrimenti reticente, è rimasta la lotta di genere.

 

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