La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Guida politica per esperti cinefili

Scritto da – 18 Ottobre 2012 – 15:12Un commento

Pochi di noi quando vanno al cinema sono coscienti di cosa vogliono vedere. La maggior parte delle volte, il pubblico delle sale cinematografiche è formato da gente che vuole vedere l’ultimo film del regista, o dell’attore in voga; oppure che vogliono vedere un film semplicemente perché sta facendo piazza pulita al botteghino. È raro trovare persone che ti sappiano elencare le qualità dell’attore o del regista o ti sappiano spiegare perché quel film fa ogni sera il tutto esaurito. Il valore critico del cinema si va sempre più perdendo; e non perché manchino volontari che lo facciano, ma perché è saturo di incompetenti.

All’interno di questi filoni critici, soprattutto quelli più frequentati dai giovani, molti sanno dire vita, morte e miracoli di un regista attuale dal cognome impronunciabile, nato in Birmania, vissuto in Cina, che ora vive in India, sanno spiegarti il genere a cui appartiene (un misto di correnti attuali di cui non si capisce neanche l’etimologia del nome), qual è la sua religione e del perché sia un genio incompreso. Appena, però, dici loro “Hai ragione! Ricorda un po’ Petri in certi aspetti e un po’ Rosi in altri”, vedi le loro facce impallidire, gli occhi che si spalancano e poi, titubanti, li senti dire “Bhé…Non credo…A me poi il cinema vecchio non mi piace tanto…”. Allora capisci!

Capisci che molti “esperti” non hanno la più pallida idea di cosa sia la parola CINEMA. Il Cinema, prima di essere un intrattenimento, è uno specchio della realtà e della vita che ci circonda. Un film, per essere considerato tale, non deve occuparsi di attirare lo spettatore ma essere attento al messaggio che manda. Ammetto che oggi non sono molti i registi attenti a questa filosofia. Attenzione però: non sono molti non vuol dire che non esistano. Bisogna saperli cercare. Un regista, un attore, uno sceneggiatore non può improvvisarsi tale: ha bisogno di qualcuno che lo guidi, gli indichi la strada. Nel nostro caso, i grandi maestri del passato. Perché Dante, Shakespeare, Hugo (per citarne solo 3) sono considerati i “maestri” indiscussi? Perché sono stati letti, studiati da altri autori, che da loro hanno preso spunto, e poi hanno iniziato. Perché questa cosa non può accadere anche con il cinema? Perché le moderne generazioni si rifiutano di vedere film del passato?

Alcuni a questa domanda, rispondono “Certo che sì! Io ho visto tutti i film di Alberto Sordi”. Già siamo un passo avanti ai precedenti, ma non basta. Per quanto gli Esperti debbano conoscere anche la commedia, come genere, questa da sola non basta: è come saper leggere bene e avere una pessima scrittura, con annesso lessico orribile e scarsa conoscenza grammaticale. Bisogna andare oltre, conoscere tutto e il contrario di tutto. Un Esperto deve sapere anche che esiste un altro cinema. Il cinema che, dagli anni ’70, ha preso il nome di “impegnato”, a titolo ironico e dispregiativo: un genere che non fa ridere; ma che fa riflettere, pensare e, spesso e volentieri, anche arrabbiare.

Negli anni ’50 e ’60 questo genere in Italia era raro. Erano gli anni della commedia all’italiana, in cui la gente voleva dimenticare gli orrori di una guerra ancora troppo vicina. Gli anni in cui gli unici film, che si discostavano dal genere, parlavano della Prima Guerra, come La grande guerra del ’56 di Monicelli; ricordavano gli orrori dell’ultimo conflitto, come Tutti a casa del ’60 di Comencini; oppure le gesta della resistenza come ne Il terrorista del ’63 di De Bosio. Già dagli anni ’40, però, un filone di registi forma il Neorealismo: proponevano storie contemporanee ispirate a eventi reali e spesso raccontavano la Storia recente. Risalgono a questi anni capolavori inestimabili come Roma Città Aperta del ’43 di Rossellini, o Ladri di biciclette del ’48 di De Sica.

Con gli anni’70 e ’80 il cinema prende un aspetto diverso. C’è stato il ’68 e, con lui, la voglia di scoprire ciò che prima non si poteva sapere. La gente, specialmente i più giovani, cambia il modo di vedere le cose, compresa l’attualità. Non ci si accontenta di ciò che viene detto, ma si cerca di scoprirne le motivazioni. La guerra precedente è ancora un tema forte e spesso riconsiderato. Nascono i primi film sulla corruzione, sulla speculazione, sulla falsità della politica: film che denunciano determinati stereotipi di persone e determinati atteggiamenti. Il primo che inaugura il filone dei film inchiesta è il già citato Francesco Rosi. Il suo Le mani sulla città del ’63, è la prima opera di denuncia sulla politica italiana: si affronta il delicato tema della collusione tra lo Stato e la speculazione edilizia. Oltre a lui, in quegli anni, anche un altro grande maestro del cinema-denuncia ottiene i primi riconoscimenti: Elio Petri. Questi compone la cosiddetta “trilogia della nevrosi”, tre film di chiaro impegno civile: “la nevrosi del denaro” con La proprietà non è più un furto del ’73, “la nevrosi del lavoro” con La classe operaia va in paradiso del ’71, per terminare con il premio Oscar come miglior film straniero del ’71 Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto, rappresentante la “nevrosi del potere”. In questi film, Petri espone critiche coraggiose alla sua contemporaneità: ne La classe operaia va in paradiso accusa la corrente sinistra dell’epoca, tanto critica e ben pensante, quanto cinica ed ipocrita; ne Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto il protagonista ha un aspetto straordinariamente somigliante al commissario di Milano Luigi Calabresi, in quel periodo oggetto di una violenta campagna di stampa che lo accusa di essere responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli.

Spesso entrambi i registi, autonomamente, riprendono le trame di un grande scrittore-critico dell’epoca: Leonardo Sciascia, acuto esaminatore degli anni di piombo. Cadaveri eccellenti di Rosi del ’76, per esempio, è tratto da un suo romanzo, Il contesto, nel quale affronta temi molti forti e attuali: le tentazioni golpistiche, le rivolte giovanili, la voluta inerzia del PC. Petri invece traduce in pellicola A ciascuno il suo del ’67 e Todo modo del ’76. Quest’ultimo è una chiara denuncia della DC, ma se ne dimostra anche una premonizione. Narra di un gruppo di politici, banchieri e dirigenti appartenenti alla DC, che si ritrovano per gli annuali esercizi spirituali di tre giorni, durante i quali dovrebbe avvenire una sorta di rinnovamento del partito, ma litigi violenti e accuse sviluppano una serie di delitti, che eliminano, uno alla volta, i personaggi di primo piano del partito. Tra i personaggi spicca la figura del presidente, chiamato solo M., bonario, che accontenta tutti, ma che finirà ucciso: è una palese allusione a Moro, che morirà giusto due anni dopo.

La morte di Moro e il tema scottante delle Brigate Rosse ritornano spesso nel cinema italiano. Nel ’86, Ferrara produce il primo film che narra, senza mezzi termini, del rapimento del presidente, intitolato appunto Il caso Moro. Seguiranno vari esempi anche negli anni a venire: come Buongiorno notte di Bellocchio e Piazza delle Cinque Lune di Martinelli, entrambi del 2003.

Con gli anni ’90 e il primo decennio del 2000, il cinema ritorna a dividersi: una parte ritorna alla commedia, perché esausto della serietà e dell’eccessiva importanza che alcuni autori danno a tematiche troppo ovvie; e un’altra parte che continua a mostrare la realtà, in maniera sempre diversa, per poter attirare un pubblico, ormai troppo allenato alla televisione e a stereotipi culturali errati. Sono gli anni in cui Nanni Moretti si discosta dal suo cinema sarcastico, per iniziarne uno più impegnato, politicamente e socialmente. Oltre a partecipazioni come attore a film di chiara denuncia politica, come Il portaborse del ’91 di Luchetti, in cui interpreta un politico corrotto, ipocrita, arrivista e violento, Moretti dirige film di chiara impronta anti-berlusconiana, ma che denunciano anche l’inettitudine della moderna sinistra: Palombella Rossa del ’89, Aprile del ’98, Il caimano del 2006 sono degli esempi.

Capitolo a parte meritano i film di denuncia alla mafia. Molti registi hanno dedicato film, cortometraggi, e conseguenti premi, a martiri della lotta alla criminalità organizzata. La lista di opere dedicate a questo delicato tema è troppo lungo per essere solo citato. Tra le più interessanti: Cento giorni a Palermo del ’84 di Ferrara, che racconta i giorni passati a Palermo del generale Dalla Chiesa; Giovanni Falcone del ’93, sempre di Ferrara; Il giudice ragazzino del ’94 di Di Robilant, pellicola incentrata sulla vita del giudice Rosario Livatino, dall’ingresso in magistratura al suo impegno nella lotta alla mafia, fino all’assassinio; Un eroe borghese del ’95 di Placido, che narra le vicende di Giorgio Ambrosoli; I cento passi del 2000 di Giordana, dove si racconta la vita di Giuseppe Impastato; Alla luce del sole del 2005 di Fenza, che narra le vicende e l’omicidio di Don Pino Puglisi. Molte altre opere, invece, affrontano il tema di come la mafia sia tentacolare nella vita di tutti i giorni. Oltre ai film tratti da libri, come Il giorno della civetta del ’68 di Damiani e Io non ho paura del 2003 di Salvatores, sono da citare: Le conseguenze dell’amore del 2004 di Sorrentino, Il dolce e l’amaro del 2007 di Porporati, La siciliana ribelle del 2008 di Amenta.

Altre pellicole, uscite ultimamente nei nostri cinema, hanno parlato e hanno fatto parlare. Tra le prime Il divo del 2008 di Sorrentino, in cui si descrive un breve tratto della vita di Giulio Andreotti, comprese Tangentopoli, la tentata scalata al Quirinale, fino a processi per i presunti rapporti con la mafia.

Quest’anno sono usciti altre due film, che potrebbero essere aggiunti alla lista: ACAB di Sollima, uscito il 27 gennaio; e Diaz di Vicari, uscito il 13 aprile, incentrato sui fatti del G8 di Genova del 2001. I lungometraggi hanno scatenato le proteste sia dalla Destra che dalla Sinistra, per la realtà e per le immagini che producono; ma, forse, sono solo altri esempi di proiezioni che colpiscono e fanno male ad un potere che, a volte, tace.

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