Antropologia di uno studente fuori sede
Mi è capitato di leggere un graffito l’altro giorno, passando in metro, e da allora non sono più riuscita a levarmelo dalla testa. Un po’ come quando uno strano motivetto ci si infila nei pensieri e continua a suonarsi e risuonarsi, anche nei momenti meno opportuni. “La città è davvero grande, più grande di tutti i nostri piccoli io”. Questa la frase che mi tormenta. Appartiene a Giorgio Gaber e qualcuno ha pensato di lasciarla in una metro. Ora, ogni volta che salgo su un tram o un autobus, che passeggio in centro, ogni volta che arrivo in stazione, che corro in università o che esco di sera con gli amici mi ritrovo a pensare che sì, la città è grande davvero. Molto più di quanto lo sia io. Insomma, sono entrata in un vortice fagocitante di riflessioni e a questo punto credo sia necessario condividerle.
Le foto con gli amici, i posters appesi in stanza, i vestiti, qualche pegno importante che si è promesso di portare sempre dietro, tutto viene ammassato in scatoloni fragili, che accolgono la tua vita e la portano da un’altra parte. Le valigie si preparano in fretta, sperando di essere così bruschi e repentini da non avere tempo di riflettere. E’ una scelta folle, ma essenziale.
La città è l’opportunità di ricominciare, di rinnegarsi, se è quello che ci si aspetta, di rimettersi in gioco e smettere di non riconoscersi negli occhi che ci guardano di rimando dallo specchio. La città mescola le carte in tavola. A un certo punto quello che credevi essere il tuo io è sparito, travolto dal magma incandescente della corsa frenetica verso chissà dove, dai mille impegni, dalle scadenze da rispettare, dal lavoro, dai coinquilini, dalla nuova casa che cerchi di rendere quanto più tua possibile. A un certo punto non riesci a ricordare dove sia finito, il tuo io. Dove puoi averlo lasciato. Forse nel traffico: corre ad anguilla tra le macchine nel disperato tentativo di non perdere il tram; forse in quel bar dove hai trovato lavoro, a fare orari assurdi che di part-time hanno mantenuto solo lo stipendio. O forse ancora nel letto della tua nuova stanza, quella che quando apri gli occhi di improvviso la mattina neppure riconosci, e hai bisogno di qualche istante per mettere ben a fuoco e ricordarti dove sei.
La città ci fa perdere, è davvero grande e ci confonde.
Ma ci offre anche la possibilità di ritrovarci, continuamente. Nelle chiacchiere la sera in un bar, con qualcuno con cui si è condivisa una giornata pesante, nei lineamenti un po’ induriti in quello stesso specchio, quando ci si guarda un po’ intimoriti un po’ desiderosi di trovare qualcosa che sul serio ci abbia cambiato. Perché, in fondo, chi arriva in città vuole cambiare. Vuole sentirsi portar via e nutrire dal flusso di colori, luci, immagini che gli scorrono continuamente davanti agli occhi. Vuole sentirsi al centro del mondo, impegnarsi per rivoluzionare la propria realtà, aprire la propria mente, alzare la posta dei propri obiettivi. Quando avverti proprio qui, alla bocca dello stomaco, quella stretta che ti fa pensare: sono qui, col mio piccolo io, sono in una città davvero grande e sto sperando di migliorare la mia vita, allora sai di aver fatto la scelta giusta, nonostante tutto.
Sei esattamente dove dovresti essere, e ci stai provando. Stai alzando la tendina dietro cui il tuo io nasconde un po’ di cose. Le stai scoprendo a poco a poco, ti stai mettendo alla prova. Ed è proprio questo quello che volevi.
Insomma, io sono nuova della vita in città, non so bene come fermare questa ruota che gira a questo ritmo pazzesco, ma a vote credo semplicemente di non volerlo fare. Credo che i nostri piccoli io debbano cadere, inciampare sui pomelli e imparare a correre più veloce. Non è un proiettarsi fuori, all’esterno. Paradossalmente è questo che ci spinge più a fondo dentro.
Quando ho letto la frase che avrò ormai ripetuto migliaia di volte in questo articolo, mi sono sentita a casa. Ho avvertito il calore di tutti i piccoli io che la stavano leggendo in quel momento e che ci si ritrovavano in maniera totalizzante quanto me. Questa è la forza della città, ogni giorno mi è più chiaro: farci perdere e ritrovare, isolarci e farci sentire accolti, farci correre veloci e fermare a lungo a pensare . Giorgio Gaber lo sapeva e anche l’autore del graffito. Ora lo so anch’io e spero che da questo momento anche qualcun altro lo sappia.
Marianna Tufano
[…] Mi è capitato di leggere un graffito l’altro giorno, passando in metro, e da allora non sono più riuscita a levarmelo dalla testa. Un po’ come quando uno strano motivetto ci si infila nei pensieri e continua a suonarsi e risuonarsi, anche nei momenti meno opportuni. “La città è davvero grande, più grande di tutti i nostri piccoli io”. Questa la frase che mi tormenta. Appartiene a Giorgio Gaber e qualcuno ha pensato di lasciarla in una metro. Ora, ogni volta che salgo su un tram o un autobus, che passeggio in centro, ogni volta. […] Leggi l'articolo completo su Orizzonte Universitario […]
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