La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Adam Ant, il messaggero dell’invenzione

Scritto da – 19 Febbraio 2014 – 16:069 commenti

Quando Stuart Leslie Goddard scelse il proprio pseudonimo, molti pensarono ad uno scherzo: “Adam Ant”, un incrocio impertinente tra il primo figlio di Dio e la sua creatura più bistrattata. Suonava molto bene, perché fondamentalmente Stuart sembrava un “adamo”: bellissimo, statuario, plasmabile. Ma pronto a mascherarsi, a farsi beffa del proprio fascino, innamorato del vivere, studiare e sposare la massa, i suoi stilemi pop: solo così si può spiegare la sfera “Ant”, l’eccentrica ascesa di un leader di formiche. A metà anni Settanta venne issata la bandiera degli “Adam & The Ants”, un pugno di coetanei cresciuti alla corte di Malcom McLaren, che inizialmente vedrà nel manipolo punk di Adam il nuovo fenomeno da sfruttare dopo l’implosione dei Sex Pistols. Le carte c’erano tutte: un cantante caustico reduce dall’accademia d’arte, che masticava nella stessa bocca David Bowie e David Hockney, Paul McCartney e Paul McCarthy, studiando a perfezione ogni meccanismo lirico, performativo e scenico dell’essere una rock star. Un look inizialmente elaborato insieme a Siouxie Sioux, già affermata come icona estetica della seconda ondata del punk britannico, e della quale per i primi anni sembrerà anche esteticamente un perfetto fratello minore.

Individuiamo la generazione: siamo nella Londra post-1977, e ci sono tutti: Clash e Joy Division, Buzzcocks e Police, e per ultimi arrivarono gli Adam & The Ants. Come tutti avevano un disagio esistenziale da far deflagrare, ma con un vetriolo post-modernista come ancora non se ne erano visti. Il glam di Marc Bolan venne restaurato, si lanciarono baci appassionati a Buddy Holly e al cabaret di Brecht, vennero perfino riscoperte le performance istrioniche delle serate futuriste, e a Boccioni e compagni venne persino dedicato un’irriverente omaggio (“Animals and Men”). Spinto da questa direttrice artistica gli Adam & The Ants andranno a Milano, proponendosi così in quello che sarà il primo vero concerto punk della storia italiana. Era il 1978, tra il pubblico c’era anche un giovane Enrico Ruggeri che rimase letteralmente sconvolto, finendo per dare alle stampe entro la fine dell’anno il suo esordio discografico, chiamato appunto “Punk” (a sua volta primo ufficiale disco punk italiano). Ma anche Adam rimase esaltato dall’atmosfera di quella Lombardia paranoica, come evidenziato dalla rivelazione messianica: “I was in Milan… the day I met God” (“Day I Met God”). Dopo questo tour casual-sentimentale arriverà l’opera prima “Dirk Wears White Socks”, dedicato all’attore Dirk Bogarde, un vinile pieno di sorprese, batterie fuori sincrono, chitarre dai pick up appuntiti, che titillano ironia e sforbiciate distorte su temi quanto mai inusuali: piani di conquista dello spazio, una love story immaginaria con Cleopatra, ritratti di domeniche cattoliche sul sagrato delle chiese, la metempsicosi con animali dello zoo e persino Michael Jackson. Manca solo, forse, l‘eureka musicale, quella cifra capace di distinguere da tutte le altre bravissime band post-punk: ci voleva la sfortuna, di quelle devastanti. Malcom McLaren, da figlio di buona donna qual’era, “compra” e sottrae ad Adam l’intera band, convinto che il performer sia ormai troppo vecchio (25 anni) per diventare il nuovo idolo delle masse inglesi, formando a tavolino con i transfughi la band di bubblegum-punk “Bow Wow Wow” con ai microfoni la sedicenne (e sedicente) Annabella Lwin. Nella difficoltà si vede chi vale? Stuart farà uno degli incontri determinanti della vita, l’uomo a sé opposto, ma che lo completa: Marco Pirroni. Un chitarrista di aspetto sgraziato e sgradevole, sovrappeso e tutto meno che un virtuoso, con quella latinità da famiglia di emigrati italiani. Nessun assolo, tanto Morricone e un minimalismo scarno quanto colto. Nasce così un’amicizia e un sodalizio simbiotico, tra il bellissimo e il bruttissimo, tra eleganza e kistch, tra letteratura e make up. Ancora una trovata, l’ingresso di ben due batteristi, con l’arrivo di un sound influenzato dalle percussioni burundi, e di colpo nasce un genere, e una canzone manifesto: “Antmusic”. Le radio impazziscono, le discoteche cominciano a ballare a ritmo tribale sui racconti ispirati dall’album “Kings of The Wild Frontier”. Il romanzo autobiografico di un gruppo generazionale che ritrova la sua dimensione etica ed estetica in un crocevia tra pellerossa e pirati, tutto frullato in una sensibilità dandy e decadente. All’improvviso ballare diventa politico, la scoperta intellettuale si tramuta in divertimento (ancora “Art for Art’s Sake”?), i ragazzini cominciano a truccarsi il viso come se provenissero da una riserva indiana, le ragazze si tagliano i capelli “alla mohawk”: sembra di assistere a una volgarizzazione del concetto degli “indiani metropolitani” del ’77, e invece è nata la new wave. L’impatto è incredibile, Adam ha non solo annullato lo scarto con le ricerche a lui precedenti, ma viene a trovarsi a capo di un fermento sommerso che vuole scherzare e lasciarsi incantare, una generazione in cerca di magia. Ragazzine come Madonna impareranno da lui come crearsi un personaggio pop (Adam Ant è stato definito dal NME “the last self-making pop star”), giovani istrioni come Robert Smith o Prince legittimeranno così la loro raffinata avventura estetico-esistenziale, fino a Morrisssey, che rappresenta l’erede sobrio del forbito anelito letterario e citazionista di Ant.

Purtroppo le favole belle nate sotto il capitalismo rischiano di diventarne vittima, e questa parabola non fa eccezione. Dopo l’apice popolare con il successivo “Prince Charming”, che consacrò universalmente Adam Ant come “principe azzurro” e sex symbol al di qua e al di là dell’oceano, il benessere patinato prese il sopravvento. Era in fondo quel che Adam aveva sempre desiderato? Sì. E infatti prese avvio una carriera solista da riflettori e riviste da teen-ager, in un primo momento retta egregiamente, e poi collassata sotto una sempre più difficile sostenibilità mediatica. Nel 1985 all’evento mondiale del Live Aid ad Adam verrà concesso il palco per una sola canzone, la banalissima “Vive Le Rock”, eseguita così fuori forma da lasciare il cantante senza fiato. A quel punto la prima svolta: essendoci un bel faccino a disposizione, viene tentata la carriera cinematografica, durata un decennio a suon di B-movies mai usciti dall’Inghilterra (e dire che Adam nel lontano 1978 aveva partecipato allo splendido “Jubilee” del giovane maestro Derek Jarman). Seconda svolta: un progetto dance, poi un disco che l’etichetta nemmeno fa uscire per mancanza di convinzione. Dello sciamanico corsaro che aveva dato i natali agli anni Ottanta non vi è più traccia, ma la terza svolta se non altro rasserena i fan: a quarant’anni esce “Wonderful”, un puro, corretto disco di adult-pop, con la title-track che riacciuffa la Top Ten, facendo credere per una breve stagione a un probabile ritorno di forma. In realtà è stato solo un sobrio tentativo di riscatto, che per quanto riuscito viene stroncato da un tour interrotto per dichiarati problemi di salute di Adam e del sempre fidato chitarrista/produttore Marco Pirroni. È il 1995, ma il decennio sembra già concluso. Tutta la vicenda sparisce nel buio, e per circa dieci anni niente è dato sapere sull’idolo new wave. Ma si parla di arresti, ricoveri, possesso di armi da fuoco, concerti illegali di cover-song delle Spice Girls, alcolismo, un’irregolarità che è sempre più difficile nascondere, anche nello stato di semireclusione in cui l’artista si è ridotto. Finalmente nel 2005 esce l’autobiografia “Stand and Deliver”, ed è l’occasione per fare il punto sulla situazione. Ne esce un ritratto inedito e drammatico, dove per la prima volta viene dichiarato il vero problema che negli anni ha assillato Stuart Goddard: una genetica sindrome bipolare che lo ha fatto oscillare da stati di assoluta euforia a fasi di paludosa depressione. Usciranno fiumi d’inchiostro sui tabloid e persino un documentario della BBC, “The Madness of Prince Charming”, e ormai il re è nudo, ha confessato la propria malattia: come un novello Zeno Cosini il personaggio Adam Ant paradossalmente riscopre una propria credibilità – e l’affetto del pubblico – nella confessione di un malessere che da sempre è stato l’essenza della propria variopinta identità. È da qui, che parte la più clamorosa riscossa della storia del rock: prima le ristampe dei vecchi album, poi i primi concerti dopo anni, prima nel vicinato, poi a Londra città, poi nel resto dell’Inghilterra, sempre con maggior solidità e solidarietà da parte del pubblico. Adam non ha più i capelli, porta gli occhiali e ha quasi sessant’anni, ma la musica che porta nei pub degli anni Dieci sembra totalmente in sintonia con il nostro tempo: dongiovannismo moleriano, ambiguità citazionista, perversioni comunicative anti-virtuali, energia e genuinità punk ritrovata o forse mai completamente spenta: le folle accorrono in questi live artigianali, costruiti uno dopo l’altro misurando le energie traballanti di Adam, che a questo punto è supportato e incoraggiato da un intera scena musicale che per anni attendeva questo ritorno. E così è stato. Il pieno recupero ha portato ad un mastodontico nuovo album di 18 tracce, da un titolo lungo quanto gli anni di attesa per realizzarlo: “Adam Ant Is The Blueblack Hussar In Marrying The Gunner’s Daughter”. Un abbecedario dell’invenzione, l’esempio di come si possa vincere crisi personali o mondiali, grazie alla costanza e alla felicità della propria, continua creazione. Nessuna nostalgia, nessuna ripresa del ruolo di star, totale riconquista della propria Musa. E vogliamo salutare il nuovo Adam Ant con il suo primo singolo, “Cool Zombie”: il manifesto di un uomo morto, scomparso, e rimesso in piedi dal proprio buon gusto. “Irremovibile”, come un “adamante”.

 

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