La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Sciacallaggio di Stato: la svendita di Telecom e dell’Alitalia

Scritto da – 12 Novembre 2013 – 12:43Un commento

In questi giorni si sta discutendo della recente acquisizione di Telecom da parte di un gruppo di telecomunicazione spagnolo, ma è solo l’ultima, per ora, cessione di una grande impresa italiana ad un gruppo di investimento di un paese straniero. Molte imprese sono state acquistate da gruppi francesi, olandesi, russi, soprattutto nel campo della moda e dell’alimentazione, ma si stanno affacciando anche nuovi acquirenti provenienti dalle potenze emergenti, è il caso di cinesi, brasiliani, indiani, indonesiani e vietnamiti – oltre al caso dell’Inter, oltremodo discusso, anche La Rinascente è diventata asiatica – ma tra gli acquirenti vi sono anche personaggi legati alle corti regnanti in molti emirati arabi, come il Qatar. La colpa è come al solito attribuita alla crisi economica, ma questa giustificazione non è plausibile perché, solo per fare un esempio, la Spagna è molto più esposta dell’Italia ai contraccolpi economici provocati dalla lunga stagnazione, eppure ha quasi definitivamente acquistato Telecom; si tratta, in realtà, di una situazione molto più complessa e dai contorni molto più intricati di quanto sembri a prima vista.

La Telecom è stata fondata nel 1994, quando venne privatizzata la Sip, l’azienda nazionale delle telecomunicazioni, fino ad allora impresa statale; nel 2001 il controllo dell’azienda fu assunto dalla finanziaria Olimpia, che lo mantenne fino al 2007, quando Telecom prese i primi contatti con Telefonica, impresa di telecomunicazione spagnola, che stava cercando di acquistare una parte delle azioni da Olimpia.

I contatti tra Telecom e Telefonica si arrestarono improvvisamente per il ritiro dell’azienda spagnola, salvo poi riprendere qualche mese dopo, quando alla finanziaria Olimpia subentrò una nuova cordata, denominata Telco, gestita da alcune banche italiane e dalla stessa Telefonica.

La notte del 13 settembre 2013 Telefonica ha infine rilevato il 66 % delle azioni di Telecom, acquistando i pacchetti dei tre principali gruppi finanziari, Generali, Intesa San Paolo e Mediobanca, che controllano la holding delle telecomunicazioni, ma la presenza di Telefonica potrebbe salire anche al 70 %.

La notizia ha sconcertato non solo la popolazione, che vedeva un’altra grande impresa italiana passare all’estero, ma ha anche allertato i vertici del Copasir, l’organo del Parlamento della Repubblica di controllo dei servizi segreti, che hanno chiesto di bloccare l’operazione di vendita perché un’eventuale cessione di Telecom ad un’azienda estera metterebbe in serio rischio la sicurezza nazionale, in quanto verrebbe a mancare la vigilanza sia sulla rete internet sia sulla rete telefonica, compromettendo, ad esempio, le iniziative assunte dai servizi segreti per la lotta al cyberterrorismo, che si avvalgono proprio dei dati presenti sulla rete fissa per le indagini.

Per impedire questa vendita il ministero dell’Economia può avvalersi del golden power, cioè il potere di veto sulla vendita di aziende italiane la cui cessione comporterebbe rischi per la sicurezza nazionale, ma il Parlamento sta valutando anche l’ipotesi di una riforma della legge sull’Opa, ossia le offerte pubbliche di acquisto con cui le imprese incentivano i propri soci azionari a vendere i titoli posseduti, le offerte vengono lanciate da una finanziaria per aumentare le proprie azioni oppure per acquisire direttamente la maggioranza nel pacchetto azionario, offrendo ai soci una somma maggiore rispetto a quella quotata in borsa per incentivarli a vendere le proprie azioni.

Il ministero dell’Economia potrebbe così impedire la cessione di Telecom o modificando la legge sull’Opa, che costringerebbe Telefonica a offrire una cifra superiore ai 7,5 miliardi di euro, cioè l’attuale quotazione di Telecom in borsa, oppure avvalendosi del golden power e vietando così la vendita per non mettere in rischio la sicurezza nazionale; la prima misura rischia di essere definita protezionistica, invece con le leggi attuali Telefonica acquisirebbe il controllo di Telecom spendendo, al massimo, solo 900 milioni di euro.

I problemi per Telecom derivano da un forte indebitamento che potrebbe essere ulteriormente declassato e proprio per evitare questo scenario le occorre un aumento di capitale rapido, ma Telefonica non sembra intenzionata a volerlo sottoscrivere, preferendo uno spezzettamento delle imprese partecipate di Telecom in Sud America; finora l’azienda spagnola non può intervenire nel consiglio d’amministrazione, ma se assumesse le maggioranza, resa possibile dalla vendita, potrebbe imporre la sua decisione, anche se non fosse soddisfacente per Telecom. Occorre comunque ricordare che Telecom è stata la principale concorrente di Telefonica nelle telecomunicazioni del Sud America; oggi l’indebitamento di Telecom si aggira intorno ai trenta mila milioni di euro, cosa che ha spinto l’azienda a vendere quest’anno le sue reti televisive La7 e Mtv. L’eventuale cessione degli asset, cioè delle attività della società in America Meridionale potrebbe portare a Telecom un utile da reinvestire in Italia, almeno stando a quanto affermano i favorevoli alla vendita, ma allo stato attuale delle cose non sono in discussione né gli investimenti in Italia né la gestione delle imprese partecipate in Brasile e Argentina. L’eventuale riforma della legge sull’Opa, invece, avrebbe come effetto secondario la potenziale vendita di una piccola parte delle quote statali nelle grandi imprese come Eni, Enel e Finmeccanica ad aziende private, una misura che permetterebbe al governo di mantenere in ogni caso la gestione di queste imprese, ma che porterebbe anche consistenti capitali economici.

 

L’altra grande impresa italiana oggetto di discussioni altrettanto accese è Alitalia, la più grande compagnia aerea italiana, anch’essa alle prese con un forte indebitamento.

Un primo tentativo di privatizzazione era già stato fatto nel 2006, ma era fallito, nel 2007 molte compagnie aeree come Air France, Lufthansa e alcuni privati erano disposti a rilevare Alitalia, l’interlocutore prescelto per una trattativa fu individuato nella compagnia aerea francese, anche se le molte condizioni contrattuali su svariati aspetti portarono Air France a rinunciare.

Nel 2008 il governo concesse un prestito di 300 milioni di euro ad Alitalia da restituire, che venne poi convertito in patrimonio netto, quindi istituì la nuova Alitalia, denominata Compagnia Aerea Italiana (Cai).Al momento della fondazione era stato fissato il 2013 come termine minimo per i soci di restare nella Compagnia, a meno che il rapporto non fosse rescisso dal 66 % dei membri del consiglio di amministrazione, inoltre le azioni di Alitalia erano state suddivise in due categorie, definite A e B, le prime quasi esclusivamente di proprietà per gli imprenditori italiani e le seconde per Air France – Klm, inoltre era stato deciso che il gruppo francese non aveva potere di veto se non per le decisioni fondamentali, ad esempio una ipotetica vendita della società, tutto ciò allo scopo di assicurare una preminenza italiana nella nuova azienda.

Nel periodo 2009 – 2012 gli utili in crescita avevano permesso un dimezzamento del debito, ma il passivo del primo semestre del 2013 ha portato Alitalia sull’orlo della bancarotta, con un ammanco di 294 milioni di euro, così il consiglio di amministrazione ha deciso per un piano di ricapitalizzazione di 455 milioni di euro, di cui 300 da richiedere alle banche. Il gruppo francese ha però respinto questo piano, chiedendo una copertura economica maggiore per ristrutturare il debito, la gravità della situazione è tale che occorre un finanziamento tempestivo, ma nessuno degli azionisti sembra disposto a ricapitalizzarla, le banche hanno invece posto come condizione per erogare i fondi che anche gli azionisti sottoscrivano e finanzino il piano di salvataggio.

Sul futuro di Alitalia si stanno intanto affrontando due diversi atteggiamenti, uno che vede l’aumento di capitale francese come il preludio di una marginalizzazione del gruppo italiano nel consiglio di amministrazione e l’altro che al contrario lo ritiene la soluzione più idonea per risolvere la grave crisi economica di Alitalia, prendendo ad esempio l’alleanza tra Air France e l’olandese Klm, che nel 2004 sollevò le sorti di entrambe le compagnie aeree.

La stessa compagnia francese ha però sostenuto nel gennaio di quest’anno di non essere interessata a rilevare le quote dei soci italiani a causa della scarsità delle risorse e non aveva lasciato trapelare nulla sulle operazioni future. Negli stessi giorni in cui si discuteva la cessione di Telecom alla spagnola Telefonica è trapelata la notizia che Air France era pronta ad acquistare Alitalia per un decimo della cifra che aveva offerto nel 2008, dopo che per la ristrutturazione della compagnia sono stati spesi circa cinque miliardi di euro pubblici, provocando una forte indignazione. La mancanza di un piano industriale nazionale e il continuo rinvio delle riforme in campo imprenditoriale sta permettendo a compagnie indebitate quanto e più delle nostre di acquistare le imprese italiane, anche quelle più strategiche, a prezzi scontati. In ambito industriale si dovrebbe invece adottare il criterio dominante in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, quello dell’azienda ad azionariato diffuso, che prevede la polverizzazione delle azioni di un’impresa tra molti soci, per impedire la formazione di gruppi dominanti nei consigli di amministrazione, ma in Italia questa concezione è ancora scarsamente applicata e l’unica grande impresa che l’aveva introdotta era proprio la Telecom nei primi anni della sua privatizzazione, per poi abbandonarla poco dopo.

La presenza di lobbies all’interno delle grandi imprese ne hanno provocato la crisi, prima facendole indebitare enormemente, ricavandone guadagni colossali e infine svendendole oppure ricapitalizzandole con fondi pubblici; finalmente il governo sta esaminando un disegno di legge per regolamentare le attività lobbiste che dovrebbe coinvolgere anche l’antitrust, il cui compito sarebbe quello di stilare un codice di comportamento cui devono attenersi i gruppi di pressione ed evitare così speculazioni i cui effetti ricadono sui cittadini.

 

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