De andrè, storia di un impiegato
La nascita, la crescita e la morte dell’illusione. Così può essere sintetizzato Storia di un impiegato, (1973) illuminante concept-album di Fabrizio De Andrè, ricco ed innovativo non soltanto nei contenuti tematici ma anche nelle sonorità, grazie alla collaborazione col maestro Nicola Piovani. Il disco trova le sue origini nei mutamenti sociali di quegli anni, soprattutto a partire dalla fatidica data del 1968, e che avevano come motore principali i giovani e le loro contestazioni di piazza. Proprio dall’impulso delle manifestazioni nasce la storia di questo impiegato, l’emblema dell’ ordinario medio borghese, che innamoratosi della causa della rivoluzione, si improvvisa ingenuamente bombarolo, andando così a simboleggiare l’altra faccia della contestazione, ossia la faccia violenta e sanguinaria. Il percorso dell’uomo si snoda lungo nove tracce, le prime due ripropongono da vicino i motivi del movimento studentesco, le altre invece rappresentano le diverse fasi della sua coscienza, dal sogno di poter cambiare l’assetto politico e sociale carico di ipocrisia e perbenismo grazie al tritolo, alla consapevolezza che il potere non cambierà mai il suo volto, poiché gli stessi gesti terroristici lo rafforzano legittimandone la sua autorità. La solitudine dell’impiegato, dunque, rifugiatasi dietro la fabbricazione di ordigni esplosivi, diventa coscienza collettiva nel momento in cui varca le soglie del carcere, non più individuo solo che si batte per sconfiggere l’autorità, ma uomo in mezzo ad altri uomini vestiti uguali, disilluso e consapevole del suo errore che va individuato non tanto nell’ideologia rivoluzionaria, ma nell’erronea convinzione che possano esistere “poteri buoni”. L’album sembra dunque chiudersi con un tono amaro, tuttavia la raggiunta consapevolezza dell’impiegato-carcerato si profila come ultimo grido di libertà di una società totalmente ottenebrata e lanciando nell’aria un ultimo grido:
“Per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti!”
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