La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Berlusconi e la Giustizia, una contraddizione in termini

Scritto da – 14 Novembre 2011 – 14:422 commenti

Il rapporto tra Berlusconi e la giustizia nasce ancor prima della sua discesa in campo, in quello sciagurato 26 gennaio 1994. Nel 1983, quando Berlusconi era impegnato a costruire palazzine in tutto l’hinterland di Milano, la magistratura meneghina iniziò ad interessarsi della mafia dei colletti bianchi, venuta in Lombardia alla ricerca di capitali. Il 14 febbraio finirono in manette numerosi imprenditori legati a Cosa Nostra: la prima maxioperazione contro la mafia al Nord Italia. C’era un piccolo istituto di credito dove quegli uomini d’affari erano soliti depositare i loro risparmi: la Banca Rasini di piazza Mercanti. Fino al 1973, dieci anni prima dell’operazione antimafia, a dirigere l’istituto c’era il padre di Silvio Berlusconi, Luigi. Soprattutto da quella banca provenivano le centinaia di milioni di lire con cui il giovane imprenditore Silvio Berlusconi aveva costruito abitazioni a Brugherio e a Milano 2, tra il 1969 e il 1978. Assidui frequentatori degli sportelli della Rasini erano Giuseppe Bono, Antonio Virgilio, Salvatore Enea e Luigi Monti. Gli emissari dei clan mafiosi della famiglia Fidanzati, Bono e Gaeta al Settentrione. Virgilio e Monti avevano anche contatti con altri due personaggi che compariranno più volte nell’epopea berlusconiana con la giustizia: Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri. Quando le inchieste dei pm milanesi iniziarono a guardare tra gli archivi di quel piccolo istituto frequentato da personaggi così poco raccomandabili, si scoprì che la Rasini era uno dei centri per il riciclaggio del denaro sporco più utilizzato da Cosa Nostra.
Sia chiaro, non c’è nessun legame diretto tra gli investitori mafiosi e la famiglia Berlusconi. Luigi aveva già lasciato l’incarico da dieci anni quando scoppiò il caso. Il fatto è che il padre di Silvio aveva ceduto la banca alla famiglia Azzaretto, siciliani di Misilmeri che Luigi Berlusconi conosceva e che lì avevano dei risparmi. Gli Azzaretto sono dentro fino al collo in questa sporca storia di criminalità, riciclaggio e grandi transazioni di denaro, tanto che qualche anno dopo saranno costretti ad abbandonare la Banca Rasini, affidata alla famiglia Rovello. Un’altra strana circostanza getta un’ombra sugli affari dei Berlusconi nella Banca Rasini: non esiste alcun documento bancario risalente all’era in cui il capo era papà Luigi. Tutti distrutti in un fantomatico incendio. Chissà se già allora tra i clienti in fila agli sportelli c’era qualche affiliato alla criminalità organizzata siciliana.
Forse è stato dopo quest’episodio che Silvio Berlusconi ha iniziato ad avere in antipatia i magistrati. Tutti questi controlli, tutte queste domande, tutte queste maldicenze con cui infangavano il buon nome dell’istituto Rasini, tanto importante nel successo del self made man di Arcore… Forse è stato quello il motore del romanzo a puntate che ammorba la politica italiana da 17 anni. Per trasformare il fastidio in odio è servito un evento molto più clamoroso: Tangentopoli. Una tempesta perfetta che ha spazzato via l’apparato politico che aveva retto l’Italia per quarant’anni e in cui Berlusconi aveva trovato fedeli alleati.

UN OBIETTIVO POCO DICHIARABILE

Dopo Mani Pulite, il tema giudiziario ha assunto sempre più rilievo nel dibattito pubblico italiano. È stato un evento traumatico, in cui la magistratura ha anche commesso degli abusi. Per quanto oggi sembri quasi immorale ricordarlo, si respirava un certo fastidio per quella forma di strapotere. L’aria guascona di chi è stufo delle regole dello Stato e soprattutto di chi obbliga a rispettarle, non dispiaceva all’elettorato. Orfani dei socialisti e dei democristiani, gli italiani si sono gettati tra le braccia dell’imprenditore approdato in politica per compiere una “rivoluzione liberale”. Niente di più falso. Dopo cinque mandati di governo, pare chiaro che l’obiettivo fosse un altro.
Ma il proposito di combattere la magistratura non può finire nero su bianco in un programma: si offrirebbe un facile assist a chi sostiene che la “discesa in campo” sia stata un modo per evitare le sbarre. Meglio promettere di abbassare le tasse e creare un’unica aliquota per tutti i contribuenti. O assicurare di trovare 1 milione di nuovi posti di lavoro, di realizzare di grandi opere o di aumentare le pensioni. In un editoriale del Corriere della sera del gennaio 2010 Sergio Rizzo ricorda come questa serie di promesse siano ancora disattese dopo quasi vent’anni. E che ritornano, identiche, ad ogni competizione elettorale.
Con gli anni la campagna antimagistratura si è fatta sempre più aspra. La magistratura si è trasformata in “un cancro” da sconfiggere, nel più grosso nemico degli elettori e dei liberi cittadini, in un potere quasi massonico che cospira contro lo Stato. Ma nel suo ventennio, Berlusconi non è mai riuscito a trasformarla. Semmai a spuntarle le armi, a renderla meno minacciosa. È qui che si apre il capitolo delle leggi ad personam, iniziato con il suo governo ter, nel 2001.

UN PARLAMENTO AD PERSONAM

In principio fu la legge 367/2001,sulle rogatorie internazionali. All’epoca c’erano i suoi sodali Cesare Previti e Renato Squillante, inguaiati con il processo “Sme-Ariosto 1”: l’avvocato era accusato di aver corrotto Sqillante per conto di Berlusconi. La legge rendeva più difficile chiedere una rogatoria internazionale, dato che il sospetto era che gli illeciti fossero stati compiuti attraverso conti correnti svizzeri. Ma il capolavoro del 2001 è la legge 61 con cui viene depennato il reato di falso in bilancio. Berlusconi si conquista due assoluzioni con formula piena: “il fatto per legge non è più sanzionato come reato” nei procedimenti penali “All Iberian 2” e “Sme-Ariosto2”.
Il 2002 fu l’anno della legge Cirami: una riforma del codice penale che introduceva il “legittimo sospetto”. In sostanza, da allora l’imputato può dichiarare che una Corte non è adatta a giudicarlo. La norma è fra le più utilizzate dagli avvocati Ghedini e Longo per evitare che il premier vada in aula a rispondere ai pm, soprattutto a Milano.
Con il 2003 si apre la stagione dei “lodi. Il lodo Schifani intendeva introdurre l’impunità per le cinque più alte cariche dello Stato (presidente della Repubblica, premier, presidenti di Camera e Senato e presidente della Consulta). Quando il 13 gennaio 2004 la legge arrivò sul tavolo della Corte costituzionale il giudizio fu inappellabile: il provvedimento “viola gli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 24 (diritto di difesa) della Costituzione”. Era incostituzionale. Nel 2008 ci prova Angelino Alfano, riducendo le cariche protette solo alle tre più alte. Nulla da fare, anche stavolta la Corte costituzionale eccepisce sulla costituzionalità per via degli articoli e 138 della Costituzione. Nell’aprile del 2010 esce viene proposta una riforma della legge costituzionale in modo che anche tutti i ministri siano protetti dallo scudo antiprocesso, ma l’iter non si è ancora concluso.
Nel 2005, invece, a Berlusconi riesce il colpo di far votare al Parlamento la legge ex Cirielli. In sostanza, la norma accorcia notevolmente i tempi di prescrizione. Soprattutto per i reati fiscali e per la falsa testimonianza, per cui la pena è minore. In quel momento Silvio Berlusconi era accusato proprio di questo nei processi “Lodo Mondadori”, “Lentini”, “Diritti tv Mediaset”.
Dulcis in fundo, il processo breve: “Per l’imputato incensurato, il processo non può durare più di sei anni (due anni per grado e due anni per il giudizio di legittimità)”, scrive Repubblica. Berlusconi ne beneficerebbe nei processi per corruzione in atti giudiziari dell’avvocato David Mills e per reati societari nella compravendita di diritti tv Mediaset, per cui la prescrizione potrebbe arrivare entro fine del 2011. La norma attende ancora di passare per la seconda volta al Senato.
Quanto è costata allo Stato tutta questa decennale messa in scena? Se l’è chiesto Italia dei valori, riporta il Fatto quotidiano del 26 maggio 2011. Il totale fa spavento: 2,2 miliardi di euro. Altro che manovra correttiva per recuperare 45 milioni. Una stima che si basa sul conteggio di ore speso per dibattere di queste norme (a Montecitorio 731 ore e mezza , cioè praticamente un mese intero in dieci anni contando giorno e notte e a Palazzo Madama per 629,23) e sulla stima delle spese medie. Il parlamentare Antonio Borghesi l’ha calcolato dividendo le ore complessive di seduta dell’ultimo biennio per il costo di ciascuna Camera. Il risultato da di che pensare: 1.859.447 euro per Montecitorio e di 1.428.045 per Palazzo Madama. Più di una manovra finanziaria. Altro che austerity e ,misure “lacrime e sangue”.

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