Nella morsa delle multinazionali
La politica italiana (come quella internazionale) è sempre stata influenzata da due fattori: la capacità e la fortuna. La prima era costituita da un mix di conoscenze e professionalità che rendevano fruibile una proposta o un’idea; la seconda appariva come qualcosa di imprevedibile e incalcolabile, che il politico di professione e il suo staff non riuscivano a gestire in prima persona. Se oggi vale ancora questo binomio, è tuttavia fuori discussione che la fortuna (o fattore C) è ben ridimensionata rispetto alla politica della cosiddetta Prima Repubblica, quando erano molto sentite le ideologie e chi controllava i media non era allo stesso tempo Presidente del Consiglio. In effetti la politica attuale, attraverso i sempre più avanzati sistemi di telecomunicazione, riesce a prevedere attraverso il controllo e l’indirizzamento della coscienza collettiva (o parte di essa) e a fare la fortuna di un Partito o di un movimento. Tutto grazie ad un minuscolo cavo catodico sistemato nelle sale da pranzo di milioni di famiglie, alle quali è possibile far credere qualsiasi cosa e alle quali è facilissimo far bere l’esistenza di una realtà che non esiste affatto. Prendersi gioco dei cittadini risulta, quindi, davvero molto semplice. E’ proprio grazie alla televisione che è possibile mettere in campo una delle tante strategie politiche studiate durante l’impero mediatico di Silvio Berlusconi: creare o ingigantire un problema e farsi da soluzione. Ciò che, in sostanza, ha fatto la Lega Nord sul tema dell’immigrazione, tema che occupa molto spesso le prime pagine dei quotidiani. L’immigrazione però non è un problema che nasce dal nulla, ma possiede una precisa origine, tanto storica quanto attuale, che le destre europee fomentano per non perdere la quaestio che dona poi linfa alla giustificazione di esistere e di contare come partito, nei vari livelli del panorama politico nazionale (problema-soluzione). Un cane che si morde la coda, coscientemente e ripetutamente.
Tutto ha origine dallo strapotere accumulatosi nelle mani delle poche Nazioni europee che, al tempo dei colonialismi, hanno diviso il mondo in due parti: regioni ricche (i colonizzatori) e regioni povere (i colonizzati). Quelle che un tempo si chiamavano Compagnie (quella delle Indie piuttosto che quella del Sud Africa per fare alcuni esempi) sono le fotografie ingiallite di quelle che oggi vengono definite Imprese transnazionali o, più comunemente definite, multinazionali. Il sistema è il medesimo: agiscono fuori dai propri confini nazionali ed agiscono sfruttando due elementi strettamente legati fra loro: l’industrializzazione e l’impero. Questi elementi guidano l’espansione economica (industrializzazione) interna ai Paesi esteri e, contemporaneamente, favoriscono l’espansione “imperiale” della stessa multinazionale all’estero, creando una sorta di rete infinita e indefinita, con poteri quasi inimmaginabili. Nessuna ideologia e nessuna morale può fermare le multinazionali, il cui scopo principale resta il motivo della propria esistenza: il profitto. Tanto per fare esempi che non brillano certo di buon costume: l’Aramco (un gruppo di imprese statunitensi) commercia con paesi non propriamente democratici, dove non esistono diritti civili (come l’Arabia Saudita);La Nestlè che ha denutrito con il latte in polvere milioni di africani, stipulando contratti di approvvigionamento con governi compiacenti, lo stesso vale per l’“italianissima” ENI che commercia da decenni con l’Iran o con la Libia, dove le libertà non sono una questione davvero seria. Ciò che spinge le multinazionali a girare e a scoprire il mondo sonno i fortissimi investimenti che esse possono studiare per tagliarsi fette di mercato sempre più grandi e sempre più influenti.
L’investimento massiccio in un Paese estero provoca, tuttavia, uno squilibrio della concorrenza interna al medesimo paese, che culmina con l’abbandono di molte attività lavorative di milioni di persone le quali, in questo modo, sono costrette a cambiare stile di vita e,ancora più facilmente, ad emigrare. Non solo, le multinazionali spesso sovvenzionano “Governi amici” o movimenti sovvertitori che, non a caso, fomentano guerre intestine infinite. Un esempio può essere l’americano Harold Geneen della ITT che offrì un milione di dollari alla CIA per investire nella vittoria del candidato di destra in Cile, contro Salvador Allende (1). Conosciamo gli eventi che seguirono alla vittoria di Allende, davvero poco fiabeschi. Le multinazionali possono dunque diventare fonte di instabilità interna e ispiratrici di guerre civili: un’altra causa delle emigrazioni di massa che genera il nuovo schiavismo del terzo millennio.
(1) Daniel Litvin, Gli imperi del profitto. La globalizzazione e le responsabilità delle multinazionali, Garzanti, 2007, Milano.
Adamo Mastrangelo
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