The Danish Girl: l’insostenibile evidenza dell’essere
Ultima creazione del regista de Il Discorso del Re e I miserabili, The Danish Girl è arrivato nelle sale italiane il 18 febbraio 2016. Pensato e creato per la grande distribuzione, con il suo carico di nomination, con i suoi attori da Oscar, il film di Tom Hooper non si risparmia nell’indagine delicatissima ed evanescente di un dramma quanto mai scomodo e complesso, quanto mai fisico, quanto mai carnale. La storia è quella di Einar Weger (Eddie Redmayne), paesaggista danese di inizio ‘900, uno dei primi transessuali al mondo ad essersi sottoposto ad un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale. Storia romanzata nel 2000 da David Ebershoff, sulla base dei diari di Lili Elbe (alter ego femminile del protagonista), redatti nel periodo dell’operazione.
Eppure non vi è nulla di più tenue, di più pudico e candido della donna che nasce per gioco e si fa prepotentemente strada in un corpo di uomo, di amante, di marito. Lo scandalo, i baci omosessuali, la ricerca affranta di una sessualità matrimoniale che non può più essere si piegano, con discrezione, al dramma psicologico. Perfino le scene di nudo della bellissima Alicia Vikander sono circondate da un’aura virginale, purissima, quasi di favola. La stessa che permea tutta quanta la Danimarca di Tom Hooper, dai colori pastello, dalle inquadrature fisse e studiate come tele.
Il dolore della scelta, del mutamento – che non è solo quello da uomo a donna, ma anche quello di un matrimonio che si sfalda e viene a essere un rapporto completamente diverso- sono tutti interiori, lasciati ai dettagli, alla cura meticolosa con cui una neonata Lili Elbe imita i gesti delle prostitute, ma sempre con una discrezione che sfocia quasi nella timidezza. Così Tom Hooper riesce ad approcciarsi ad una materia tanto difficile e tanto distante senza cadere nel banale, nel tremendamente carnale o nello zuccheroso, se non forse, inevitabilmente, nel finale. Anzi, ben più frequenti sono gli angoli acuti, gli spigoli affilati di un uomo che cambia, che deve convincere sé ancora prima degli altri di non essere pazzo, malato, schizofrenico. E per fare questo si riveste di egocentrismo, rifiutandosi di vedere il dolore altrui oltre la propria difficoltà, arrivando a pretendere l’aiuto e l’appoggio incondizionato di chi lo circonda.
Nonostante il finale, la storia di Lili Elbe assume i connotati di una favola dal retrogusto amaro, o meglio di un mito, della cui tragica eroina rimane traccia indelebile, fosse anche solo per il suo coraggio, fosse anche solo per il suo incolpevole tormento.
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