La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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LA “STRAGE DI STATO”, OVVERO IL MALE OSCURO DELLA POLITICA

Scritto da – 18 Agosto 2010 – 18:10Nessun commento

 

Sciascia racconta l’evitabile esecuzione di Aldo Moro

Quella mattina del 16 marzo 1978, tra gli onorevoli in Senato, doveva esserci anche Aldo Moro, presidente del Partito della Democrazia Cristiana. Il deputato, però, venne rapito da un manipolo di uomini delle Brigate Rosse in via Fani a Roma, alle 9.30. Il gruppo di terroristi aveva bloccato la sua auto, una Fiat 132, chiudendo la strada con due fiat 128,  precludendo così qualunque via di scampo all’autista di Moro, appuntato Ricci, al fianco del quale stava il maresciallo Leonardi, responsabile della scorta. Dietro di loro, in un’altra vettura, stavano altri 3 ufficiali, sempre parte della scorta. Nell’agguato tutti e 5 i militari morirono. A quel giorno ne seguirono altri 54 in cui Moro venne sommariamente processato da un “tribunale del popolo”. Che ha deliberato per la sua morte. La mattina del 9 maggio il cadavere fu ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani a Roma. L’affaire Moro creò scompiglio in Parlamento, anche perché il presidente della DC stava cercando di attuare quel “compromesso storico” che avrebbe finalmente aperto le porte di palazzo Chigi al PCI. Leonardo Sciascia, in quel caotico ’78, era un deputato del PCI. E di fronte alla”strage di Stato” non rimase imperturbabile, lui che si era schierato fin dall’inizio sul fronte di chi voleva trattare per un rilascio, rispondendo all’appello che Moro lanciava dalla sua prigione. Sciascia entrò poi a far parte della Commissione Parlamentare d’inchiesta e nello stesso ’78 diede alle stampe una retrospettiva della vicenda: L’affaire Moro. Sciascia percepisce tutta la letterarietà della vicenda di Moro: il dramma di un uomo che viene sacrificato sull’altare del potere. Come un fine esegeta, Sciascia si dedica ad interpretare i misteri che si celano in tutta la letteratura vergata dai protagonisti di questa vicenda: circa 60-70 lettere di Moro alle istituzioni, ai suoi “amici” della Dc, ai familiari, e i 9 comunicati delle Br. Grazie alla sua nevrotica razionalità, Sciascia riesce a soppesare ogni singola parola scritta, alla ricerca di quegli indizi che le istituzioni avrebbero dovuto scovare per salvare la vita del deputato. Come un protagonista di un romanzo a detection. Moro appare così nella sua fragile umanità, che erompe più violentemente nell’appello a Cossiga (allora ministro degli Interni), dove si chiede per quale motivo lui, il politico che si è fatto da parte andando a ricoprire un ruolo solo simbolico, debba pagare per tutta “la casta”. In un’altra lettera, Moro si scaglia contro l’on.Taviani, scatenando una bagarre politica di cui i brigatisti gongolano. Scopre lettera dopo lettera, il dramma della solitudine e del “potere”, un potere che pondera solo in termini di “ragion di stato”. La DC andreottiana prende drammaticamente una posizione senza abbandonarla mai. La famiglia, intesa sia in senso “parentale” che in senso “politico”(la DC), unico pensiero del Moro prigioniero, è irrimediabilmente avulsa dalla “famiglia” andreottiana. L’accusa che Sciascia muove per bocca di Moro è forte e netta: Moro è una vittima sacrificale. Ha pagato per tutti lo scotto di un paese in subbuglio. Il “contesto”, quell’oscuro e invincibile male che impedisce all’eroe romanzesco sciasciano di far vincere la sua Verità, nell’affaire ha i connotati degli organi di potere. Morendo, Moro ha impedito che i brigatisti ostacolassero l’avvicinamento PCI-DC. Ha distinto i cattivi dai buoni. E per evitare ripercussioni, ogni parola impressa nelle sue lettere, è stata bollata come “pazzia”, frutto del pensiero di un altro Moro, un doppio “manomesso” dalle BR. Così, gattopardianamente, il potere può continuare nel suo imperativo di cambiare tutto per non cambiare niente. Il J’accuse più dirompente, come in ogni finale di tragedia che si rispetti, è quello contenuto nell’ultima lettera di Moro alla moglie. Moro accusa apertamente, non insabbia come nello stile DC, rinfaccia un’”unanimità fittizia, come tante volte è accaduto”, parla con termini da brigatista, e indica con nome e cognome i corresponsabili della sua morte, in primis Zaccagnini Cossiga e Andreotti… Le alte sfere del partito da cui si è slegato, in una lettera scritta pochi giorni prima della sua esecuzione.

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