La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Il giorno della civetta

Scritto da – 7 Settembre 2010 – 11:37Nessun commento

La Mafia esiste? Un personaggio del libro risponde così “non sono finora riuscito a capire che cosa è la mafia, e se esiste”. Sciascia dipinge, in poche decine di pagine, la foto della sicilia. Con i dettagli e i contorni più nitidi di qualsiasi pittore, trattatista o fotografo. Ci trasmette la sicilianità più ancestrale, la sapienza più viva e popolare dei siciliani senza mai parlare male della sua terra, perché per capire quanto è incredibile l’Italia bisogna andare in Sicilia. Sono rimasto impressionato dal questo libello, mi aspettavo un giallo e ho trovato tutto l’arcobaleno. Ti prende dalla prima all’ultima pagina, si lascia leggere come un manifesto e capire come una verità ovvia ed indiscutibile. E’ una lettura obbligatoria, qualcosa che finisce per scorrere nelle vene, anzi, che scopri di avere ma che semplicemente ignoravi. E’ un racconto sull’omertà, sul silenzio pesante di tanti testimoni oculari ad un delitto di mafia. Siamo in Sicilia, al tempo dei Togliatti, dei Nenni e dei Fanfani. Ma quelli stanno a Roma e rappresentano lo Stato. Niente più che un’istituzione, qualcosa di astratto, di cui i siciliani non si ricordano se non quando devono pagare le tasse. C’è un’altra istituzione che si prende cura dei suoi amatissimi figli, li protegge, regola i conti e salda i debiti. E’ una grande madre dal nome sconosciuto, taciuto ed impronunciabile. Ma non si può dimostrare la sua esistenza, non uno straccio di prova che possa inchiodare un capo mafia. E’ quello che tenta il Capitano Bellodi. E’ lui che deve fare luce sull’omicidio dell’imprenditore Colasberna. E’ un capitano di saldi principi morali, con alle spalle un passato da partigiano ed un alternativa da avvocato a quella di capitano dei carabinieri di C.  Il Capitano Bellodi si trova davanti una spessa cortina di orecchie da mercante e sfingi omertose, lui sa che c’è sotto la longa manus di un potente boss ma non può dimostrarlo in nessun modo, osteggiato dalle persone più semplici perché in questi luoghi gli sbirri sono i cattivi, sono ben altri quelli che li proteggono. Il suo rivale è l’anziano Don Mariano Arena, un galantuomo. Qualcuno della vecchia stirpe che “come un cieco ricostruisce nella mente, oscuro ed informe, il mondo degli oggetti, così don Mariano ricostruiva il mondo dei sentimenti, delle leggi, dei rapporti umani”. Uno che, anche se tuo avversario, ti porta rispetto. Perché è del Rispetto che il vero uomo siciliano si nutre e si riempie la bocca.         L’indagine condotta a S. fa risentire la sua eco a Roma. L’insistenza settentrionale, che ad alcuni pare ottusaggine, con cui Bellodi sbircia sotto il tappeto proibito indispone un potente ministro, che richiama all’ordine le sue fidate pedine affinchè qualcuno faccia capire al giovane capitano di Parma che forse è il caso di seguire altre piste che non siano quelle di mafia. Perché le allusioni fanno parte del costume di chi vuole solo consigliarti, disinteressatamente, la cosa giusta da fare. E sta a te capire.  Con la sua indole pacata, riflessiva e sana, Bellodi capisce di avere a che fare con qualcosa più grande di lui, e non può essere certo un funzionario di provincia a raddrizzare il quadro che nessuno vede storto e che a tutti piace così. Magnifica, infine, la descrizione del genere umano, fatta da Arena, interrogato dal capitano. Epica. Riassuntiva di una razza, quella siciliana e del suo modo di vedere il prossimo, così immutata e tagliente, monolitica: “ – Io – proseguí poi don Mariano – ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, che mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora piú giú, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora piú in giú: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere che la loro vita non ha piú senso e piú espressione di quella delle anatre…”

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