La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Chi manovrava le Brigate Rosse?

Scritto da – 17 Gennaio 2012 – 19:00Un commento

Chi manovrava le Brigate Rosse? Questo è il titolo di un libro di recente stampa, scritto da Silvano De Prospo e Rosario Priore, che traccia la storia sociale-politica italiana degli ultimi quarant’anni del secolo scorso. Chi manovrava la coscienza di classe? Questa è la domanda che invece ci si pone alla fine della lettura, lasciandoci quell’amaro in bocca e quel senso di disorientamento che si prova nel cercare di capire le tante sfumature di cui é composta la Storia passata, ma che poche volte coincide con quella messa istituzionalmente nero su bianco. Negli anni sessanta, il nostro Paese fu caratterizzato dal fenomeno della migrazione interna, in particolare di quella proveniente dalle regioni meridionali, dove moltissime persone si trovarono a dover affrontare il problema dell’assenza di prospettive occupazionali nella propria terra d’origine: il mezzadro, il bracciante stagionale,il contadino assegnatario, il diplomato disoccupato, risultarono infatti, essere le figure più colpite e diventate assolutamente inutili in un sistema produttivo meccanizzato a livello industriale. Il neocapitalismo che si andava affermando, richiedeva infatti, solo gente non particolarmente specializzata, disposta a fare mestieri anche duri e da stipare nelle enormi fabbriche del nord: a Milano, Torino, in Germania, Svizzera…

Risultato di questi cambiamenti sarà la nascita del cosiddetto operaio di massa affiancato da una fresca generazione di impiegati-tecnici. Nell’ambiente “salubre” delle catene di montaggio  questa nuova forza lavoro dequalificata esprimerà però per prima, il disagio di dipendente sfruttato, attraverso i diversi scioperi che fioriranno in quegli anni, dei quali il più rilevante fu quello di piazza Statuto a Genova nel 1962.

Inoltre nel biennio 1967-68 iniziò ad emergere un’altra figura che si riverserà contro il sistema economico del tempo, quella dello studente-proletario. Ragazzi in genere costretti ad accettare contratti saltuari e mal pagati per permettersi di frequentare le lezioni e vivere nelle grandi città, alloggiando nei quartieri operai della periferia in stretta vicinanza con chi già lavorava nelle fabbriche, in quei luoghi cioè, che avvertivano come un destino inevitabile ma decisi e voluti dalla pianificazione del capitale. La fabbrica era percepita insomma come una sorta di mostro che andava inghiottendo la società stessa e in particolare il mondo del pensiero intellettuale.

Senza soffermaci sui moti che insorsero e i loro esiti, la cosa importante da sottolineare e che queste due figure ebbero soprattutto  all’inizio, una volontà di manifestazione personale e indipendente, fuori da ogni tradizione politica e sindacale, mettendo in atto nuove forme di contestazione: delle vere e proprie espressioni di scontro che erano un segnale importante del crearsi di comportamenti autonomi di classe.

Le lotte studentesche del’ 68, in particolare, rivolte verso un’istruzione che era sentita come uno strumento di casta ed un veicolo del modello dominante, avevano lasciato un’impronta anche nelle fabbriche, dove si andavano costituendo gruppi e collettivi liberi, che si contrapponevano alle stesse associazioni di categoria a favore di comitati autosufficienti e unitari nei quali si discuteva di normative e organizzazione del lavoro, salari, mobilità… Lo stesso Partito Comunista (PCI) in quegli anni fu avversato perché considerato un traditore della rivoluzione e un mediatore a favore dei datori di lavoro tramite la sua progressiva vicinanza alla socialdemocrazia.

Tale spirito d’iniziativa e disagio fu ben percepito da tutti quei movimenti rivoluzionari che alla fine degli anni sessanta impregnavano il tessuto cittadino, tra cui il Collettivo politico metropolitano, (Cpm) nel quale militarono molti dei futuri brigatisti: Renato Curcio, Corrado Simioni, Mario Moretti.

Le masse infatti, nelle intenzioni del Cpm andavano educate alla ribellione e a diffidare di qualunque via democratica del potere. Se si voleva farle crescere politicamente a livello decisionale,dovevano restare lontano da partiti e sindacati, coltivando ognuna la propria battaglia da rovesciare poi in una lotta sociale generalizzata contro lo Stato imperialista delle multinazionali.

Il Collettivo Politico metropolitano nel corso del tempo, verrà attraversato da correnti interne di natura diversa che lo porterà a dividersi sostanzialmente in due parti, la prima con Renato Curcio darà il via all’epopea delle Brigate Rosse, l’altra con Corrado Simioni al Superclan che prenderà poi la forma di un istituto di formazione a Parigi denominato Hyperion; a cui sarà legato anche Mario Moretti quando arrestato Curcio si porrà a capo delle stesse brigate.

Le due fazioni quindi portarono avanti l’idea della guerra di classe affiancata però ad una maniera diversa del conflitto armato, che per sostenersi non eluse,comunque, in entrambi i casi dal commettere: rapine,espropri, furti, disarmo di poliziotti, ricatti e di approvvigionarsi di materiale bellico tramite il mercato nero internazionale delle armi. Persone influenti come l’editore Giangiacomo Feltrinelli  saranno, inoltre, un punto di aggancio ed economico molto importante. Il delitto di Aldo Moro segnerà invece il punto del non ritorno per l’ideologia della lotta armata. Ma già prima intorno al 1975 con la forte svalutazione della lira e l’iperinflazione di quegli anni per le Brigate Rosse comincerà a mancare il contatto con la vita sociale, venendo meno lo stesso vincolo con le persone che scendevano in piazza e che non erano più solo di classe operaia-proletaria ma giovani precari con un futuro molto più incerto dettato da una crisi economica di maggiore gettata.

Il libro porta come esito del fallimento della struttura brigatista proprio questo suo allontanamento dalla realtà di classe, verso una visione stragista e sanguinaria della politica come rimedio ad ogni male. Infiltrazioni poi di personaggi dei servizi segreti di varia nazionalità all’interno del medesimo gruppo e lo stesso contatto con l’Hyperion francese di natura poco limpida e fulcro di numerose iniziative terroristiche a livello europeo porrà il problema di cosa, in effetti, alla fine siano diventati questi gruppi rivoluzionari dell’anti-imperialismo. E se il loro epilogo non abbia risposto in verità a comandi pilotati superiori dopo un utilizzo diverso dalla creazione per cui erano nate.

Aperto rimane, invece, lo scenario futuro che nella teoria marxista, sotto il diktat del mercato finanziario capitalistico, vedeva il costo della decadenza generale della democrazia, pagato unicamente dalla classe proletaria: attraverso una continua perdita del numero dei salariati e dell’occupazione stabile, generando una popolazione espulsa in modo definitivo dai processi di produzione,con l’aumento delle sacche di emarginati sociali. Che inutile a dirlo bene si lega ai giorni nostri e inevitabilmente una domanda ci si pone alla mente: che la nostra crisi non  sia anche l’esito di una coscienza di classe mancata, anzi manovrata e scesa a compromessi per eclissarsi e rigenerare  come  nei peggiori ricorsi storici  l’asfissiante crollo economico e socioculturale che ancora oggi ci attanaglia?

 

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