L’antefatto: panoramica siriana
Alla vigilia di qualsivoglia intervento armato in medio oriente vengono scoperte verità incontrovertibili sulle quali è inammissibile avviare un’analisi organica e matura degli eventi in corso, ma sopratutto passati. L’intervento in Siria sembra essere questione di giorni, tuttavia l’opinione pubblica mondiale, memore degli strepitii iracheni durati ben dieci anni, è nella grande maggioranza contraria ad ogni nuovo intervento sui territori degli antichi califfati islamici. Non c’è miglior momento, per la macchina propagandistica di stampo moralista/occidentale, per mostrare i muscoli e bombardare mediaticamente il pubblico di aggettivazioni, metafore, similitudini e che dir si voglia se non in prossimità di un attacco militare. Il ricordo torna ai primi mesi del 2003 quando si era all’apice della lotta al “terrorismo”, della lotta del bene contro il male, nel momento in cui qualsiasi individuo che avesse osato chiedere “perchè” sarebbe divenuto un sostenitore della Jihad globale e un prossimo attentatore suicida. George W. Bush già alla fine del 2002 diede inizio alla solita escalation di dichiarazioni moraliste tra cui la famosa, «gli Stati Uniti non sono in lite con il popolo iracheno» detta all’Assemblea Generale dell’ONU: il ricorso storico risiede nell’autorizzazione all’uso della forza per «difendere la sicurezza nazionale degli USA contro la continua minaccia posta dall’Iraq», ottenuto da Bush in data 11 ottobre 2002. Come la storia poi ha ampiamente dimostrato le armi di distruzione di massa, ossia il casus belli di dieci anni di stragi, non furono trovate, tuttavia ci si dimentica spesso di come durante la guerra tra Iran e Iraq negli anni ottanta – quando gli USA appoggiavano il regime iracheno, Saddam avesse utilizzato le famigerate armi chimiche per contrastare i Pasdaran iraniani e contro i curdi e gli sciiti. Dopo la guerra del Golfo e le relative sanzioni Saddam aveva ereditato un stato in rovina sicuramente non capace di produrre e mantenere armamenti sofisticati né tantomeno di acquisirne. Tenendo a mente anche il programma “oil for food”, con il solo scopo di rendere chiara la condizione del regime di Saddam ormai rivolto solamente a sedare le rivolte interne, bisogna aver coscienza di quale fosse il programma di Bush junior ossia ridurre il pianeta terra al servizio degli Stati Uniti, non essendo ancora emersi nuovi attori globali in grado di contrastare la superpotenza statunitense.
Fu Bush a coniare la frase “Stati canaglia” e fu Bush a rendere palese l’arrogante imperialismo americano, il quale, con l’ormai fine della contrapposizione tra blocco sovietico e blocco occidentale, poteva essere evidente a molti proprio per il crollo dello storico nemico comunista. Il nemico esterno contro cui combattere divenne la Jihad globale e l’integralismo islamico, nonché gli stati canaglia, tra cui l’Iraq accusato in modo altresì infondato di aver stretto legami con i terroristi: il regime di Saddam era un regime nazionalista laico non basato sulla Sharia tanto che Bin Laden detestava Saddam Hussein proprio per il nazionalismo e l’assenza di un comportamento islamico. Se la situazione geopolitica può dirsi sconvolta, a causa della ritirata strategica degli USA dal Medio Oriente e di una politica estera molto titubante anche per gli sconvolgimenti ancora in corso nello scenario medio orientale nonché per preoccupazioni targate “made in China”, le dichiarazioni sono spesso le stesse, tese a guadagnare consenso per un’azione che ad oggi è al di fuori del diritto internazionale.
A metà Gennaio 2003 l’ambasciatore statunitense all’Unione europea Rockwell Schnabel paragonava Saddam a Hitler: «a Baghdad c’è lo stesso tipo di persona ed è di questo che ci preoccupiamo»; recentemente il Segretario di Stato USA John Kerry ha affermato: «Il presidente siriano Bashar al Assad è come Hitler e Saddam Hussein» e che «Il sì (del Congresso) sarà un monito per Iran e Corea». Insomma corsi e ricorsi storici di falsità storiche e morali sono la linea rossa delle amministrazioni USA che siano democratiche e repubblicane. Chi scrive infine non vuole soffermarsi sulla questione “dittatori ed emiri amici e non” ma è giusto citare ancora che se Bashar Al-Asad è un carnefice lo sono anche il re saudita Abdallah e tutti gli emiri del Golfo, Stati amici dell’occidente, dove il dissenso è vietato di pari grado che in Siria.
[…] Alla vigilia di qualsivoglia intervento armato in medio oriente vengono scoperte verità incontrovertibili sulle quali è inammissibile avviare un'analisi organica e matura degli eventi in corso, ma sopratutto passati. L'intervento in Siria sembra essere questione di giorni, tuttavia l'opinione pubblica mondiale, memore degli strepitii iracheni durati ben dieci anni, è nella grande maggioranza contraria ad ogni nuovo intervento sui territori degli antichi califfati islamici. Non c'è miglior momento, per la macchina propagandistica di stampo. […] Leggi l'articolo completo su Orizzonte Universitario […]
There’s certainly a great deal to know about this topic.
I really like all of the points you have made.