La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Intervista a Piero Ricca, provocatore per necessità

Scritto da – 5 Settembre 2010 – 18:13Nessun commento

Come definire Piero Ricca, balzato agli onori delle cronache sette anni or sono per il suo “fatti processare, buffone!” indirizzato a Silvio Berlusconi? Un cittadino informato, un attivista, un guastafeste, uno “stronzo” (per usare un epiteto di dellutriana memoria)? Forse la definizione migliore è quella di giornalista civico che usa la rete per comunicare, un esempio di “cittadinanza attiva”. Telecamera alla mano, armato di megafono e volantini, con le sue critiche pungenti e documentate al potente di turno, Ricca e il suo blog (www.pieroricca.org) sono diventati un punto di riferimento per tantissimi internauti, evidentemente mossi dal medesimo sdegno verso il degrado, innanzitutto morale, della vita pubblica italiana, che anima le sue celebri offensive mediatiche. Con i ragazzi dell’associazione “Qui Milano Libera”, organizza ogni settimana le “Agorà”, spazi di parola libera volti a favorire la circolazione delle notizie e la partecipazione critica, partendo dalla difesa dei valori costituzionali, contro l’attuale governo. 

Parliamo degli inizi della tua attività di “giornalista civico”. Come è nata e perché?

Ho sempre avuto interesse per il mondo dell’informazione e della politica, però questo tipo di attività da incursore, da contestatore e da attivista civico su alcuni temi ben precisi (questione morale, legalità, costituzione…) muove dalla forte indignazione che ho provato dall’avvento di Berlusconi in politica e in particolare dal 2001, quando è tornato al governo. Mi sono detto che bisognava fare qualcosa, rompere il silenzio e mettersi in gioco in prima persona rispetto alla gravità di quello che stava succedendo. Questa è stata la motivazione. Poi, attraverso varie esperienze, sono arrivato alle contestazioni frontali, alle interviste irriverenti, a questo uso dei video integrato alla piazza, dentro gli avvenimenti, con uno stile da incursore. E questo è stato il segmento della mia attività più visibile e che ha creato un maggior passaparola. Senza il web non sarebbe stato possibile.

 I tuoi metodi sono spesso criticati. Non sono effettivamente sopra le righe?

Spesso mi viene ripetuta questa critica, che accetto. Devo dire che però negli ultimi tempi me la sento rivolgere sempre meno, forse perché molti stanno capendo che non sono le parole di chi denuncia lo scandalo a essere esagerate nei toni, ma è la realtà a essere esagerata. Ed esprimere lo sdegno è una forma di legittima difesa, razionale e morale. Poi mi si può dire che non piacciono i toni alti o quel modo di entrare dentro l’avvenimento altrui, e va bene, fa parte della sensibilità individuale. Va detto che con certi personaggi, in certi ambienti, o ci parli a muso duro o non è possibile dialogare. Spesso non accettano interviste se l’intervistatore non è controllabile e quando sentono parole non gradite se ne vanno e ti insultano. Quindi se uno non le vive dall’interno queste esperienze, è portato a vedere di più l’elemento della “provocatorietà”.

 Quindi sei un provocatore per necessità?

In parte sì, perché devi parlare per forza in questo modo. Non è che Dell’Utri ti dà appuntamento o Berlusconi ti concede un’intervista e D’Alema si confronta pubblicamente sullo scandalo Unipol-Bnl. Se lo facessero, parlerei a toni pacati, e quando è possibile lo faccio: De Bortoli mi ha rilasciato un’intervista tranquillamente; Confalonieri, dopo due incursioni in strada, mi ha detto che mi avrebbe dato tutti i chiarimenti nel suo ufficio. Io pensavo fosse un’intervista, infatti mi sono portato la telecamera, ma lui non ha voluto essere ripreso: l’editore televisivo dominante che ha paura di una telecamerina amatoriale.

In ogni caso, se le nostre domande le facessero i giornalisti dei grandi media e le nostre critiche gli oppositori politici o le basi dei partiti, io mi occuperei d’altro e nessuno mi accuserebbe di essere maleducato. 

Lo stato dell’informazione tradizionale è davvero così negativo?

Il sistema dei media in Italia è desolante, è funzionale alla conservazione di un sistema di potere che ha sequestrato ai cittadini la capacità di partecipazione e controllo democratico della politica. La grave crisi della democrazia italiana è anche una crisi dell’informazione. Si leggono pochissimi quotidiani, circa due terzi della popolazione ha come unico strumento di conoscenza della realtà la televisione generalista, la concentrazione del potere mediatico, economico e politico sotto la cupola berlusconiana è sotto gli occhi di tutte le persone attente.

Chi governa non deve controllare mezzi di comunicazione ed è inaccettabile che tre tv nazionali facciano capo a un solo gruppo d’affari. Se vogliamo tornare a essere un paese rispettabile, occorrono quindi una riforma che stabilisca l’incompatibilità fra titolarità di media e titolarità di cariche pubbliche e una riforma antitrust, che apra alla concorrenza il mercato editoriale e pubblicitario, rendendo plurale il sistema televisivo. È evidente che il sistema berlusconiano vive di continua capacità di manipolazione dei dati di fatto attraverso la tv.

Berlusconi domina la scena non dal ’94, ma dai primi anni Ottanta, quando gli si sono date in mano tre televisioni nazionali, la bomba atomica culturale con cui ha cambiato la testa di milioni di persone. A inquinarla non concorrono soltanto i tg o i talk show di approfondimento, ma soprattutto le altre ore del palinsesto: pubblicità, intrattenimento becero, fiction o reality per decerebrati che omologano le persone trasformandole in spettatori.

C’è poi una decadenza sul piano morale e deontologico della professione giornalistica: in questi anni si è imposto un modello di giornalista servo, che non deve render conto al lettore ma al padrone, che contribuisce a campagne squallide di diffamazione degli avversari di chi lo paga. Un modello di giornalista profondamente corrotto nell’animo, asservito, addomesticato o addirittura criminale. Oggi i giornalisti, con lodevoli eccezioni, o stanno da una parte o dall’altra, mettendo i fatti al servizio delle opinioni, mentre  la funzione dell’informazione è quella di controllare i poteri, dalla parte del cittadino.

 Negli ultimi anni non sono mancate manifestazioni contro Berlusconi e il “berlusconismo”, eppure nulla è cambiato. Queste manifestazioni sono quindi state inutili?

Ma nessuna manifestazione può far cadere da sola un governo. Questo significa che non si deve manifestare e stare a casa a guardare la televisione? Non mi sembra una soluzione consolante. Manifestare è un diritto e oggi in Italia è un dovere, contro un governo eversivo, amorale, che devasta la reputazione degli italiani in tutto il mondo, che manipola le leggi per l’impunità. Contro un governo così si deve manifestare tutti i giorni. Certo, se alla manifestazioni non si lega una progettualità politica non si fa molta strada ed è chiaro che l’affermazione di un nuovo progetto politico oggi non c’è. Io sono però convinto che i cittadini debbano moltiplicare la propria energia, diffondendo una nuova consapevolezza. Ognuno di noi deve assumersi la responsabilità del cambiamento, ricordando che quello che accade oggi è un po’ anche colpa nostra, perché forse non ci siamo opposti abbastanza in passato. Ma chiediamoci anche: se non ci fossero state tutte queste iniziative, dove saremmo finiti? Forse saremmo sprofondati ancora più in basso. 

Chi si frappone fra Berlusconi e i suoi obiettivi viene tacciato come necessariamente “di sinistra” o “comunista”. Tu sei comunista?

Oggi queste categorie non hanno un vero valore. Sono categorie formali che vengono usate in termini propagandistici per etichettare, classificare persone, idee e movimenti. Io credo che le categorie destra-sinistra sono necessarie e avranno un futuro, ma solo quando questo paese ritornerà a essere minimamente agibile sul piano politico. In Italia c’è una sinistra che non è degna di questo nome, che non ha mai espresso una vera alternativa a Berlusconi; oggi il maggior partito d’opposizione parlamentare non si sa nemmeno come definirlo: riesce difficile pensarlo come partito di sinistra. E non c’è nemmeno una destra rispettabile, bensì una destra eversiva, estranea alla democrazia delle regole. Le categorie tradizionali oggi in Italia significano poco. Chi ha uno sguardo attento sui fatti e un po’ di onestà intellettuale arriva secondo me alla riflessione che oggi l’essenziale è unire le forze di chi non si riconosce in questo modello per ricacciarlo indietro. Poi torneremo a dividerci in tante sfumature ideologiche.

 Nei giorni dell’aggressione a Berlusconi il tuo nome è circolato su giornali e tv e qualcuno ti ha inserito tra i cosiddetti “mandanti morali”. Come ti sei sentito in quel periodo?

Sono stati giorni brutti, ho provato un senso di fastidio profondo, di impotenza. Su tutti i giornali tra i precedenti del caso Tartaglia c’erano il treppiede di piazza Navona e il mio urlo al tribunale, cose totalmente diverse messe assieme, omologate, senza che nessuno me ne chiedesse conto. Le contestazioni di piazza venivano ascritte al partito dell’odio, la critica è stata messa sullo stesso piano della violenza. Non ci si sente bene quando ti sbattono in prima pagina con nome e foto per creare suggestioni negative, tra l’altro esponendoti al rischio di rappresaglie. Hanno cercato in tutti i modi di confondere e incattivire gli animi strumentalizzando il caso per criminalizzare il dissenso. Ero però forte della consapevolezza di avere la coscienza pulita e di pagare un prezzo per la mia libertà. Se quei signori mi trovano scomodo, vuol dire che ho fatto il mio dovere. Quello che è accaduto è infame. Chi si comporta in questo modo è davvero capace di tutto. Tra l’altro, e di questo si è parlato pochissimo, se uno va a guardare i filmati di quella piazza, oltre a una contestazione non organizzata ma composta da tanti piccoli gruppi e molti passanti occasionali, c’erano decine di giovani col saluto romano e inni fascisti, dei neofascisti, che erano tra i sostenitori del presidente del Consiglio, che andavano ad aggredire con minacce e parole invereconde i contestatori che gridavano “fatti processare, rispetta la legge”. Sono stati iscritti al partito dell’odio dei ragazzi che gridavano questo, che esprimevano una rivendicazione di legalità, senza insulti. Sono stati aggrediti a ombrellate e spintoni dalla signore impellicciate, dai rispettabili tifosi incravattati di Berlusconi. Anche queste scene sono state negate al pubblico televisivo.

Ne sono comunque uscito benissimo, perché non ho nulla da nascondere e su di me non possono trovare niente. Avranno sicuramente indagato i tirapiedi, senza trovare nulla. Anche questa è una piccola vittoria.

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