La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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I Ragazzi di Vita di Pasolini

Scritto da – 5 Settembre 2010 – 16:57Nessun commento

Al termine di Ragazzi di Vita non rimane quella sensazione di soddisfazione che in genere si prova quando si finisce di leggere un romanzo distensivo, rilassante e coinvolgente; la sensazione che rimane è, piuttosto, di malessere e tristezza: quelli che ne Il Sogno di una Cosa erano ragazzi di campagna semplici e schietti, in compagnia dei quali si trascorrevano ore tranquille, oltre che momenti più difficili, in quest’altro romanzo sono adolescenti della periferia di Roma, sottoproletari con alle spalle famiglie sfrattate, ammucchiate insieme ad altre famiglie in stanze e corridoi di edifici fatiscenti. Il romanzo racconta le loro giornate trascorse alla ricerca di soldi e passatempi. Sono personaggi emarginati dalla città normale e rispettabile, non integrati in un contesto sociale di lavoro o scuola: la strada è il loro spazio e la loro scuola. Una delle sensazioni più immediate, durante la lettura, è che si stia assistendo alla storia di adolescenti che non sono mai stati bambini. In loro non c’è la voglia di giocare innocentemente, nessuno di loro è ingenuo; l’unico ad avere qualcosa in comune con la figura del bambino, Marcello, muore quasi subito, proprio nel momento in cui va a cercare il Riccetto, suo migliore compagno di avventure. La strafottenza, la tracotanza, la malizia e la prepotenza sono talmente naturali da sembrare quasi congeniti; non esistono rapporti umani basati sull’amicizia, sui vincoli familiari o d’amore. La povertà e la disperazione che regnano in questo romanzo non guardano in faccia a niente e nessuno: per gioco si può decidere di bruciare uno del gruppo, per rabbia si può reagire accoltellando la propria madre, per necessità si rubano i soldi di tasca a un amico con il quale ci si stava divertendo sul fiume poco prima. Il fiume è il punto di ritrovo dei personaggi, metafora dello scorrere del tempo: come la vita così il fiume scorre verso un’unica direzione in un rinnovarsi del sempre uguale: queste vite hanno tutte un destino simile, quelle che seguiranno avranno la stessa sorte, è come un incantesimo che ha intrappolato i destini di chi si specchia o si bagna nelle sue acque. L’acqua ha un ruolo centrale, fa parte di una sorta di rito iniziatico: si attraversa il fiume per dimostrare di essere grandi, di essere pronti: lo hanno attraversato il Caciotta, un duro; il Riccetto, che da finto dritto che non riusciva a non farsi ‘fregare’ è diventato adulto; non è riuscito a mettere piede nelle sue acque il Bègalo, morto per un attacco di tubercolosi sulle sue sponde; infine Genesio, desideroso di crescere e dimostrare qualcosa compiendo la traversata, muore, trascinato dalla corrente.

Ma lui non riusciva ad attraversare quella striscia che filava tutta piena di schiume, di segatura e d’olio bruciato, come una corrente dentro la corrente gialla del fiume. Ci restava nel mezzo, e anziché accostarsi alla riva, veniva trascinato sempre in giù verso il ponte.

È un fiume torbido e inaffidabile, una metafora più che somigliante al tipo di vita che si ritrovano i personaggi pasoliniani, già minati dalla nascita. Anche in questo romanzo sono gli istinti più naturali dell’uomo a farla da padroni: fame, sonno, sesso, sono sempre presenti

Il Lenzetta e il Riccetto s’accostarono alla donna ch’era piccola e grossa come un rotolo di coppa, stettero un po’ a contrattare, e, passando tra i fili di ferro di un reticolato, si spinsero in dentro, tra mucchi fradici di canne. Non ci misero molto; appena che risortirono andarono calmi calmi a lavarsi un pochetto a una fontanella, in mezzo al piazzale dov’era il capolinea dei tranvai. Per dormire ci pensò il Lenzetta. Dietro alla borgata Gordiani, in una prateria da dove si vedeva tutta la periferia con le borgate, da Centocelle a Tiburtino, in fondo ad un orto zuppo di guazza, ci stavano dei grossi bidoni arruzzoniti, abbandonati lì insieme a altri ferrivecchi, in un recinto. Erano abbastanza grossi, tanto che ci si poteva camminare dentro sulle ginocchia, e lunghi quanto una persona. Dentro uno di questi il Lenzetta c’aveva messo della paglia; ne prese un poca, e la mise in uno vicino. Ci si distesero e ci dormirono fino alla mattina dopo alle dieci.

Si parla in romanesco, soprattutto con imprecazioni e frasi smozzicate, è una lettura che crea tensione, che esige attenzione ad ogni pagina, non perché ‘bisogna stare attenti’, ma perché non si riesce a non rimanere coinvolti e a non provare un senso di colpa davanti a tanta disperazione. A mio parere il senso di colpa nei confronti di questi personaggi è d’obbligo, anzi è più giusto affermare che dovrebbe essere immediato e naturale.

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