La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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La vostra banca è differente? Ve lo auguro…

Scritto da – 19 Dicembre 2013 – 11:102 commenti

I governi non controllano il mondo: Goldman Sachs controlla il mondo. Queste le parole in un’intervista televisiva del trader inglese Alessio Rastani. Ma è proprio così? Qual è il vero ruolo delle banche e quali responsabilità effettive hanno relativamente al funzionamento dell’economia reale? Ciò che vorremmo fosse chiaro è che le banche non sono semplicemente degli attori partecipanti sul palcoscenico del mercato globale, tutt’altro: sono l’attore protagonista. Per questo motivo proponiamo un excursus sintetico, e lo dividiamo in tre punti. Si perchè ci interessa offrire ai lettori tre visuali, tre fotografie, che guardate in successione sappiano offrire un chiaro panorama generale. In ordine accenneremo al signoraggio bancario, alla speculazione finanziaria della banche ed in ultima analisi ci riferiremo alla crisi di liquidità che ha coinvolto il nostro Paese negli ultimi anni.

1- Signoraggio bancario.

Se ne sente parlare in diverse occasioni ed in effetti si tratta di una questione di primo piano. Tutto prende avvio da un fatto, ovvero che il diritto di stampare cartamoneta non spetta allo stato centrale, ma alla banche. Ora, una banconota stampata assume un valore solo nominale, il che vuol dire che una banconota da cento euro avrà un effettivo valore materiale di pochi centesimi. Quindi  la stampa di un bigliettone da cento, alla banca non costerà che una manciata di monetine, ipotizziamo cinquanta centesimi. Così quando la stessa banconota viene prestata, a fronte di una spesa di cinquanta centesimi, il guadagno dell’istituto bancario sarà di 99.5 euro: eccezionale. Ed in realtà, poi, a quei 99.5 euro dobbiamo aggiungere i proventi relativi ai tassi d’interesse, già perchè il debitore dovrà restituire alla banca la quota presa in prestito più una quota corrispettiva al tasso d’interesse pattuito.

Da buoni europei facciamo il percorso che le singole monete da un euro fanno per arrivare nelle nostre tasche: vengono coniate dalla Bce, che le presta alle singole banche private, in ogni stato dell’Unione europea, ad un tasso vicino all’1%. A questo punto le banche in questione immetteranno il denaro in circolazione, avvalendosi di un tasso che chiaramente dovrà essere superiore a quello al quale esse stesse sono sottoposte dalla Bce, e generalmente si aggira attorno al 5/6%.

Questo vuol dire che anche lo stesso stato italiano, per accedere a qualsiasi somma di liquidità deve intercettare i soldi dei singoli istituti bancari, quindi indebitarsi e rispondere a tale debito.

Ora evitiamo, in questo frangente, vittimismi fatalistici, ma affrontiamo un quesito importante: quando si adempirà questo debito che lo stato italiano, e quindi noi tutti cittadini, abbiamo nei confronti delle banche?

Già, perchè se sono le banche stesse a mettere in circolazione denaro sotto forma di prestito gravato di interessi, il ragionamento presuppone che rientri nelle banche una quantità superiore della somma di denaro in circolazione, il che è impossibile.

L’indebitamento è l’elemento che sta alla base della libera economia occidentale, si dice: insomma è il libero mercato. Ma se consideriamo che non esiste alcun ente governativo che regoli e controlli il comportamento degli istituti bancari, nessuna istituzione che monitori le loro operazioni, ci viene da rispondere: è davvero così libero ‘sto mercato?

2- La speculazione finanziaria delle banche

Finanza, pazza finanza, ma come funziona?

L’elemento certo è che chi partecipa al mercato finanziario investe su titoli azionari di una determinata spa, ovviamente augurandosi che l’azienda in questione, e i relativi titoli, crescano, cosicchè sarà possibile realizzare un profitto massimale rispetto all’investimento iniziale. Secondo questo meccanismo, dunque, l’investitore più abile è colui che è in grado di leggere tra le pieghe del mercato, ed individuare settori e realtà sulle quali scommettere.

Ovviamente più si investe e più si ha possibilità di guadagnare (o di perdere). Ne deriva il fatto che tra gli attori principali del mercato finanziario individuiamo le banche, poichè sono gli enti che hanno maggiore possibilità di liquidità.

Ora, com’è noto, anche gli enti pubblici possono partecipare al mercato finanziario, e in quanto enti pubblici anche i vari stati nazionali naturalmente: dunque lo stato italiano può (e di fatto lo fà), come tutti gi altri, comprare titoli, ma soprattutto venderli al fine di finanziarsi.

Insomma punta sull’azienda Italia e se questa andrà bene, i BTP che hai acquistato ti offriranno una buona resa.

E finora tutto bene. Il problema, quello vero, si verifica quando l’attività finanziaria si fa speculativa, il che vuol dire che coloro che investono non si limitano semplicemente a scommettere sulle azioni che hanno acquistato, non si limitano a mettere alla prova il proprio intuito  e le proprie attitudini economiche, ma si attivano per viziare il mercato al fine di trarne un profitto massimale.

Più un titolo ha acquirenti e più cresce, e più il relativo tasso d’interesse diminuisce. Così  la crescita procede fino al tracollo. Io, singolo investitore, posso autonomamente decidere di comprare o vendere titoli. Posso ritirare le mie azioni quando hanno raggiunto una buona resa, approfittare degli utili ed aspettare che il prezzo del titolo in questione si abbassi per acquisirlo nuovamente ed aspettare che cresca, ma, da solo, non cambierò affatto l’equilibrio finanziario. Se un acquirente, però, enormemente più grande di me, come un istituto bancario, decide di vendere o comprare in grande quantità, ecco che allora il mercato finanziario risente di un contraccolpo notevole.

E non vi sono regole e statuti che gestiscono le attività di investimento. Ne deriva che il giro di investimenti gestito dalla banche può decidere il futuro di un titolo, e dietro al titolo c’è un’azienda: qui non si sta parlando di partecipazione al mercato finanziario, ma di pianificazione dello stesso.

Questo vuol dire che lo spostamento di liquidità degli istituti finanziari, se massiccio, può premiare o affossare un’azienda indipendentemente dall’operatività sul mercato reale della stessa? Esattamente, dunque la domanda sorge spontanea: e se l’azienda in questione si chiamasse Italia?

La crisi di liquidità

Le banche hanno chiuso i rubinetti, sempre più lo si sente dire. In effetti la crisi di liquidità è una delle condizioni che maggiormente sta influenzando negativamente il mercato italiano.

Un’azienda per potere funzionare ha bisogno di disporre di importanti quantitativi di liquidità che solo una banca può offrire. Insomma: la mia azienda riceve una commessa importante, per poterla affrontare ed incassarne il conseguente guadagno devo pagare il materiale necessario, la mano d’opera e quant’altro, dunque devo accedere ad un prestito bancario.

Le cose funzionavano in questo modo sino al 2007: oggi qualcosa è cambiato perchè le banche hanno deciso di non fare più credito: il mercato ha subito un ridimensionamento e quindi ogni genere di prestito risulta rischioso.

Valutazione legittima per alcuni, secondo i quali le banche hanno il diritto di tutelarsi.

Già ma le banche italiane hanno trovato la propria fortuna promuovendosi come partner economico della piccola media impresa. Il credito all’impresa manifatturiera è stato uno degli elementi che ha garantito il nostro meccanismo industriale, se viene a mancare questo tutto si ferma.

Tutto ma non le banche, attenzione, perchè è proprio questo il momento in cui si verifica la possibilità di capitalizzare; infatti è nel momento in cui viene a mancare la liquidità e quindi si interrompe il ciclo produttivo che le aziende non possono più far fronte ai debiti. Ed in questo caso il primo creditore è sempre la banca, il che vuol dire che: o il debitore riesce in qualche modo a saldare il debito nonostante le difficoltà (garantendo all’istituto bancario un afflusso di liquidità, ancora più importante se si considera il momento di difficoltà), oppure prende avvio il diritto al pignoramento, così la banca accede al capitale del debitore moroso.

Il fatto che le banche rinuncino a ricoprire il ruolo che hanno assunto nel processo produttivo è molto grave. Sarebbe come se, fiutando la mareggiata economica negativa, un imprenditore decidesse di cessare l’attività finchè è in tempo, godendo, lui solo, degli utili e licenziando senza alcuna garanzia i dipendenti.

E la questione non finisce qui. Le nostre banche non solo strozzano la pmi bloccando i crediti, ma speculando sui tassi d’interesse.

Mai sentito parlare di anatocismo bancario? E’ quell’operazione attuata dall’istituto di credito che consiste in una capitalizzazione degli interessi, affinchè si maturino interessi sugli interessi. In questo modo il capitale da restituire aumenta in maniera sproporzionata, operazione da cravattai per intenderci. E’ un procedimento legale? Tutt’altro, ma, come detto, non esiste una governance che monitori l’operato delle banche. Dunque, l’unica soluzione sarebbe che il debitore stesso intraprenda un’operazione di denuncia, insomma che si esponga in processo contro l’istituto bancario.

C’è chi l’ha fatto ed ha anche vinto: ha costretto la banca citata in giudizio a pagare un risarcimento. Contro quali istituti bancari? Questo non lo si saprà mai, perchè chi ha vinto questo tipo di cause è stato costretto all’obbligo di segretezza, insomma non può far nomi.

 

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