Pasolini in mostra a Roma: uno spettacolo per la mente e per (quasi) tutti i sensi
La mostra in atto al Palazzo delle Esposizioni, dal 16 aprile al 20 luglio 2014, è autentica espressione di una cultura a trecentosessanta gradi. Dopo Barcellona, Parigi e Berlino, è la volta di “Mamma Roma” per celebrare la figura di Pierpaolo Pasolini, figlio adottivo di una città che fu per lui oggetto di un amore contrastato e viscerale. L’interattività del progetto, in netta antitesi con la prevalenza del bianco e nero, trasporta il visitatore nell’ incanto di un percorso in sette sezioni, che, in base all’idea dei curatori Jordi Ballò, Alain Bergala e soprattutto di Gianni Borgna – rappresentante della cultura politica della sinistra romana, da poco scomparso – vuole ripercorrere in maniera originale, oserei dire “romanzata”, la vita del grande intellettuale. In primis gli anni 1950-1955 dell’incontro con Roma, dopo la rimozione dall’insegnamento nelle scuole pubbliche e l’espulsione dal Partito comunista. Qui l’immagine lirica del ghetto ebraico cede presto spazio a uno sfondo diversamente poetico, che è quello della borgata romana dove, nei pressi del carcere di Rebibbia, Pasolini s’inoltra nell’universo di quel sottoproletariato urbano che diverrà soggetto della sua opera letteraria e cinematografica.
Gli anni 1955-1960, segnati dalla pubblicazione di “Ragazzi di vita”, con il suo linguaggio romanesco, diretto, senza scrupoli. Sono gli anni della frequentazione con Moravia, con la Morante e la Betti. Gli anni in cui potrà permettersi una prima automobile e dunque, il trasferimento nel quartiere di Monteverde. Assetato di ricerca, Pasolini continua a sperimentare. Il periodo 1961-62 è caratterizzato, dopo l’iniziatico viaggio nel Terzo Mondo, dall’esordio registico con la trilogia “Accattone”, “Mamma Roma”, “La ricotta”, ambientati nei quartieri più strettamente popolari di Roma.
Due soli anni e un concentrato di eventi: Anna Magnani, l’accusa per vilipendio della religione e l’inizio di una serie interminabile di processi. Dal 1963 al 1966, il trasferimento all’Eur, “Uccellacci e Uccellini”, Totò, e un Ninetto Davoli sempre più presente nella sua vita. Poi, “Il Vangelo secondo Matteo” e i primi spostamenti da Roma verso un’Italia da esplorare nelle sue differenze interne, per moralità, costumi sessuali… In questo periodo la cultura pasoliniana suscita forte interesse soprattutto in Francia ed espliciti sono gli apprezzamenti di intellettuali del rango di Foucault.
L’approccio col teatro e le varie denunce verso l’aspetto consumistico e borghese che l’Italia va sempre più assumendo, occupano il periodo 1966-1969, insieme all’avversione nei confronti delle lotte studentesche del ’68, la disillusione generale e, dulcis in fundo, Maria Callas nel ruolo di Medea.L’ultima fase, quella 1971-1975, vede Pasolini piombare in uno stato depressivo, per via dell’allontanamento di Ninetto, il ragazzo tutto riccioli e spontaneità, emblema di una romanità ingenua ed incorrotta: l’unico vero amore della sua vita, insieme alla madre. Segue l’elaborazione della “Trilogia della vita” (Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte), al fine di recuperare, attraverso il cinema, quella originaria e ormai perduta, bellezza della città eterna.
Il ritrovamento del suo corpo privo di vita, il 2 novembre 1975, all’Idroscalo di Ostia, si manifesta evidentemente come un evento prematuro. Il romanzo “Petrolio” è incompiuto, mentre “Salò”, film compromettente e provocatorio, specchio del potere degenerato, non è ancora stato presentato al pubblico. Pasolini aveva ancora molto da dire. Da insegnare. Ecco allora che, il visitatore, giunto all’ultima tappa della mostra, viene proiettato di fronte ad uno schermo in cui, a dominare, è l’immagine animata delle onde del mare che si infrangono sulla costa. Qui, l’unico suono possibile è quello della frizzante brezza marina che, da parte sua, rievoca la natura poliedrica ed instancabile di un intellettuale fuori dal comune, tanto grande quanto scomodo. Così grande che è quasi impossibile sintetizzare la sua vita, così consapevole di sé stesso, del mondo e persino della sua morte, nella quale, – come è documentato nell’esposizione -, diversi sono gli attori in gioco, diverse sono le ipotesi e su cui ancora non è stata fatta chiarezza.
Durante il viaggio negli ordinati meandri delle sale, il visitatore, sia o non sia esso amante di Pasolini, è coinvolto emotivamente, spinto continuamente alla riflessione, al dibattito interiore, sino a prendere atto, in ogni caso, dell’ingente contributo apportato dall’artista alla cultura italiana. C’è poi, un inevitabile e per nulla secondario trasporto fisico: tatto, udito e vista sono chiamati in causa per interagire continuamente. Manoscritti originali, in italiano e dialetto. Documenti dal catalano, ricordi friulani, fotografie di famiglia. Proiezione dei grandi capolavori cinematografici da lui scritti o sceneggiati. Interviste, collezioni d’arte e tanti, tanti oggetti. Una cosa è certa: nonostante la reale difficoltà di “sezionare” l’opera e la figura pasoliniane, la mostra di Via Nazionale ha il merito di aver reso giustizia a uno dei più grandi intellettuali del Novecento. Lui che una giustizia completa, ahimè, ancora non l’ha avuta.
[…] La mostra in atto al Palazzo delle Esposizioni, dal 16 aprile al 20 luglio 2014, è autentica espressione di una cultura a trecentosessanta gradi. Dopo Barcellona, Parigi e Berlino, è la volta di “Mamma Roma” per celebrare la figura di Pierpaolo Pasolini, figlio adottivo di una città che fu per lui oggetto di un amore contrastato e viscerale. L’interattività del progetto, in netta antitesi con la prevalenza del bianco e nero, trasporta il visitatore nell’ incanto di un percorso in sette sezioni, che, in base all’idea dei curatori. […] Leggi l'articolo completo su Orizzonte Universitario […]