La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Femminicidio, frustrazione maschile della dominanza

Scritto da – 11 Settembre 2013 – 11:549 commenti

Le parole “omicidio” e femminicidio”, seppur diverse, appaiono strettamente collegate tra loro; durante un primo studio etimologico, si può infatti notare che, per entrambi i fenomeni, si tratta della soppressione di una vita umana da parte di un altro essere umano; ora, il femminicidio, è si un omicidio, ma operato da un uomo ai danni di una donna. Il termine nacque nell’Inghilterra del 1801 e venne usato dalla criminologa Diana Russel nel 1992 all’interno di un testo dove si specificava che il femminicidio era una categoria criminologica vera e propria, caratterizzata da una violenza estrema da parte dell’uomo nei confronti della donna perchè “donna”. Da questo momento in poi, i vari studi antropologici, hanno sottolineato la misoginia di tali pratiche e la violazione dei diritti umani sia in ambiti pubblici che privati, che hanno portato alla soppressione di milioni di donne in tutto il mondo ed in contesti collegati alle relazioni di tipo sentimentale o sessuale. In Italia, omicidi di questo genere sono, secondo i dati, più presenti al nord che al sud ed in particolare in Lombardia, dove pochi giorni fa è stata uccisa dal datore di lavoro, una giovane brasiliana, Marilia Rodrigues Martins, unica sua colpa: essere rimasta incinta; inoltre secondo i dati dell’ associazione Eures, le vittime sarebbero comprese in una fascia di età che va dai 25 ai 54 anni.

La violenza sulle donne, non è una prerogativa dei paesi sottosviluppati, dove vige povertà e ineducazione; le percosse, lo sfregio e l’omicidio non hanno razza, cultura e religione; è pur vero che nei paesi del Sud Est Asiatico si registra un’ altissima percentuale di uccisioni, ma anche nei paesi definiti “ad alto reddito” questo fenomeno è una piaga ben radicata; in Italia, nel 2012, le donne uccise sono state, in un solo anno, ben 150. Uomini violenti, partner, mariti, familiari, persone che spesso appaiono come insospettabili, sono invece gli autori di atti estremi che ad oggi, debbono essere combattuti in ogni paese che aspiri alla totale civilizzazione. Persone queste, definite “Abuser”, con una psicologia contorta che li porta a credere che usare la forza fisica sia legittimo, così come puntare sull’aggressività per “educare” le compagne all’obbedienza. Caratteristica di questi uomini è la convinzione che mogli e fidanzate debbano sempre sorridere ed essere accondiscendenti, non avere pensieri autonomi, servire ed obbedire senza remore; il tutto per ambire al ruolo dominante nella coppia. Ma è un rapporto delle Nazioni Unite che ci dà un’idea della portata del fenomeno in maniera del tutto generale, senza tirare in ballo, come detto sopra, razze, religioni o stati specifici: il 70% delle donne di tutto il mondo, almeno una volta nella vita è vittima di un episodio di violenza da parte di un uomo, a prescindere dal fatto che questo sia il marito oppure no. Ciò vuol dire che un miliardo di donne saranno picchiate e stuprate durante l’arco della propria esistenza; senza contare le altre forme di crudeltà imposte alle stesse, come le mutilazioni genitali, i matrimoni forzati, il traffico umano organizzato a scopi sessuali, l’obbligo a prostituirsi e le torture con gli acidi.

Nella classifica dei paesi dell’orrore, a giugno 2012, al primo posto c’era l’India; qui una ragazza di ventitrè anni, Uttar Pradesh era stata cosparsa di kerosene ed incendiata, dopo l’esposizione dell’ennesima violenza subita da parte dei suoi aguzzini. In Darfur invece lo stupro è usato come un’arma da guerra e la violenza sta assumendo sempre più la forma di un genocidio. In Messico la situazione è, se possibile, ancor più grave: le donne sono stuprate, mutilate e gettate nell’immondizia oppure lasciate a morire nel deserto; le stime di Amnesty International contano, a Ciudad Juarez, nello stato messicano di Chihuahua, circa 370 donne assassinate (con un’età media di 16 anni circa) di queste almeno 137 sono state anche stuprate; il totale disinteresse delle autorità, fa si che queste giovani siano costrette a vivere in baracche e controllate totalmente dalla cultura del “Marianismo”, secondo cui la donna è obbligata a stare in casa a svolgere ruoli domestici ed astenersi dal lavoro. Chi ha studiato il comportamento di questi individui e le cause che ne seguono, è in generale, arrivato ad una conclusione: tutta questa mattanza è da attribuire alla mancanza di alfabetizzazione, all’ aumento della povertà e soprattutto alla disfunzione del sistema giudiziario.

Il femminicidio è il mezzo usato per l’oppressione, il controllo e la dominazione sulle donne; così avviene in India, in Darfur, in Messico o anche in Pakistan, dove chi prodiga l’istruzione delle bambine viene brutalmente ucciso dai fondamentalisti islamici; qui, molto diffusa anche la pratica della sposa data alle fiamme per accaparrarsi la dote. Questo è il femminicidio, in Italia, o in forma più generale nel mondo; a prescindere dal luogo, si dovrebbero promuovere dei cambiamenti nei comportamenti socioculturali tra uomini e donne, per eliminare i pregiudizi o i costumi che abbracciano l’idea dell’inferiorità della femmina rispetto al maschio; occorre dunque coinvolgere settori pubblici e privati per cambiare, non la cultura maschile, ma quella maschilista.

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