La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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Commedia italiana, un momento d’oro

Scritto da – 26 Luglio 2011 – 13:54Nessun commento

Dal finire dello scorso anno ad oggi, da “Benvenuti al Sud” all’ultimo capitolo di “Manuale d’amore 3”, passando attraverso Brizzi, Zalone e Albanese, il sensazionalismo caratterizza le classifiche e i record d’incassi al botteghino di week end in week end. Ormai tramontato il sogno americano della candidatura all’Oscar di Virzì e ponendo in sordina il fatto che ancora una commedia, “Gianni e le donne” di G. Di Gregorio, abbia rappresentato il Bel Paese all’ultimo Festival di Berlino, appare chiaro che l’oro del momento vada tradotto essenzialmente come moneta sonante e non anche come qualità! Felici che le casse dell’economia cinematografica (per lo più sempre le stesse, Medusa in testa) si rimpinguino, sarebbe opportuno anche evidenziare come il macrogenere della commedia Italiana sia attraversato da differenti sfumature che, intenzionalmente o meno, ne decretano la fortuna globale. Per comodità, e senza pretese di esaustività, si potrebbero delineare ben tre categorie parallele di commedia. La prima, annovera film quali “Ex”, “Benvenuti al Sud”, “Maschi contro Femmine” e viceversa, “Immaturi”. Al pari di una puntata di “Ciao Darwin”, il Sud contro il Nord (in arrivo per il prossimo autunno il sequel “Benvenuti al Nord”, svincolato dal remake e ancora firmato da Luca Miniero), gli ex amanti contro i nuovi, i maschi contro le femmine, le femmine contro i maschi, i maturi contro gli immaturi…Votate, votate! Tra queste grandi dicotomie, costituisce sottocategoria a sé l’autore Fausto Brizzi. Da sceneggiatore di innumerevoli “Natali a…”, Brizzi compie il salto alla regia nel 2006 con “Notte prima degli esami” e con il sopravalutato “Ex” (2009). La consacrazione arriva quindi col recente dittico che contrappone i due emisferi del mondo. Tralasciando la già trita e ritrita denuncia dello sfruttamento di stereotipi socio-antropologici e cliché cinematografici (grossolani equivoci, tresche, nudi femminili di contorno, slapstick) va rilevato piuttosto come il prodotto – Brizzi sia un filone intermedio che, affrancato dal cinepanettone d. o. c., sfrutti in realtà uno scarto di grado al traino dei precedenti “Manuali d’amore” targati Veronesi. Nel 2007 “Manuale d’amore 2” consolida con successo la struttura corale di storie e personaggi ( con popolari, ma anche apprezzati attori) che, tra una risata e l’altra, vorrebbero riflettere la contemporaneità:Eros e disabilità fisica; maternità e fecondazione assistita; matrimonio e omosessualità; e non per ultima l’Italia conservatrice rispetto alla Spagna progressista. In realtà, si tratta di un compromesso di genere, il cui merito è proprio quello di aver ribadito in modo autoriale topoi tradizionali (l’infermiera sexy, la moglie isterica) all’interno di una cornice circolare, leggera e pseudo-impegnata, senza svilire la vena sentimentalista (complice la colonna musicale di Elisa) e assecondando un pubblico eterogeneo.

Su tale strada, ormai battuta, Brizzi inserisce il suo “Ex”, non realizzando però quello stesso equilibro complessivo di toni malinconici e tempi comici, piuttosto puntando da un lato sull’isteria, dall’altro su ricadute drammatiche forzate. La coralità delle storie diventa confusione fine a se stessa, il commento musicale ruffiano agevola il montaggio da video clip dei picchi languidi della narrazione, senza aggiungere neppure la parvenza di un valore aggiunto al tema delle relazioni umane. L’apoteosi si tocca infine col prodotto commerciale in due tornate “Maschi contro Femmine”, in cui Brizzi non riesce a reprimere la vena demenziale dei cinepanettoni (marchio di fabbrica in “Femmine contro maschi” il cameo dell’attore Enzo Salvi). La sceneggiatura è diventata una barzelletta/freddura costante, da cui neppure il luccicante cast, specchietto per le allodole, può risultare salvo. Gli attori product placement di se stessi (volti ormai più televisivi che cinematografci, Bisio su tutti) alla stessa stregua dell’ormai onnipresente marchio “Intimissimi”. Questo primo excursus non può che concludersi parafrasando il compianto Maestro Monicelli. Se questi affermava che “la risata è il modo migliore di rompere la tragedia”, nel caso Brizzi sono proprio le risate grasse che la perpetuano!

Ed eccoci, dunque, alla seconda categoria di fenomeni comici. Sotto questa voce rientrano “Che bella Giornata” di Zalone – Nunziante e “Qualunquemente” di Albanese – Manfredonia. Per entrambi i film si tratta di trasposizione su grande schermo del repertorio satirico cabarettistico di personaggi di finzione già amati dal grande pubblico, non solo attraverso le apparizioni televisive in seguitissimi programmi Tv quali appunto Zelig o Mai dire Lunedì, ma anche attraverso inediti reperibili su You Tube. In questo caso, il pubblico pagante non si compone, come per la categoria precedente sulla base del genere o del cast trainante, bensì sulla scala nazionale dei telespettatori e sul popolo dei fans, che oltre alla “leggerezza” del contenitore conoscono perfettamente anche i contenuti espressi. Saranno poi questi stessi entusiasti, appagati a priori, ad attivare il fenomeno anche presso il pubblico più cinefilo ed esigente. Per Checco Zalone e Cetto La Qualunque, i rispettivi autori costruiscono un mondo parallelo (che sia Milano o un paesino della Calabria) una famiglia, un background personale, un presente, ma sopratutto sviluppano in tempi cinematografici il tema che avrebbero esposto nei pochi minuti di una canzone o di un monologo (dall’innamoramento per il primo, alla criminalità per il secondo). Il rischio di cadere nella ridondanza, viene brillantemente evitato, da un lato attraverso un cast di validi comprimari, che sostengono e restituiscono potenziata la centralità dei protagonisti, dall’altro con una sostanziosa sceneggiatura; una comicità dialogica finto-ignorante congeniata e fluida, che pur mantenendo il meccanismo del misunderstanding percorre il climax crescente della battuta. A parte queste caratteristiche generali comuni, i due film imboccano in realtà risvolti ben distinti. Checco si muove in luoghi ameni (la Milano e la Puglia da cartolina), ha come scopo l’amore e crea danni riparabili, se non addirittura inconsapevoli vantaggi. I temi gravi e urgenti del terrorismo, dell’integrazione multiculturale, della corruzione e del lavoro sono trattati come cornice testuale, in cui impera sovrana la simpatia, nella forma autentica dell’esorcismo attraverso la rappresentazione. Mereghetti così suggella a proposito :”Risate che non fanno vergognare, né chi le provoca né chi le fa!”. Intanto si è gridato allo scandalo perché “Che bella giornata” avrebbe scalzato “La vita è bella” di Benigni dal podio del record d’incassi imbattuti in patria. Sacrilegio! ma a parte gli scarti di calcolo tra Lira ed Euro, ciò che sconvolge è il semplice accostamento tra la poesia di un premio Oscar e la grossolanità popolare, o piuttosto l’innegabile gravità del tema dell’olocausto, per quanto posto in una commedia sui generis, con la banalità del tipo medio italiano. Ovviamente, non sono i temi, ma ancora una volta i personaggi presi singolarmente a poter costituire un eventuale oggetto di paragone. In effetti in “Che bella giornata” il personaggio Checco Zalone ricorda le vicissitudini dello stralunato Benigni – Dante – Johnny Stecchino (ancora record di incassi 1991-‘92). Sul leitmotiv dell’equivoco e del doppio senso, entrambi subiscono il fascino e le strumentalizzazioni di donne strateghe per scopi criminali ed entrambi inconsapevolmente piegheranno le amate al sentimento dell’amore, pur non convolando a nozze.

Si ride di mafia piuttosto che di terrorismo , ma il tenore (e non lo spessore) è pressoché lo stesso. Ancora un ultimo parallelismo è ravvisabile nella scena in cui Checco accusa i monaci tibetani di presentarsi al Papa con gli zoccoli infradito, e in cui pare di ravvisare la stessa ignoranza dei costumi con cui Benigni – Guido, nell’incipit de “La vita è bella”, col braccio alzato e teso intima alla folla per strada di fare largo all’auto fuori controllo e viene al contrario scambiato per un rigoroso saluto fascista! Di tutt’altro registro, ben più affilato e tagliente, vero colpo nell’occhio e nello stomaco, il mondo autarchico, kitsch e surreale di Cetto La Qualunque. Cetto nasce come incontrastato opinion leader della sua comunità e la carriera da politicante è solo uno dei tanti escamotage funzionale allo sviluppo dei propri illeciti interessi. Mix esplosivo di pura cattiveria, Cetto non solo detta legge, ma impone la propria personalissima amoralità ed estetica volgare; Non c’è fatalità attenuante, sentimento o buona intenzione fraintesa che riscatti il personaggio, determinato e consapevole nel piegare tutto e tutti (compresi bambini, anziani e malati) ai propri piani. Per scelta programmatica i sensibili e gli onesti sono inesorabilmente sopraffatti e umiliati, emblematica su tutte la scena del talk show televisivo in cui i riflettori si spengono sul candidato sindaco antagonista, zittito e deriso. Cetto è chiaramente una maschera, lo spauracchio di una satira esasperata, ma ragionata dell’attualità, in cui paradossalmente risuona obsoleta l’affermazione conclusiva: “Io sono il Sindaco e la magistratura vastasa non riuscirà a sovvertire il risultato democratico delle elezioni!”. Il riso amarissimo è davvero abbozzato e sofferto!

Infine, la “Commedia degli Autori”, che non andrebbe in verità spiegata, ma assaporata. Gianni Di Gregorio ripropone con successo al grande pubblico il proprio personalissimo sentire di osservatore della quotidianità intima e familiare. Al tema principale dedicato alle alchimie tra l’uomo di mezz’età e le donne, si accompagnano ancora una volta la questione economica, l’impaccio e il disagio nelle relazioni sociali e plurigenerazionali; l’ambientazione realista e il pedinamento della realtà. Long take e primi piani sono la più profonda partitura espressiva, ponte di emozioni e sottointesi rimessi alla complicità tra protagonista e spettatore. La poetica è quella dell’ultimo dei romantici che, pur essendosi costretto alla trasgressione, persegue in fin dei conti solo la perpetua emozione dell’amore platonico, il corteggiamento gentile delle “rose che non colse!”. La comicità è nel ridicolo degli approcci e nell’arrendevole inversione immaginifica. Sperimentalismo neppure troppo inusuale, se si considera che forme di comicità alternativa, sono state di recente proposte al grande pubblico da titoli come “Basilicata coast to coast” di R. Papaleo e da “Into Paradiso” dell’esordiente P. Randi. Si torna, dunque, a sospettare che in realtà il boom di una ritrovata commedia italiana dei fasti che furono, nasce e si esaurisce all’interno di una discorsivizzazione commerciale delle major, che si autoalimenta e al contempo si impone sul panorama cinematografico globale. Nulla di nuovo sotto il sole, tranne forse il consiglio per il grande pubblico di diffidare dei successi urlati e degli unici fasci d’erba, ingannevoli per proverbiale memoria!

 

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