La comunicazione politica all’epoca dei social, tra disintermediazione e orizzontalità
5 Ottobre 2023 – 17:07 | Nessun commento

E’ fenomeno orami consolidato, da almeno 10 anni a questa parte, il direttissmo comunicativo permesso ai soggetti politici dai social networks. Da questo punto di vista è possibile parlare di un fenomeno di mediatizzazione della politica o webpolitics, che garantisce una diffusione ad una platea straordinariamente più ampia del messaggio politico.La mobile revolution ha reso poi i social media straordinariamente piu’ diffusi e pervasivi, garantendo inoltre l’immediatezza del messaggio politico.In un metaverso che vede archiviata… Read more

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27 Gennaio. “cerchiamo di usarla bene, questa memoria”.

Scritto da – 27 Gennaio 2014 – 15:06Un commento

Legge 20 luglio 2000, n. 211, Art. 1: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 Gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”; Art. 2: “In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere” .

Noi, siamo stati noi. È un delitto anche italiano, che la nostra Repubblica, per mezzo secolo, ha scacciato via a frustate di amnesia e amnistia. La Shoah era ieri. La Shoah è oggi e sarà domani. Mai più, mai più… Eppure c’è voluta la legge per ricordare agli italiani che cosa accadde in quella maledetta guerra, ad obbligare tutti a prestare attenzione almeno per un giorno alla storia. Alla storia ch’è fatta di date. E il 27 Gennaio è una data diversa da tutte le altre, come la Shoah è stata un massacro diverso da tutti gli altri subiti dal popolo ebraico.

La Shoah è in primis un dolore smisurato e del dolore, si sa, deve scegliere che farne soltanto chi quello stesso dolore lo porta con sé. E non esiste scampo. Non c’è modo di medicare quella pugnalata. Chi soffre di Shoah non ne esce più. Anche se sei nato nel 1960, anche se nei giorni in cui la tua comunità venne violentata tu non c’eri e non hai visto nulla. Quindi non mi stupisce che una donna ebrea, altresì grande studiosa di cultura ebraica, si domandi se è effettivamente giusto e fruttuoso esser costretta dalla legge a farsi del male, ogni anno della propria vita, continuando a ricordare e condividere la sofferenza che le ingombra il cuore, che la rende una sopravvissuta. Quando invece non spererebbe altro che dimenticare, non i morti ma la violenza, le brutture, l’assurdità. Quando invece Yom Hashoah Ve-Hagevurah in Israele si celebra con due lunghissimi minuti di sirene, mentre la terra l’aria l’uomo s’immobilizzano assieme nell’assoluto silenzio del rispetto.

Perché il Giorno della Memoria? In cosa si è trasformato? Ha senso ricordare come ricordiamo? Da dove deriva il fastidio che alcuni provano nei confronti del 27 Gennaio? Elena Loewenthal, nel suo pamphlet Contro il Giorno della Memoria (appena pubblicato dall’editore Add), tenta di capire e rispondere a queste domande. Lo fa con estrema sincerità, dolente, lo fa scrivendo ciò su cui molti perlomeno una volta nella vita hanno riflettuto senza mai osare dirlo: la memoria pubblica non è positiva di per sé, non colma la distanza, non allevia la pena di nessuno, soprattutto non agisce sempre da antidoto per le barbarie future. Forse la memoria non basta, se spaiata dall’elaborazione personale e dalla conoscenza. Forse non abbiamo lavorato bene. Ne è una prova il 58% in più di atti antisemiti registrati in Francia nel 2012. Ne è una prova la rappresentanza antisemita nei parlamenti di Grecia e Ungheria. Ne sono una prova i genocidi seguenti all’Olocausto. Ne è una prova il negazionismo. Ne è una prova perfino la testa di maiale recapitata Venerdì alla Sinagoga di Roma.

Per questo Loewenthal al dovere della memoria contrappone il diritto all’oblio. Considerare il Giorno della Memoria come un tributo di civiltà agli ebrei o addirittura come un simbolico risarcimento, è un’offesa gravissima. È la carità pelosa con la quale editori e istituzioni ci sacrificano a Moloch: convertire in evento l’innocenza uccisa nei campi, spettacolarizzare il colorato idolo del ricordo, travasare la tragedia in un rituale da imbottire con retorica vuota. A un passo da qui si cade nella trappola della banalizzazione langagière. Ma la memoria del popolo ebraico non è un museo, ci spiace. Se oggi, solo oggi, milioni di bravi cittadini e brave autorità pensano di addolcire il proprio senso di colpa accorrendo ad uno dei numerosi incontri che si stanno svolgendo, si sbagliano alla grande. Perché, come annotò pure Valentina Pisanty in Abusi di Memoria, negare, banalizzare, sacralizzare la Shoah, “Il difetto sta nel manico e cioè nella scelta di rubricare la rievocazione della Shoah sotto la categoria della Memoria anziché della Storia. E ciò, si badi bene, non a ridosso degli eventi, quando gli italiani avrebbero potuto attingere ai ricordi vivi di uno sterminio appena perpetrato per interrogarsi sulle proprie responsabilità dirette, ma a distanza di decenni, quando la comunità commemorante cominciava a sentirsi sufficientemente estranea agli eventi in questione da poterli chiudere in una teca da museo. Come ha spiegato Maurice Halbwachs la memoria collettiva è sempre funzionale agli interessi, alle sensibilità, e ai progetti di chi la gestisce, e i filtri culturali che selezionano gli episodi ritenuti memorabili dipendono dai pensieri dominanti delle società a cui fanno capo”.

Dunque, proprio perché le intenzioni che stanno alla base del progetto morale-educativo della 211 sono le migliori, bisognerebbe trovare una chiave differente con cui celebrare il 27 Gennaio. Più meditativa. Più rispettosa, sia della vita che della morte. E, magari, non recintando la memoria esclusivamente nella giornata di oggi. Ad esempio, la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano è aperta tutti i giorni, a parte durante le Festività ebraiche. Allora, scrive Loewenthal, il Giorno della Memoria deve riguardare tutti fuorché coloro i quali non hanno né ispirato né ideato né costruito e nemmeno messo in atto la Shoah. Il ricordo è per quelli che hanno visto senza far nulla, quelli che non c’erano e non chi ci è disgraziatamente capitato dentro. Loro rammentano per noi, e costa parecchia angoscia.

Certo, non si può obbligare alla memoria per legge. Tuttavia, per legge, si deve punire il boia che la nega. E se è vero che una legge-argine non basta, è ugualmente vero ch’è meglio del vuoto, dal quale è impossibile far luce e che molti, (chiunque neghi “la legittimità dello Stato di Israele e gridi che se ne deve andare, perché fondato sulle false lacrime della Shoah”), purtroppo vorrebbero ancora.

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