Disoccupati alla riscossa: il caso degli scioperi a rovescio
“Nella prima metà degli anni ’50 ebbe grande sviluppo in Italia una forma originale di sciopero, ideata per dare risposte concrete alla disoccupazione e al degrado che caratterizzavano il nostro Paese: lo sciopero a rovescio”. Inizia con queste parole il libro di Luigi Cappelli, studente di storia dell’Università La Sapienza, appena pubblicato dalla D’Arco Edizioni. Il titolo è “Le strade della rinascita. Lotte sociali e scioperi a rovescio. Sezze 1951-1952”. La redazione di Orizzonte Universitario l’ha letto in anteprima. Se si fa un giro per i corridoi del dipartimento di Storia e si chiede ad un campione di 20 studenti cosa siano gli scioperi a rovescio forse 2 o 3 saprebbero rispondere, sebbene in maniera molto vaga. Gli altri resterebbero a guardarti, pensando che li si stia prendendo in giro. Il libro di Luigi, pur descrivendo una realtà locale come quella dei Monti Lepini (in provincia di Latina), inquadrando quel movimento provinciale in un contesto più ampio mira a far conoscere ai lettori un fenomeno diffuso su scala nazionale. Gli scioperi a rovescio rappresentarono, appunto, un rovesciamento della realtà, una specie di carnevale di massa durante il quale i disoccupati e i braccianti più poveri andavano a lavorare, rivendicando il loro diritto al lavoro. Iniziavano così la costruzione di strade, scuole, acquedotti, rendendo un servizio notevole alla collettività. Gli anni del secondo dopoguerra erano tragici, soprattutto la disoccupazione imperava. La Cgil era guidata da grandi uomini come Giuseppe Di Vittorio e Vittorio Foa. Il primo, come Segretario generale, diede avvio al Piano del Lavoro, per cercare di lenire le piaghe sociali del Paese. Di questo piano gli scioperi a rovescio si possono considerare figli. Così come delle lotte per la terra degli anni precedenti.
Scrive Giuseppe Cantarano, noto filosofo italiano, professore presso l’Università della Calabria, già segretario particolare di Pietro Ingrao, nella sua prefazione al lavoro di Luigi: “Il libro di Luigi è importante perché – soprattutto in questa convulsa fase che stiamo vivendo – è un libro che parla del lavoro. Della “valorizzazione” – avrebbe detto Marx – del lavoro umano. Della sua irriducibilità ad ogni forma di oppressione e di repressione. La storia degli scioperi a rovescio ci mostra – e questo è un altro pregio del libro di Luigi – che è ancora il lavoro, nonostante tutto, a legare l’individuo alla comunità”.
Il caso di Sezze, il paese lepino in provincia di Latina preso come esempio paradigmatico, viene sviscerato in questa ricerca tramite l’uso di fonti archivistiche di diversa provenienza. Ma perché Luigi esamina proprio i fatti avvenuti in provincia di Latina ed in particolare a Sezze? Nel libro lo spiega chiaramente: per la sua vicinanza a Roma, la zona dei Monti Lepini era particolarmente adatta per portare a termine un esperimento politico. Le organizzazioni e i partiti di sinistra (con in testa la Federazione comunista di Latina guidata da un ex comandante partigiano, Severino Spaccatrosi) volevano capire se attraverso una serie di lotte sociali (in primis gli scioperi a rovescio) si potesse forzare l’agenda politica del governo De Gasperi. Giunsero così a Sezze, in quel biennio fantastico, personaggi del calibro di Pietro Ingrao, Giancarlo Pajetta, Umberto Terracini, Aldo Natoli. Altri importanti esponenti comunisti, come Pietro Corbi (che era stato compagno di cella di Vittorio Foa nelle carceri fasciste) si sporcarono letteralmente le mani, arrivando sui Monti Lepini e distribuendo personalmente casse di viveri ai manifestanti.
Sarebbe forse anacronistico riproporre oggi – in una situazione in cui il numero dei disoccupati cresce sempre di più e ha sopravanzato quello dei primi anni ’50 – quella forma di protesta propositiva. Non si può fare a meno di notare, però, che mentre in quegli anni le persone alzavano la testa e reagivano di fronte ai soprusi, oggi ci stiamo abituando a tutto. Un altro elemento che colpisce è la latitanza della storiografia italiana sugli scioperi a rovescio. Un silenzio interrotto soltanto da ricercatori locali, che hanno contribuito a fornire ricostruzioni interessanti e scientificamente corrette ma limitate dal loro localismo. Pesa, quindi, il silenzio storiografico su un fenomeno nazionale che andrebbe studiato in maniera organica.
Per far conoscere il suo lavoro e altre ricerche su questo tema Luigi ha creato un profilo facebook, Le strade della rinascita. Scrivendo alla sua casella di posta elettronica (cappelli.luigi@libero.it) chi è interessato può ordinare il libro.
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Il problema non e’ che oggi non si alzi la testa ma oggi non esiste rappresentanza politica che organizzi e sostenga operazioni di questo genere, ci si attacca alla falce e martello che non rappresenta più’ il proletariato con nostalgia ex 68ina. Di fatto mancano i contenuti ideologici e non si cercano neppure, meglio gongolarsi a leggere Lenin e Trozky senza pensare all’attualizzazione del pensiero marxiano, e neppure studiando chi lo sta facendo o almeno ci prova.